Come riconoscere il mal d’amore: 4 tipologie di dipendenza affettiva

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Esistono diverse tipologie di dipendenza affettiva che vengono confuse da chi le vive come amore. C’è un limite sottile tra amare una persona ed avere una dipendenza affettiva. Amare è naturale, soprattutto durante la prima fase, vivere in simbiosi e condizionarsi reciprocamente. I rapporti di intimità sono molto influenzati dagli schemi di attaccamento dell’infanzia, in un certo modo riusciamo ad amare ed a farci amare come siamo stati amati dai nostri genitori.

Noi ci riflettiamo nello sguardo dell’altro

Quello che sperimentiamo da piccoli nella relazione con i nostri genitori (o con gli adulti a cui siamo affidati) ha delle conseguenza nella nostra vita adulta, nel nostro modo di stare in rapporto con gli altri, in particolare con il partner. Influenza il nostro comportamento e le nostre aspettative rispetto a chi ci circonda. Ciò che siamo stati saremo, la nostra storia, la portiamo tutti sul cuore, sulla pelle e negli occhi che cercano l’altro, una verità che ogni genitore e che ogni mamma in particolare dovrebbe conoscere. Ecco perchè conoscere la dipendenza affettiva è fondamentale per sapere come superarla. 

I sintomi della dipendenza affettiva patologica

In una relazione caratterizzata da dipendenza affettiva patologica, accade spesso che uno o entrambi i partner ritengano l’altro in qualche modo responsabile della propria felicità o infelicità. Vi è un’immagine di sé come soggetto incapace, bisognoso dell’altro, caratterizzato da insicurezza e paura di perdere la persona amata. Per non essere abbandonati o rifiutati i dipendenti affettivi mettono in atto comportamenti compiacenti e sacrificali verso il partner con la speranza di rendere la relazione stabile e duratura. Nel lungo termine, questo tipo di rapporti può compromettere il buon funzionamento della persona in aree importanti della vita come il lavoro o lo studio, gli amici e la famiglia.

I sintomi associati alla dipendenza affettiva patologica possono essere stress e ansia, pensiero ossessivo nei confronti del partner, depressione e comportamenti impulsivi e compulsivi che, nei casi più gravi, possono condurre alla minaccia o alla messa in atto di azioni autolesionistiche e tentativi di suicidio. Il requisito chiave della dipendenza affettiva patologica è l’incapacità degli attori coinvolti a uscire dalla relazione, nonostante ne riconoscano le conseguenze negative e il malessere prodotto, oscillando tra alti e bassi, a volte molto dolorosi. La relazione che si verrebbe, dunque, a stabilire si caratterizza per l’alternanza di ruoli legati fra loro a doppio filo dallo stesso stato di dipendenza patologica.

Tipologie di dipendenza affettiva

Pensare che la dipendenza affettiva riguardi soltanto quella situazione in cui un partner non riesce a fare a meno dell’altro, si è
fuori strada. Infatti, all’interno della più comune dipendenza affettiva si inserisco almeno 4 diverse tipologie di relazioni malsane. I particolare, la dipendenza affettiva può essere distinta in quattro categorie patologiche:

  • La dipendenza passiva
  • La co-dipendenza
  • La dipendenza aggressiva
  • La contro dipendenza

La dipendenza passiva

La prima forma di dipendenza affettiva è quella del dipendente passivo. Il partner così definito ha una bassa considerazione di se stesso e si considera senza valore e incompetente; queste caratteristiche si riflettono nel suo principale bisogno di vicinanza e protezione e possono essere tipiche di un soggetto con Disturbo Dipendente di Personalità. L’altro, spesso idealizzato, servirebbe allo scopo di colmare questo bisogno ma nel farlo confermerebbe al dipendente passivo un’immagine di sé fragile e inadeguata.

Al partner, ritenuto responsabile della propria felicità, il dipendente passivo richiede aiuto e continue rassicurazioni ed evita di esprimere disaccordo, accettando ad esempio eventuali comportamenti maltrattanti, sottomettendosi o, tuttalpiù, mettendo in atto reazioni passivo-aggressive con l’aspettativa irrealistica di motivare ancora una volta vicinanza e accudimento. Il partner sarebbe, dunque, sobbarcato dalle continue richieste di presenza del dipendente passivo finalizzate a placare il suo terrore reale o immaginario di essere abbandonato e della rottura della relazione. Rispetto a queste possibilità, il dipendente passivo può giungere a minacciare o a mettere in atto azioni suicidarie con lo scopo di riassicurarsi la vicinanza del partner.

Le cause della dipendenza passiva si ritiene derivino dall’iper-coinvolgimento e dal comportamento intrusivo dei genitori.

Questi potrebbero soddisfare i propri bisogni di dipendenza attraverso il bambino, premiando l’eccessiva accondiscendenza e la sottomissione e respingendo i tentativi che il bambino fa verso una sana autonomia. Inoltre, le famiglie dei dipendenti passivi spesso non sono in grado di esprimere le emozioni e i bisogni e tendono all’eccessivo controllo. Infine è possibile che il bambino dipendente passivo sia stato ripetutamente umiliato nel corso della sua vita con il conseguente sviluppo di numerosi dubbi sulle proprie capacità di eseguire operazioni, assumere nuove responsabilità, e in generale funzionare indipendentemente dagli altri.

