Come la memoria emotiva guida le nostre scelte affettive

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono incontri che sembrano scritti nelle stelle. Alcune persone entrano nella nostra vita con una naturalezza disarmante, come se ci conoscessero da sempre. Altre ci scuotono, ci sfidano, ci mettono davanti a emozioni che pensavamo di avere dimenticato. Ma se guardiamo più da vicino, se ci fermiamo ad ascoltare ciò che accade dentro di noi, potremmo scoprire che queste persone, quelle che attraiamo o che ci attraggono irresistibilmente, sono specchi fedeli di parti di noi che chiedono attenzione.

Il cuore umano non si muove solo verso ciò che ama, ma anche verso ciò che riconosce. E questo riconoscimento avviene ben al di sotto della soglia della consapevolezza: è la nostra memoria implicita, quell’archivio silenzioso di esperienze vissute e di emozioni antiche, a fare da bussola invisibile nelle nostre scelte relazionali. Le nostre ferite, i bisogni insoddisfatti, i copioni emotivi appresi nei primi anni di vita… tutto questo plasma la qualità e la direzione dei legami che stringiamo.

Non si tratta di colpa, ma di consapevolezza. Siamo portatori sani di memorie non dette, e solo illuminando queste zone d’ombra possiamo cambiare le storie che ci raccontiamo sull’amore e sulle relazioni.

Memoria implicita: il custode invisibile delle nostre scelte affettive

La memoria implicita è quella parte della nostra mente che conserva, senza che ce ne rendiamo conto, le tracce emotive delle nostre esperienze più antiche, spesso risalenti all’infanzia. Non è una memoria di parole, ma di emozioni e sensazioni corporee. Non ricordiamo consapevolmente come ci siamo sentiti in braccio a chi ci ha accudito, ma il nostro corpo e il nostro cuore sì.

In base a questa memoria, sviluppiamo delle aspettative inconsce verso il mondo e verso gli altri. Ad esempio, se da piccoli abbiamo sperimentato rifiuto o abbandono, potremmo tendere ad attrarre persone che, in modi diversi, ci fanno rivivere quelle stesse dinamiche. Non perché siamo destinati a soffrire, ma perché inconsciamente cerchiamo di “riparare” ciò che è rimasto incompiuto.

La memoria implicita funziona come un radar silenzioso che seleziona per noi ciò che ci sembra familiare, anche quando questa familiarità non è affatto sinonimo di benessere.

Le associazioni inconsce che guidano le nostre relazioni

Quando incontriamo qualcuno che ci attira profondamente, spesso scatta dentro di noi un meccanismo inconscio di riconoscimento: quella persona risveglia in noi un sentimento noto, un’eco emotiva che ha radici nel passato. Questo accade perché il nostro cervello crea delle vere e proprie “associazioni emotive”, basate su somiglianze tra l’altro e le figure significative che ci hanno cresciuto o ferito.

Così, senza rendercene conto, potremmo essere attratti da chi ha tratti simili a un genitore distante o ipercritico, o da chi ci fa sentire non abbastanza, proprio come accadeva in certi momenti della nostra infanzia.

In pratica, la mente collega inconsciamente alcune caratteristiche (freddezza, inaccessibilità emotiva, bisogno di approvazione…) a ciò che ci è familiare e che sentiamo di dover “riparare” o rivivere, nel tentativo inconscio di scrivere un finale diverso.

Il bisogno di chiudere i conti col passato e il bias della chiusura cognitiva

Dietro ogni relazione che sembra ripetersi con le stesse dinamiche disfunzionali, c’è un filo invisibile che ci lega al nostro passato. Spesso, senza rendercene conto, cerchiamo di risolvere vecchie ferite proprio attraverso le persone che attraiamo oggi. Desideriamo inconsciamente riscrivere un copione antico: vogliamo che chi oggi ci ama lo faccia in un modo che possa riparare il dolore lasciato da chi non ci ha dato abbastanza ieri.

Questo bisogno di chiudere i conti col passato non è solo emotivo, ma anche cognitivo. È legato a quel meccanismo psicologico noto come bias del bisogno di chiusura cognitiva: la tendenza naturale della mente a ricercare risposte certe e definite, evitando l’incertezza e l’ambivalenza.

Quando una ferita emotiva rimane aperta, genera dentro di noi una sensazione di disordine e incompiutezza che fatichiamo a tollerare. Così, inconsciamente, cerchiamo di trovare nelle nuove relazioni una sorta di “soluzione definitiva” al senso di instabilità interiore che ci accompagna.

