Come la nostra vita intrauterina ci ha condizionato la personalità

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor
La gravidanza è un processo che invita a cedere alla forza invisibile che si nasconde nella vita. (Judy Ford)

Nel corso degli ultimi decenni diversi studi scientifici hanno dimostrato che le esperienze individuali e sociali dell’uomo iniziano a strutturarsi a partire dal concepimento e si sviluppano durante tutta la gestazione formando la struttura di base della sua personalità di adulto.

Il carattere e la personalità dell’essere umano – in particolare la qualità della nostra autostima, della nostra modalità di interazione con i genitori e, in generale, con il mondo esterno – dipendono in gran parte da quanto abbiamo vissuto nel grembo materno, da come siamo nati e da come siamo stati accolti subito dopo la nascita.

Più specificatamente: durante la vita intrauterina, la qualità della relazione primaria, della comunicazione e dell’amore ricevuto da entrambi i genitori, unitamente ad adeguati comportamenti assistenziali, costituiscono le basi del futuro sviluppo psicofisico dell’essere umano. Il periodo gestazionale, la nascita e l’esogestazione è quindi importante che siano considerati come un continuum di crescita, in cui hanno luogo numerosi e svariati processi di apprendimento, collegati fra loro e interdipendenti gli uni dagli altri.

L’universo della vita intrauterina

L’ambiente intrauterino rappresenta per il feto un piccolo mondo. L’utero non serve a isolare ma a proteggere ed è un filtro per gli stimoli che lo raggiungono.
Rene Van der Karr della Clinica Ostetrica Ginecologica dell’Università di Hayward- California, ha condotto un protocollo sperimentale nel quale le gestanti venivano sottoposte ad un programma specifico di stimolazione del feto. I bambini nati da queste madri hanno registrato: migliori capacità verbali, precoci abilità cognitive e una maturazione precoce registrata con un punteggio APGAR e la crescita dei dentini.

L’esperienza prenatale influenza l’apprendimento e la percezione nella vita post-natale

A dimostrarlo, per esempio, gli studi di Panthuraphorn effettuati nel Dip. Di Ostetricia e Ginecologia del Hua Chiew Hospital di Bangkok su 120 gestanti a cui è stato proposto un protocollo che prevedeva: comunicazione e dialogo prenatale (10 minuti al giorno dalla 20^ settimana), musica prenatale (10 minuti al giorno dalla 20^ settimana), colpetti ritmici sul sederino (10 minuti al giorno dalla 24^ settimana), sedia a dondolo (15 minuti al giorno dal primo trimestre), colpetti sull’addome in risposta a movimenti fetali (dalla 28^ settimana).
I loro bambini alla nascita presentavano le seguenti caratteristiche:

  • l’88,2 per cento riconosceva la voce della madre alla nascita e voltava la testa verso di lei;
  • il 70 per cento riconosceva la musica prenatale e gli induceva un effetto calmante smettevano di piangere in 1 o 2 minuti dando colpetti sul sederino;
  • il 61,6 per cento smettevano di piangere se dondolati sulla sedia a dondolo.

Se le giuste percezioni sono la base di un armonico sviluppo del sistema nervoso centrale, uno squilibrio di queste può portare a danni anche gravi. Esistono studi sui danni all’udito indotti nel feto dalla permanenza della madre in un ambiente troppo rumoroso negli ultimi mesi di gravidanza, soprattutto se questi rumori sono a frequenza bassa. Bisogna tenere presente che il feto, poco alla volta, incomincia a scoprire l’ambiente. Comincia dunque a conoscere sua madre la quale deve imparare a non porsi delle censure. Se lei è stanca o triste è bene che si mostri così com’è. Anche questo contribuisce allo sviluppo del feto e al suo adattamento post-natale.

A conferma dell’apprendimento da parte del feto già in utero, una recente e sorprendente ricerca dell’Università di Washington e pubblicata sulla rivista Acta Paediatrica secondo cui il nascituro inizia ad apprendere le parole sin da quando cresce nel ventre materno, durante i mesi di gestazione.

