Ci sono esperienze che il cuore dimentica, ma il corpo no. Quando parliamo di infanzia, non parliamo solo di ricordi, giochi, scuole, genitori. Parliamo di un tempo in cui il nostro cervello e il nostro sistema nervoso stavano costruendo le fondamenta della nostra sicurezza nel mondo. E mentre giocavamo, mentre piangevamo da soli in una stanza o ricevevamo un abbraccio inatteso, qualcosa in noi stava imparando come sentire, come reagire, come sopravvivere.
Molti adulti oggi portano dentro un corpo stanco, una mente ipervigilante o una sensazione cronica di disconnessione, senza sapere che l’origine di tutto potrebbe risiedere nei primissimi anni di vita. L’infanzia lascia segni profondi nel sistema nervoso. E lo fa in silenzio, senza chiedere il permesso, perché in quel tempo tutto era novità e tutto era sopravvivenza.
Il sistema nervoso: l’archivio silenzioso dell’infanzia
Il sistema nervoso centrale (SNC) e quello autonomo (SNA) non sono solo circuiti che trasmettono impulsi elettrici. Sono il nostro archivio vivente. Se il cervello immagazzina i ricordi in forma narrativa, il sistema nervoso li conserva in forma sensoriale, viscerale, corporea.
I traumi relazionali dell’infanzia, come un attaccamento insicuro, un genitore emotivamente assente, l’impossibilità di essere consolati o capiti, non sempre producono ricordi coscienti. Ma lasciano “impronte” nel sistema nervoso sotto forma di iperattivazione, rigidità muscolare, deregolazione affettiva. Ecco perché molte persone da adulte sentono un’ansia che non ha nome, un dolore che non ha causa, una tensione che non si scioglie. Non è psicosomatizzazione. È il linguaggio del corpo che ricorda.
Lo sviluppo del sistema nervoso nei primi anni di vita
Alla nascita, il nostro sistema nervoso è ancora in costruzione. Le connessioni neurali si formano a ritmo vertiginoso, e ciò che più le influenza è la relazione con il caregiver.
Un neonato non ha strumenti per regolare le proprie emozioni. Piange, grida, si agita. È il genitore (o la figura affettiva) a fungere da regolatore esterno: accoglie, calma, contiene. Se questo processo è sufficientemente buono e coerente, il cervello impara gradualmente ad autoregolarsi. Si formano circuiti stabili tra il sistema limbico (emotivo) e la corteccia prefrontale (razionale), e il sistema nervoso autonomo — diviso tra ramo simpatico e parasimpatico — impara a bilanciare eccitazione e rilassamento.
Se invece la regolazione esterna è carente, incoerente o assente, il bambino cresce dentro uno stato di allarme fisiologico, in cui il sistema simpatico (lotta-fuga) resta cronicamente attivato.
Attaccamento, traumi invisibili e neurobiologia
Secondo la teoria dell’attaccamento di Bowlby, la qualità della relazione con le figure di riferimento plasma la nostra percezione di noi stessi e degli altri. Ma questa relazione lascia anche tracce biologiche.
Le neuroscienze hanno dimostrato che bambini cresciuti in ambienti imprevedibili o emotivamente carenti mostrano un aumento del volume dell’amigdala (centro della paura) e una minore connettività con la corteccia prefrontale (centro del controllo cognitivo). Ciò rende il sistema nervoso più sensibile agli stimoli negativi e meno capace di calmarsi.
In altre parole, chi ha avuto un’infanzia instabile non solo si sente più spesso in pericolo, ma lo è — biologicamente. Il suo sistema nervoso è cablato per reagire in eccesso, percepire minacce anche dove non ci sono, lottare per difendersi anche quando sarebbe il momento di fidarsi.
Il ruolo del nervo vago nella memoria del corpo
Un ruolo fondamentale lo gioca il nervo vago, la più lunga via parasimpatica del corpo. È il nervo dell’autoregolazione, del rilassamento, del senso di sicurezza. Quando il vago funziona bene, il cuore rallenta, il respiro si distende, il corpo si calma.
Ma se l’infanzia è stata segnata da abbandoni, urla, freddezza o iperstimolazione, il nervo vago può diventare iporesponsivo. Questo porta alla cosiddetta “modalità di spegnimento”: apatia, dissociazione, stanchezza cronica, senso di estraneità da sé e dagli altri. Oppure, al contrario, può diventare iperattivo in un altro senso: ogni minima disconnessione o conflitto viene vissuto come una minaccia estrema, attivando risposte eccessive, come il panico o la somatizzazione acuta.
Infanzia e circuiti predittivi: l’effetto delle esperienze precoci sulle aspettative
Secondo il modello della realtà predittiva (predictive coding), il cervello non si limita a reagire agli stimoli, ma li anticipa, creando continuamente “modelli interni” di ciò che accadrà.
Questi modelli si formano in tenera età e sono guidati dalle esperienze relazionali. Se da piccolo non sei stato ascoltato, il tuo cervello potrebbe aver registrato: “nessuno mi capisce” o “le mie emozioni non valgono”. Da adulto, tenderai a interpretare ogni leggera disconnessione o silenzio come conferma di quell’aspettativa. Questo non è un pensiero conscio. È una risposta automatica, preverbale, radicata nel sistema nervoso.
Il corpo come archivio del non detto
Molti bambini imparano presto a non piangere, a non disturbare, a non “essere di troppo”. Questa forma di adattamento viene definita sopravvivenza relazionale: per non perdere l’amore dei grandi, imparano a non mostrare più i bisogni. Ma i bisogni non scompaiono. Si ritirano nel corpo, sotto forma di tensioni croniche, blocchi muscolari, malattie psicosomatiche.
