Entrata da alcuni anni nel campo della psicologia, la resilienza, che in latino significa “tornare a saltare” (resilio), indica la meravigliosa capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. E’ un termine preso in prestito dalla fisica e indica la proprietà che hanno alcuni metalli, nonostante la pressione ricevuta, di mantenere integra la propria struttura o di riacquistare la forma originaria. Essere resilienti significa avere questo tipo di flessibilità.
“La capacità di resilienza non designa la semplice abilità di resistere agli eventi avversativi, ma definisce una dinamica positiva volta al controllo degli eventi e alla ricostruzione del percorso di vita (Vanistendael & Lecomte, 2000)”
In psicologia il concetto assume un significato più ampio: non vuol dire banalmente resistere, ma riuscire a utilizzare l’esperienza difficile per non avere più paura e trovare soluzioni sempre nuove di fronte ai problemi. Essere resilienti, infatti non significa essere immuni da debolezze o difficoltà. Significa solo saper affrontare traumi e perdite, rimettersi in gioco dopo un duro colpo incassato.
La scuola è uno degli ambienti più importanti per i bambini che cominciano a sperimentarsi nel mondo al di fuori delle mura domestiche.
Per i bambini, la scuola è doppiamente un banco di prova, oltre ad acquisire nozioni nuove, si impara a confrontarsi con l’altro, con gruppi di pari, e possono arrivare le prime delusioni, i litigi e le incomprensioni. Come insegnare questo sentimento estremamente positivo ai nostri figli? Come insegnare loro a fronteggiare le avversità e addirittura trasformarle in un punto di forza?
Innanzi tutto dobbiamo porci una domanda fondamentale. Un bambino ci nasce o ci diventa resiliente? L’attitudine ad essere resilienti è presente come potenzialità in misura diversa in ognuno di noi fin dalla nascita ma, allo stesso tempo, può essere diversamente potenziate durante tutto l’arco di vita. Se possiamo dunque incidere sulla crescita di questa qualità nei nostri figli, quali sono le vie migliori che possiamo imboccare per sviluppare dentro di loro la resilienza?
Non è necessario avere già fatto qualcosa per sentire di poterlo fare, ma è indispensabile avere coscienza della propria capacità di generare soluzioni, di analizzare problemi, di comprendere dinamiche, e sapere di poter apprendere. Questi meta-fattori aiutano ad accettare anche sfide e compiti sui quali non esiste ancora esperienza specifica diretta o consolidata.
Secondo Sam Goldstein, specialista della resilienza nei bambini, i tre promotori da considerare sono: il temperamento, la famiglia e i sistemi di supporto comunitario, in cui rientra l’ambito scolastico. Secondo Goldstein le vie principali per insegnare e formare alla resilienza sono:
- praticare l’empatia;
- incoraggiare la responsabilità;
- potenziare l’abitudine a prendere delle decisioni;
- insegnare l’ottimismo attraverso critiche costruttive.
Resilienza e autoefficacia a scuola: insegnare l’autoefficacia
Secondo Albert Bandura, coniatore del termine, ci sono 4 vie per promuovere l’autoefficacia scolastica:
- esperienza di gestione efficace: è importante proporre situazioni problematiche, ma che siano alla portata degli studenti per non scontarsi sempre con situazioni che inevitabilmente portano al fallimento;
- proporre dei modelli di comportamenti che dimostrino fiducia in se stessi e nelle proprie capacità;
- la persuasione è un’altra ‘arma’ a disposizione degli insegnanti, soprattutto se amati dagli studenti. Le loro parole di incoraggiamento e di apprezzamento fanno da base per l’autoefficacia;
- migliorare le condizioni esterne che producono stress permette di concentrarsi sulla propria autoefficacia.
Come insegnare la resilienza a tuo figlio
I genitori, o le figure di accudimento, svolgono un ruolo importante nel promuovere la resilienza dei bambini. Se dunque possiamo incidere sulla crescita della resilienza nei nostri figli, quali sono le vie migliori che possiamo imboccare per sviluppare dentro di loro questa preziosa qualità?
Rendiamoli più consapevoli delle loro risorse e dei loro limiti
Conoscere bene se stessi, li aiuterà a porsi degli obiettivi raggiungibili: quando sanno di poter riuscire in qualcosa, continueranno ad impegnarsi. I limiti non devono essere vissuti come un ostacolo insormontabile, ma come un’opportunità e uno stimolo di crescita: bisogna mettersi in gioco e impegnarsi a fondo nell’obiettivo, anche se ci può volere molto.
