Come la solitudine modifica il cervello

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Per alcuni i periodi di isolamento sociale sono ricercati per pensare, creare, meditare o ricaricarsi. Per altri sono un vuoto pesante, insostenibile che può scatenare tristezza, depressione, senso di alienazione e isolamento. A volte possiamo essere completamente circondati dalle persone e sentirci comunque soli, o viceversa; infatti potremmo non avere alcuna compagnia e provare un certo piacere che non implica il sentirci soli. In realtà questo sentimento si riferisce alla connessione che sentiamo verso le altre persone o verso noi stessi, sia essa buona e potente o, al contrario, nulla e negativa.

L’essere umano risente duramente dell’assenza del contatto con altri individui

Noi la chiamiamo “solitudine”, ma questa sensazione di isolamento non ha radici unicamente sociali, ma trova un suo spazio anche all’interno delle cellule del nostro cervello.  Se la solitudine è indesiderata, vissuta come sgradita, per periodi prolungati, può avere effetti negativi sulla salute fisica e mentale, sino a determinare veri cambiamenti nel cervello. Infatti, secondo le neuroscienze, esiste una regione del nostro cervello capace di rappresentare proprio la sensazione della solitudine.

Attenzione: solitudine non significa stare da soli

“Estroverso” e “Introverso” sono due parole di uso comune utilizzate per descrivere la caratteristica delle persone di essere più o meno coinvolte nelle interazioni sociali, ma questi due aggettivi racchiudono un significato ben più complesso. Ci sono persone che amano uscire e socializzare così allo stesso modo vi sono altri che preferiscono stare soli o svolgere attività che non comprendano la presenza di altri.

La differenza tra stare soli e sentirsi soli c’è. E’ evidente!

Tutti prima o poi attraversiamo momenti in cui sentiamo l’esigenza di stare con noi stessi, magari lontani dagli altri per ritrovarci. Si tratta di un bisogno naturale, umano e assolutamente legittimo che non deve instaurare sensi di colpa. A parlare della differenza tra stare soli e sentirsi soli sono numerosi psicologi illustri che hanno evidenziato quanto le due sensazioni siano differenti.

La condizione di chi è solo a livello psicologico corrisponde ad una sensazione negativa: in psicologia si parla di solitudine quando ci si sente dolorosamente lontani e scollegati, quasi tagliati fuori ed isolati. Il desiderio di stare soli, cioè di ritagliare spazio per sé invece è qualcosa di diverso, del tutto sano.

Ovviamente ogni persona ha una storia a sé e i motivi per cui può intraprendere la strada verso la solitudine sono del tutto soggettivi. Quello che è interessante notare è come a livello sociale questa problematica abbia assunto implicazioni sempre più marcate a livello di benessere mentale.

Come la solitudine modifica il cervello

Come già accennato, esiste una regione del nostro cervello capace di rappresentare proprio la sensazione della solitudine. E’ situata proprio nella parte posteriore del cervello, in un’area chiamata nucleo dorsale del rafe, fondamentale per stimolare la socievolezza nei soggetti che sono stati a lungo in isolamento.

Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno isolato un topo per 24 ore e ne hanno misurato il livello di attività delle cellule del nucleo dorsale del rafe. I dati raccolti hanno mostrato un picco di attività nell’area del cervello del nucleo dorsale del rafe quando l’animale si è ricongiunto con il resto del gruppo di topi. Precedentemente invece, sia prima di essere isolato che durante il periodo di solitudine, i neuroni relativi a questa regione non risultavano particolarmente attivi. Inoltre il topo è risultato più socievole con gli altri.

La solitudine provoca aggressività

L’isolamento sociale fa aumentare nel cervello le concentrazioni di un molecola che alimenta comportamenti aggressivi e legati alla paura. Lo ha dimostrato un team di ricerca della Divisione di Biologia e Ingegneria Biologica presso l’autorevole California Institute of Technology di Pasadena, dopo aver condotto specifici esperimenti su modelli murini (topi).