La notizia è stata riportata da Repubblica.it il 3 gennaio 2013 riportando come, secondo gli studiosi autori dello studio, i bimbi nati da poche ore sono in grado di distinguere i suoni di una lingua sconosciuta da quelli appartenenti a quella nativa. “Questo è il primo studio che ‘fotografa’ l’apprendimento prenatale dei feti riguardo ai suoni e alla specifica musicalità del linguaggio materno – ha detto Christine Moon, fra gli autori dello studio e professoressa di psicologia della Pacific Lutheran University di Tacoma – Si sposta così la misurazione dell’esperienza con i suoni del linguaggio da sei mesi d’età a prima della nascita”.

Si può parlare di memoria del feto?

Nel 2001 su Pediatrics è stata pubblicata una ricerca che dimostra che, al momento dello svezzamento, il lattante preferisce sapori che aveva sentito in utero per un certo periodo, anche se questi sapori non gli erano stati riproposti durante l’allattamento. Dunque il feto ha memoria. Questa può essere a breve e a lungo termine:

La memoria a breve termine è confermata dal fenomeno dell’abituazione, (“habituation”) cioè il diminuire dell’intensità della risposta al ripetersi dello stesso stimolo. Il Gruppo di Bangkok del dipartimento di ostetricia e ginecologia del Hua Chiew Hospital ha visto che il feto sottoposto a stimoli reagisce muovendo le braccia, aggrottando le sopracciglia, girando gli occhi sotto le palpebre verso gli stimoli ma successivamente si instaura un processo di abituazione agli stimoli ed egli non reagisce più. Quindi il feto dimostra di avere memoria e capacità di apprendimento.

Gli esperimenti fatti sottoponendo il feto a uno stimolo acustico di 250 Hertz segnalano un soprassalto alla prima stimolazione e un diminuirsi della intensità di reazione fino a non registrarsi più nulla se non con uno stimolo a intensità maggiore.

La memoria a lungo termine è stata verificata con ricerche che mettevano in relazione il gusto del neonato con ciò che la madre aveva mangiato in gravidanza.

Scorrendo la letteratura del settore ci si avvede di come siano stati numerosi gli studi rivolti alle capacità di apprendimento fetale e alla familiarizzazione del bambino con determinati stimoli caratteristici dell’esperienza intrauterina.
Le reazioni dei bambini, a poche ore dalla nascita, al suono del battito cardiaco dimostrano che questo stimolo è per loro, in assoluto, il preferito tra gli stimoli sonori. Essi sono inoltre in grado di discriminare, mostrando una ulteriore preferenza, il battito cardiaco della propria madre da quello delle mamme degli altri neonati.

In esperimenti assai noti Anthony De Casper ha potuto dimostrare come nelle prime ore dopo la nascita i neonati mostrino di riconoscere e preferire la voce della propria madre rispetto a quella di altre donne e rispetto alla voce paterna. E evidente che una tale preferenza non può essersi sviluppata nelle poche ore di vita extrauterina trascorse dalla nascita, ma deve essersi stabilita nei periodi precedenti.

Non è stato solo il riconoscimento di stimoli isolati che si è riscontrato nei neonati testati nelle prime ore dopo la nascita: il risultato sorprendente di un ulteriore esperimento di De Casper fu che i neonati possono discriminare tra due diverse favole per bambini e mostrare preferenza per quella che la mamma aveva raccontato loro, tutti i giorni per dieci minuti (secondo la consegna sperimentale), nell’ultimo trimestre di gravidanza.

Sembra chiaro, a questo punto, che gli elementi di base del linguaggio siano appresi tramite l’esposizione sonora prenatale, e infatti lo spettrogramma sonoro del pianto dei prematuri di ventisette settimane contiene già le caratteristiche vocali specifiche della voce materna. Si è visto inoltre che i neonati dirigono preferibilmente la loro attenzione verso persone che parlano la lingua dei propri genitori piuttosto che verso persone che si rivolgono loro in un’altra lingua.

Analogamente, un altro originale esperimento, svolto dal Prof. Hepper dell’Università di Belfast, ha rivelato che un brano musicale udito tutti i giorni negli ultimi tre mesi di gestazione viene riconosciuto dai neonati; infatti, bambini, le cui madri in gravidanza seguivano quotidianamente una nota “soap opera”, mostravano risposte di orientamento attentivo al comparire della colonna sonora della trasmissione stessa.

Per approfondimento leggi il libro di Gabriella Ferrari “La Comunicazione e il Dialogo dei Nove Mesi”  (Il Bonding dei Nove Mesi).

A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
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