Il bias di chiusura cognitiva ci porta a voler chiudere rapidamente un cerchio emotivo irrisolto, anche se questo significa ripetere dinamiche dolorose o accontentarci di spiegazioni semplicistiche del nostro malessere (“attiro sempre persone sbagliate”, “non sono fortunato/a in amore”, “è colpa mia”). Preferiamo avere una risposta – anche se limitante – piuttosto che restare nel dubbio o nella complessità del nostro mondo interno.

Questa ricerca di “ordine” può condurci a cristallizzare delle convinzioni su noi stessi e sulle relazioni, mantenendo attive quelle stesse ferite che vogliamo guarire.

La trappola del “copione da chiudere”

Il bisogno di chiusura cognitiva si intreccia con il bisogno di chiudere simbolicamente una questione rimasta sospesa. È il motivo per cui, a volte, restiamo legati a partner che ci fanno rivivere sensazioni di abbandono o svalutazione: vogliamo che “questa volta” sia diverso, che “questa volta” l’amore che riceviamo sia quello che ci è mancato da bambini.

Così, però, restiamo prigionieri di un meccanismo circolare: più cerchiamo una chiusura in chi ci ricorda le nostre ferite, più restiamo impigliati nella ripetizione di quelle stesse dinamiche.

Superare la necessità di “chiudere” e accettare l’incompiuto

La chiave, allora, non è tanto chiudere il passato cercando di riscriverlo nelle relazioni attuali, ma accettare la complessità e la parziale incompiutezza della nostra storia. È abbracciare l’idea che certe ferite possano rimanere parte di noi senza impedirci di creare legami sani e consapevoli nel presente.

Uscire dal bias della chiusura cognitiva significa tollerare l’incertezza emotiva, aprirsi alla possibilità che non tutto debba essere risolto o spiegato subito. E in questo spazio di apertura, la nostra libertà di scelta si espande, permettendoci di attrarre relazioni nuove, non più basate su bisogni antichi ma su desideri autentici.

La consapevolezza come chiave per attrarre relazioni sane

Solo riconoscendo queste dinamiche possiamo interrompere il ciclo e creare uno spazio nuovo per relazioni più sane e consapevoli. Diventare consapevoli delle proprie ferite non significa eliminarle, ma iniziare a conoscerle e a prendersene cura, senza delegare più all’altro la responsabilità della nostra guarigione.

Quando facciamo pace con la nostra storia e rielaboriamo ciò che ci ha segnato, cambiano anche le persone che attraiamo. Non perché il mondo cambi, ma perché cambia lo sguardo con cui lo osserviamo e la qualità delle nostre scelte. Il cuore smette di cercare riparazioni esterne e comincia a desiderare autentiche connessioni basate sulla reciprocità, sulla libertà e sull’amore maturo.

il coraggio di riscrivere il nostro modo di amare

Ogni relazione che ci scuote, ogni persona che entriamo ad attrarre nella nostra vita, porta con sé un messaggio. A volte quel messaggio parla di ferite non ancora elaborate, altre volte ci mostra la strada verso una consapevolezza più matura. Ma una cosa è certa: non siamo condannati a ripetere gli stessi copioni per sempre.

Sì, le memorie implicite, le associazioni inconsce e persino il bisogno di chiusura cognitiva possono guidare le nostre scelte più profonde, ma abbiamo la possibilità – e la responsabilità – di fermarci, ascoltare e riscrivere la narrazione che ci portiamo dentro.

Quando iniziamo a vedere il mondo con occhi nuovi, smettiamo di cercare fuori quella felicità che solo noi possiamo costruire su misura per noi stessi.E in questo viaggio verso la nostra autenticità, non possiamo che prenderci cura delle parti di noi che ancora chiedono conferme e rassicurazioni, imparando ad accoglierle senza lasciarci più governare da esse.

Come scrivo anche nel mio libro “Il mondo con i tuoi occhi”, ogni persona può liberarsi dai costrutti che limitano la propria idea di felicità. Possiamo abbandonare le definizioni che ci sono state imposte e creare una vita che sia un riflesso autentico di chi siamo davvero, non di ciò che abbiamo imparato a essere per sopravvivere. È un cammino che ci chiede di essere gentili con noi stessi, di restare aperti e di accettare l’incompiutezza come parte del nostro percorso di crescita. Solo allora inizieremo ad attrarre persone che rispecchiano la nostra versione più vera e luminosa. Per immergerti nella lettura del libro “Il mondo con i tuoi occhi” e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon oppure acquistarlo in libreria.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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