Aiutiamolo ad avere più fiducia nelle sue capacità
Troppe volte ci si concentra sugli aspetti negativi dei figli, perdendo di vista le loro risorse e i loro punti di forza. Quindi, evitando di attaccarlo e ferirlo con continui commenti negativi, mettiamo in luce le sue potenzialità, sproniamolo a mettersi in gioco e a sperimentarsi, soprattutto nelle attività che più ama.
Incoraggiamolo ma senza esagerare
È importante rinforzare il piccolo attraverso commenti positivi come “Bravo, ce l’hai fatta!”, “Hai raggiunto l’obiettivo, continua così!”, soprattutto quando riesce a superare i suoi limiti, le sue paure e i suoi blocchi, così che creda sempre di più in se stesso. Al contempo, però, evitiamo di fare complimenti esagerati, in quanto possono creare pressioni eccessive, insinuare la paura di deludere le nostre aspettative e di non essere all’altezza.
Lasciamo che se la cavi da solo, senza sostituirci a lui: non riesce ad aprire un barattolo? Lasciamolo sperimentare e tentare, e non strappiamo via il barattolo dalle mani, ma aspettiamo che sia lui a chiedercelo, e nel frattempo sosteniamolo. Lasciamo che possa rendersi utile, per esempio con i fratelli o sorelle minori se lo desidera, diamogli fiducia e sostegno, può farcela.
Permettiamogli di sbagliare
E’ giusto che anche i figli sbaglino. Non potremo esserci per sempre ed evitare sempre gli scivoloni. Gli errori e le cadute servono a crescere, servono a rialzarsi più forti e determinati di prima. Non è tenendolo chiuso dentro una bolla di vetro che gli impediremo di soffrire. Insegniamogli piuttosto ad affrontare gli ostacoli.
Portiamolo a ragionare in autonomia, con la sua testa, aiutandolo a sviluppare la sua capacità critica e a strutturare un suo punto di vista. Lasciamogli quel giusto spazio di autonomia e di movimento nel prendere decisioni: se lo proteggiamo troppo e gli spianiamo la strada, crescerà poggiandosi su di noi, senza mai sentire di poter contare su se stesso e senza sperimentare la sua auto-efficacia, “Io, ce l’ho fatta da solo, con le mie forze!”.
Lavoriamo sulla sua flessibilità
Aiutiamolo a non focalizzarsi solo su ciò che non va, così che riesca a trovare più facilmente delle vie d’uscita quando si trova di fronte ad un ostacolo. Bambini e ragazzi con una maggiore flessibilità, infatti, sono capaci di trovare in maniera creativa soluzioni a problemi complessi, riuscendo a trasformare una condizione negativa in una sfida da affrontare e superare.
Con una battuta è tutto più semplice
Il ruolo di esempio dei genitori è importante anche quando le cose in famiglia si fanno difficili. La capacità di sdrammatizzare e sorridere permette di avere una prospettiva più leggera sulle cose. Ironizzare diminuisce le tensioni ed è una dote che solitamente viene molto apprezzata dalle persone che si hanno intorno.
Questo aiuta a far fronte a colpi bassi e sconfitte. In alcuni casi, questa capacità velocizza persino il processo di recupero. Per quanto una famiglia possa dover lottare anche con sfide e ostacoli, se i vari componenti della famiglia possono ispirarsi a vicenda per affrontare queste situazioni con una buona dose di umorismo, la vita quotidiana sarà un po’ più facile da affrontare.
Aiutiamolo a riconoscere le emozioni
Soprattutto quando il bambino è piccolo, è normale che esprima le sue emozioni attraverso il pianto, il corpo e il comportamento: un compito importante del genitore è quello di iniziare a decodificare il vissuto e verbalizzarglielo, con frasi del tipo “Capisco, sei proprio arrabbiato” oppure “Lo so che questa situazione ti rende triste”. In questo modo, quando crescerà, imparerà a riconoscere le emozioni e a gestirle, altrimenti tenderà a reprimerle o ad agirle con comportamenti disfunzionali.
Diamo il buon esempio
Essere un buon esempio per i figli non significa non sbagliare mai: idanni ovviamente non si fanno con uno o due errori, ma solo quando c’è un comportamento errato che diventa sistematico e ripetitivo. I figli hanno bisogno di sapere che gli adulti, anche i genitori, possono sbagliare e non fare subito la cosa giusta, ma si può imparare da ogni situazione e riparare.
Con il nostro comportamento siamo delle figure di riferimento per i nostri figli e quindi plasmiamo il loro modo di affrontare la pressione. Dovremmo quindi chiederci onestamente e in modo autocritico: quale esempio sono e quale esempio vorrei essere?
A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
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