Peter Levine, fondatore del metodo Somatic Experiencing, ha descritto come i traumi emotivi dell’infanzia si traducano in un sistema nervoso congelato, che non ha mai potuto completare il ciclo naturale di attivazione-risoluzione. E così resta in allerta, in una sorta di sospensione vitale.
Da adulti: quando l’infanzia torna nei momenti meno opportuni
Molti disturbi che affrontiamo da adulti sono eco neurologiche dell’infanzia:
- L’ipersensibilità emotiva può derivare da un sistema nervoso non abituato alla regolazione.
- L’attacco di panico può essere la ripetizione inconscia di un’esperienza infantile di disconnessione profonda.
- L’incapacità di fidarsi può nascere da legami precoci imprevedibili o invasivi.
- La difficoltà nel dire di no può essere una risposta appresa per evitare il rifiuto.
Tutto ciò non è debolezza. È neurobiologia adattiva. È il modo in cui il corpo ha imparato a sopravvivere.
Come si può guarire un sistema nervoso segnato dall’infanzia?
La buona notizia è che il sistema nervoso è plastico: può imparare anche da adulto nuove modalità di regolazione, fiducia e sicurezza. Ma serve tempo, pazienza, e soprattutto esperienze riparative.
1. Esperienze relazionali correttive
Relazioni terapeutiche, intime o amicali, basate su presenza e accoglienza, possono fungere da nuovi “caregiver” per il sistema nervoso. La co-regolazione con un altro essere umano è uno dei mezzi più potenti per uscire dalla modalità di sopravvivenza.
2. Pratiche corporee lente e consapevoli
Attività come yoga, meditazione, camminata consapevole, danza somatica o rilascio miofasciale aiutano a ristabilire un contatto sicuro con il corpo. La lentezza è fondamentale: il sistema nervoso traumatizzato teme la velocità, l’imprevedibilità.
3. Riconoscere i segnali del corpo
Diventare consapevoli dei propri stati interni — tachicardia, respiro corto, tensione mandibolare, chiusura della gola — significa iniziare a parlare la lingua del sistema nervoso. Ogni sintomo può diventare un messaggio, e ogni ascolto un gesto di guarigione.
4. Terapie basate sul corpo
Interventi come EMDR, Somatic Experiencing, Terapia Polivagale, Sensorimotor Therapy e altre approcci bottom-up lavorano direttamente sulla memoria implicita corporea. Non è necessario ricordare tutto con precisione. È il corpo che racconta, se ascoltato.
Quando guarire significa tornare là dove si è iniziati a sopravvivere
Guarire un sistema nervoso segnato dall’infanzia non significa tornare indietro. Significa offrire al nostro corpo ciò che non ha mai avuto: sicurezza, contenimento, spazio per sentire.
Non c’è nulla da forzare. Solo da accogliere.
Molti adulti si giudicano per le proprie reazioni emotive: “Sono troppo sensibile”, “Reagisco sempre male”, “Perché mi sento così?”. Ma se impariamo a leggere questi segnali come strategie di sopravvivenza apprese da bambini, smetteremo di vederci come sbagliati e inizieremo a vederci come esseri umani in attesa di riparazione.
Il sistema nervoso non dimentica, ma può trasformarsi
Il nostro sistema nervoso è il diario più sincero della nostra vita. Racconta ciò che è accaduto anche quando la mente ha rimosso, minimizzato o negato. Ma ciò che è stato appreso può essere trasformato. Il corpo può imparare nuovi ritmi, il cuore nuovi battiti, la mente nuovi significati.
Guarire significa dare un nuovo finale a vecchie storie. Significa smettere di sopravvivere e iniziare a sentire.
E questo processo non avviene tutto in una volta. Avviene ogni volta che ci ascoltiamo senza giudicarci, che accogliamo una tensione senza volerla annientare, che permettiamo a una lacrima di dire ciò che le parole non sanno.
Come l’infanzia lascia segni nel sistema nervoso, così l’amore, la consapevolezza e la cura possono lasciarne di nuovi.
Segni che non cancellano il passato, ma che costruiscono un presente più libero.
Ed è proprio da questa consapevolezza che nasce “Il mondo con i tuoi occhi“, il mio libro più intimo e necessario.
Non è un libro che racconta una storia, è un libro che ti invita a riscrivere la tua. Un manuale per chi sente che qualcosa dentro è rimasto incastrato nei giorni dell’infanzia. Per chi non riesce a spiegarsi certe paure, certe reazioni, certi vuoti — ma intuisce che il corpo sa, anche quando la mente non ricorda.
In queste pagine, ho voluto accompagnarti in un viaggio profondo: dall’origine delle emozioni che oggi ti travolgono, fino alla possibilità di diventare il genitore emotivo che non hai avuto. Troverai esercizi per imparare ad ascoltarti, domande che scavano senza ferire, parole che non ti spiegano come dovresti essere, ma ti aiutano a ritrovare chi sei.
Perché non si guarisce cercando di aggiustarsi. Si guarisce imparando a riconoscersi — in ciò che si è stati, in ciò che si è diventati, e in ciò che ancora possiamo scegliere di essere. “Il mondo con i tuoi occhi” è il luogo in cui ciò che hai vissuto smette di essere una condanna e inizia a diventare consapevolezza. Una consapevolezza che abbraccia anche il tuo sistema nervoso, lo libera dall’allerta costante e gli insegna, passo dopo passo, a sentire che ora sei al sicuro.
Se senti che c’è ancora qualcosa dentro di te che chiede ascolto, quel libro potrebbe essere il primo gesto d’amore verso te stesso. Non per capire tutto. Ma per iniziare a sentire — davvero — chi sei, oltre ciò che ti è successo. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon
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Ti aspetto lì per continuare il viaggio.