Come parlare del Covid-19 ai bambini

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor
Le linee guida di Psicoadvisor vertono sulle più autorevoli teorie in materia di Psicologia dello Sviluppo

Fare il genitore è molto difficile e lo è ancora di più in situazioni d’emergenza come questa. Se per noi adulti il coronavirus è qualcosa che si può elaborare e che ha un impatto pratico sulla nostra vita, per un bambino la questione è diversa. Sul bambino il coronavirus non ha solo un impatto pratico (stravolge le sue abitudine) ma potrebbe essere anche forgiante.

Il bambino forma la sua personalità in base alle esperienze vissute. Che impatto avrà il covid-19 sulla personalità in sviluppo di tuo figlio? La risposta dipende, in buona parte, dai tuoi modi di fare. Armati di pazienza e di forza, fallo anche per tuo figlio che ora più che mai ha bisogno di te.

L’errore che fanno spesso i genitori è quello di considerare il bambino come un adulto in miniatura, purtroppo non è affatto così. Il bambino ha una dimensione propria e modi di pensare del tutto diversi.

E’ impossibile dettare linee guida generali su come spiegare il coronavirus ai bambini: ogni bambino ha un suo sviluppo peculiare, in più c’è una grossa differenza tra un infante di 3 anni e un bambino di 5 anni. La situazione non va ignorata neanche con i bambini che si trovano in età preverbale (sotto i due anni).

Indice:

  • Perché è fondamentale parlare di Coronavirus?
  • Come rispondere alle domande dei bambini sul Coronavirus
  • Campanelli d’Allarme
  • Fase preverbale: i bambini che non sanno parlare ma che sanno sentire 
  • Il bambino come una spugna

Perché è fondamentale parlarne?

Far finta di nulla è controproducente. Il bambino vive la stessa situazione drammatica degli adulti ma non ha tutte le risposte che hanno i più grandi e così può essere assalito da una quantità eccessiva di dubbi.

Bollare tutto con la classica frase “non è nullaoppure “non c’è nulla di cui preoccuparsi può essere solo dannoso: osservando il mondo circostante il bambino percepisce uno stato di disagio che l’adulto di riferimento, con frasi come “non è nulla” andrebbe solo a invalidare. Il risultato? Il bambino non solo inizierà a sperimentare paura ma anche inadeguatezza per le sue stesse emozioni. Invalidare il vissuto di un bambino è sempre sbagliato, lo è ancora di più quando si tratta di un evento che è sotto gli occhi di tutti.

Improvvisamente la scuola chiude. La TV non fa altro che parlare di coronavirus, le strade sono deserte, alcuni indossano delle mascherine… i bambini non possono più giocare liberamente con i propri amici. Il mondo del bambino è cambiato e bisogna spiegare in modo opportuno il perché.

Come rispondere alle domande dei bambini sul coronavirus?

«Mamma, che cos’è il coronavirus?»

*Evocare delle esperienze già vissute dal bambino potrebbe essere utile (il bambino ragiona per esperienza appresa). I bambini più piccoli non hanno un “ragionamento astratto” e hanno bisogno di esami pratici. Fare leva su ricordi affini può essere fondamentale. Ecco un esempio di risposta.

“Ricordi quando la tua amica di banco aveva la Varicella e poi l’hai presa anche tu? Oppure quando avevi quel bruttissimo raffreddore? Beh, in quelle circostanze avevi preso un virus. I virus sono dei piccolissimi organismi che solo gli scienziati riescono a vedere con i loro microscopi. Poiché sono invisibili a occhio nudo passano inosservati da una persona all’altra.

Questo coronavirus si prende proprio come un brutto raffreddore ma è più difficile da combattere, ecco perché tutti stanno così attenti e sono un po’ agitati. Per evitare che ci possano essere contagi, proprio come il caso della varicella!”

«Papà, ma si può morire a causa di questo virus?»

*E’ una domanda del tutto lecita, soprattutto se in casa la TV è sempre accesa. La risposta deve essere molto attenta.

Sai cucciolo, il nostro corpo ha delle difese. Quando ti viene il raffreddore e dopo pochi giorni sparisce, significa che le tue difese hanno funzionato bene. Tu sei forte, hai ottime difese ma non tutte le persone hanno difese come le tue, per esempio le persone anziane o chi è già malato, ha delle difese deboli e quindi è più fragile al virus.

«Mamma, ma tu puoi morire?»

*Se il bambino arriva a fare questa domanda così specifica, vuol dire che è molto spaventato. Anche se il genitore è a rischio non può essere del tutto sincero. Rispondere con un “sì” significherebbe catapultare il bambino in una spirale di angoscia. Ecco un esempio di risposta:

“No a mamma! La mamma ti promette che farà tutto il possibile per evitare il virus. Se la scuola è chiusa è proprio per limitare i contagi. Noi staremo molto attenti e dobbiamo essere fiduciosi.”

Se la letalità del virus fosse stata più elevata, la risposta a questa domanda sarebbe stata diversa; considerando le statistiche diffuse dall’OMS, in questa circostanza, un netto “no” è la scelta più saggia. Il bambino deve essere informato ma anche rassicurato.