La ricerca ha preso a modello un gruppo di topi da laboratorio e li ha mantenuti isolati per due settimane, ottenendo un risultato sorprendente: questi topi manifestavano permanentemente aggressività verso gli estranei, paura e ipersensibilità agli stimoli esterni. Le tempistiche elevate per ottenere i suddetti comportamenti hanno dimostrato la necessità, alla base, di modificazioni sostanziali nei circuiti cerebrali.

Negli animali mantenuti separati dal resto del gruppo è stata in particolare osservata un’ ipersecrezione di una specifica proteina, la neurochinina B (NkB), identificata dunque come responsabile dei comportamenti negativi legati all’isolamento.

Gli studiosi hanno inoltre visto che alterando l’attività di questa proteina è possibile modificare gli effetti dell’isolamento prolungato sul comportamento. Infatti il blocco della neurochinina B nei topi isolati elimina i comportamenti anomali associati all’isolamento, mentre un suo aumento rende i topi cresciuti in condizioni normali aggressivi e impauriti.

La solitudine indebolisce il sistema immunitario

Le attività dei geni preposti al corretto funzionamento delle cellule di difesa, secondo alcuni studi ,verrebbero modificate a causa della solitudine . Sappiamo bene che quando il livello del nostro sistema immunitario è basso, le nostre cellule hanno più difficolta a fronteggiare gli agenti infettivi che causano processi infiammatori deleteri per il nostro organismo.

La ricerca pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, è stata condotta da John Cacioppo, psicologo dell’Università di Chicago che da anni studia quali sono gli effetti della solitudine sulla salute umana. Che la solitudine sia in qualche modo dannosa per la nostra salute è un concetto ormai assodato: Cacioppo e colleghi hanno voluto capire in che modo l’isolamento sociale eserciti i suoi effetti nocivi.

Durante le ricerche, gli studiosi hanno osservato che i geni dei leucociti (cellule immunitarie) coinvolti nella risposta antivirale di persone in condizione di solitudine, risultano meno attivi, presentano un’attività genica alterata a favore dei geni di geni pro-infiammatori e a discapito di geni importanti per difenderci da agenti infettivi.

Gli scienziati hanno osservato che il livello basso di difese immunitarie viene associato al rischio di restare soli. I risultati della ricerca vengono confermati da esperimenti condotti su macachi tenuti in isolamento: questi macachi risultavano più suscettibili alle malattie infettive.

La solitudine favorisce la depressione

Alcune ricerche hanno osservato che nelle persone che provano solitudine il volume di materia grigia nelle regioni cerebrali associate è maggiore. E non è un caso che proprio quando ci si sente soli questa rete cerebrale giochi un ruolo di primo piano. Questa, infatti, rappresenta la “base neurologica del sé”, di come si percepisce e descrive se stessi.

Anche il cuore ne risente

Gli adulti di mezza età che vivono da soli hanno il 24% di probabilità in più di soffrire di malattie cardiache, secondo uno studio condotto dalla Harvard University. Ma qual è il collegamento tra la sensazione di sentirsi soli e il nostro cuore?

Chi soffre di solitudine non ha il “cuscinetto” dell’affetto altrui: non avendo il supporto morale o il calore di amici e parenti, si è più predisposti a risentire degli effetti negativi dello stress, che aumentano la possibilità di soffrire di disturbi cardiaci. Elevati livelli di ormoni dello stress fanno sì che nel cuore si accumuli il colesterolo.

Ma non solo: pensando di non poter contare su nessuno, nel caso in cui ci si senta male si è meno predisposti a dirlo a qualcuno e ad andare dal medico. Chi sente solo, poi, generalmente fa meno attività fisica e mangia in modo disordinato: fattori, questi, non ideali per la nostra salute e per il nostro cuore.

Stare da soli: una scelta

Non sempre la solitudine deve essere vissuta come qualcosa di negativo; talvolta siamo noi stessi a cercarla e sperimentarla volontariamente. Nel quotidiano ritagliare spazi per sé è fondamentale ma anche poter trascorrere del tempo in compagnia di una delle persone più importanti della propria vita: se stessi.

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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Autore del libro Bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” Edito Rizzoli
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