«Quando potrò giocare di nuovo con gli altri?»

*Anche in questo caso potrebbe essere utile rievocare esperienze apprese di Morbillo, Varicella o altre malattie. Così da far capire al bambino che l’astensione dal gioco ha un senso e che non dipende da qualcosa che ha fatto. Per fornire delle rassicurazioni extra, ecco un esempio:

“Cucciolo per ora possiamo giocare in casa! Possiamo inventare nuovi giochi e soprattutto mi aiuti perché in casa c’è un bel da fare… Ti va di cucinare con me oggi?” 

Spostare l’attenzione del bambino su attività piacevoli e di condivisione può essere una strategia funzionale. E’ bello avere una casa molto ordinata ma per questo periodo di emergenza cerca di fare qualche eccezione. Pensa che ogni pasticcio domestico è stato fatto con amore, la casa si può sporcare e poi pulire…

Mamma e papà, in questo periodo, potrebbero cooperare per il benessere del piccolo. Puzzle, costruzioni, preparare una pizza, far germogliare dei semi, giocare al piccolo chimico, giochi istruttivi, storie…. Sono tantissimi i passatempo che si possono fare in famiglia. Con il coinvolgimento dei genitori, i più piccoli non sentiranno la mancanza della scuola.

Un’ottima risorsa per i più piccoli è il disegno, è un’attività individuale che richiede tempo e concentrazione. I bambini non hanno ancora acquisito tutte le capacità degli adulti, non sanno elaborare le emozioni ne’ esprimerle puntualmente: il disegno è un potente mezzo per esprimere il mondo interiore del bambino.

I campanelli d’allarme

E’ giusto mantenersi aggiornati sull’emergenza attraverso i media ma meglio limitare, al bambino, l’esposizione mediatica. Se la TV continua a parlare di coronavirus e gli adulti di riferimento sono agitati, anche il bambino lo sarà.

Prova ad osservare tuo figlio, come si comporta? Ecco i campanelli di allarme.

  • Vuole dormire nel lettone con mamma e papà
  • E’ diventato estremamente ubbidiente
  • Si mostra molto più responsabile dell’età che ha
  • Ha ripreso a fare la pipì a letto
  • Riferisce che gli fa sempre male il pancino
  • E’ divenuto aggressivo e irascibile
  • Evita accuratamente l’argomento coronavurs

Questi comportamenti sono degli indicatori da non sottovalutare. Non dovrebbero essere letti come “richiesta di attenzione” ma come “richiesta di rassicurazione”.

Per esempio, se il bambino si ritrova catapultato dai nonni o dagli zii, potrebbe mostrarsi più aggressivo o estremamente ubbidiente (in base all’indole caratteriale), in entrambi i casi è bene cercare punti di contatto emotivo con il bambino.

Se per esigenze personali il bambino resta dai nonni o dagli zii, durante la permanenza chiamalo più volte e parla direttamente con lui. Fatti raccontare dettagliatamente cosa ha fatto con i suoi zii, mostrati interessato.

In generale, quando tu e tuo figlio siete insieme, punta alla qualità del tempo condiviso e mira a rafforzare la fiducia del vostro legame. Fornisci al bambino le dovute rassicurazioni rispondendo in modo consono alle domande che ti pone.

Se il bambino evita l’argomento, fai tu il primo passo e raccontagli cosa sta accadendo usando gli esempi visti in precedenza.

Fase preverbale: i bambini che non sanno parlare ma che sanno sentire

Da un punto di vista psicologico, la fase preverbale è una tappa di cruciale importanza per lo sviluppo psico-cognitivo del bambino. In questa fase scendono in campo fattori come “la funzione di rispecchiamento” e il “contagio emotivo”.

Già nei primi mesi di vita i neonati rispondono con delle emozioni alla percezioni di emozioni altrui. Secondo gli autori più accreditati del panorama della Psicologia dello Sviluppo, alla nascita esiste una capacità innata di comprendere le espressioni emotive, si parla infatti di contagio emotivo.

L’emozione di una persona diventa lo stimolo scatenante per l’emozione di un’altra. Quindi l’emozione della mamma diviene lo stimolo scatenante per l’emozione del bambino.

Supponiamo che mentre stai giocando con tuo figlio ricevi una brutta notizia sui contagi in Italia; questo ti provocherà un aumento dei livelli di ansia che il bambino, attraverso il contagio emotivo, proverà a sua volta.

Il bambino inizierà a provare tensione e reagirà esprimendola alla madre (per esempio piangendo, mostrandosi aggressivo o facendo capricci). Tu madre, in questa situazione, dovresti abbracciare un certo stoicismo, dovresti distaccarti dalle preoccupazioni e renderti disponibile emotivamente per accogliere e alleviare le tensioni del bambino.

Lo sforzo richiesto è molto elevato, tuttavia, una mamma costantemente invischiata in preoccupazioni e allarmismi, le trasmetterà a sua volta al suo bambino. E’ proprio per questo che si è diffusa la frase “i bambini sono una spugna”.

La natura contagiosa delle emozioni è qualcosa che ci accompagna per tutta la vita ma diventa di cruciale importanza nell’infanzia. Attento alle emozioni che trasmetti!

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