Questo genera poi nell’adulto l’idea di non essere in grado di vivere autonomamente e un’immagine di sé come debole e incapace, entrambi causa di atteggiamenti richiedenti e bisognosi, che suscitano nel partner comportamenti di tipo assistenziale. Se questi non lo soccorre continuamente o non è in grado soddisfare più le sue richieste incessanti, il dipendente passivo potrebbe comunque decidere di sostare nella relazione nell’illusione di ottenere finalmente la soddisfazione dei suoi bisogni nel prossimo futuro; oppure ritenere ancora la sottomissione e l’espressione dello stato di debolezza e vulnerabilità come strategicamente utili a raggiungere il suo obiettivo. Intanto, però, nel presente vive una relazione caratterizzata da dipendenza affettiva e quindi altamente insoddisfacente e maladattiva.

La co-dipendenza

La co-dipendenza si caratterizza nello specifico per la tendenza a sacrificare se stessi per l’altro, come una sorta di “sindrome della crocerossina” che si riassume nell’imperativo “io ti salverò”. La scelta di diventare il salvatore condivide con la dipendenza passiva, descritta in precedenza, il fine di assicurarsi la vicinanza nella relazione ma si differenzia da questa per il bisogno di sentirsi necessari e/o di valore per l’altro che nel dipendente passivo è assente. Il co-dipendente può pensare: “con il mio amore guarirò le tue ferite”.

La co-dipendenza può essere attivata da personalità dipendenti, borderline e narcisiste e spesso si ritrova nelle persone con disturbo borderline o narcisiste.

Il sacrificio di sé in favore di un altro rappresenta il prezzo che secondo il co-dipendente va pagato per mantenere un certo grado di sicurezza o valore personale nella relazione. Quindi, se le caratteristiche dei dipendenti passivi riflettono sottomissione e dipendenza dall’altro a causa del forte senso d’inadeguatezza e della credenza di non essere in grado di prendersi cura di se stessi, la cura eccessiva dell’altro, tipica della co-dipendenza, rimanda alla forma di un Sé indegno e a strategie per mantenere una vicinanza fisica ed emotiva. Legarsi a partner problematici o malati o deboli diverrebbe, dunque, un modo per assicurarsi valore e vicinanza.

Può accadere che più il partner stia male, più per il co-dipendente avrà senso e valore la vita. Per questo motivo un partner in continuo stato di bisogno diventa per il co-dipendente l’unico modo per dare un senso alla relazione di coppia.
Tra le cause della co-dipendenza nelle relazioni di coppia in età adulta, possiamo ritrovare un bambino cresciuto all’interno di una famiglia disfunzionale con uno o più membri affetti da qualche patologia mentale o fisica cronica a causa della quale non è stato possibile occuparsi in pieno dei suoi bisogni. Anche un ambiente abusante fisicamente, emotivamente e sessualmente può essere un fattore che nell’adulto comporta lo sviluppo di ruoli di co-dipendenza.

Genitori con dipendenze da alcool, droghe, gioco, sesso, lavoro e cibo sono un’altra condizione in grado di promuovere la co-dipendenza.

In questo tipo di famiglie, il bambino impara a reprimere le emozioni e a ignorare i propri bisogni, divenendo un sopravvissuto e impiegando tutte le energie per salvare l’altro malato poiché unica fonte di gratificazione e valore del sé. L’adulto co-dipendente svilupperà, dunque, una relazione completamente centrata sull’altro e nella quale i bisogni personali avranno poco valore o non verranno riconosciuti per niente. Nel lungo periodo proverà malessere consumato dalla cura eccessiva di un altro spesso completamente concentrato su di sé o sulla sua malattia. Nonostante questo il co-dipendente faticherà a separarsi dal partner poiché non si riesce a immaginare solo e senza qualcuno su cui riversare le proprie cure e attenzioni.

La dipendenza aggressiva

Il dipendente aggressivo tende a mostrarsi rabbioso e rancoroso all’interno della relazione di coppia. La caratteristica di chi ha una dipendenza affettiva di tipo aggressivo è sicuramente quella di svalutare sia il partner che se stesso, poiché considera l’altro/a inadeguato/a, ma considera anche se stesso come non meritevole di avere una relazione appagante e un partner accudente e premuroso. Il dipendente affettivo vive, dunque, un duplice conflitto interno in cui desidera una relazione soddisfacente ma crede di non meritarla.

Ciò lo porta ad avere un comportamento aggressivo e violento e a mostrare disprezzo, umiliando il partner. Solitamente il dipendente affettivo predilige chi ha una dipendenza affettiva di tipo passivo. Questo diventa l’unico modo per sfogare su qualcun altro tutto ciò che il soggetto aggressivo ha subìto in passato su di sè. Infatti, tra le cause della dipendenza aggressiva in una relazione affettiva adulta, troviamo sicuramente un ambiente familiare violento, aggressivo e abusante, in cui il bambino non solo non ha trovato spazio per soddisfare i propri bisogni ma questi gli sono stati negati o non riconosciuti.

La contro-dipendenza

La contro-dipendenza è definita come una condizione caratterizzata dal rifiuto della relazione e, quindi, dalla negazione del naturale bisogno personale di dipendenza, vissuto invece come grave minaccia alla propria autonomia. Nel contro-dipendente è costante il tentativo di mostrare un’immagine di sé perfetta, di potere e di successo e l’adozione di ogni misura per garantire la propria indipendenza. Il contro-dipendente è emotivamente non disponibile e in misura diversa, in base al suo vissuto, può essere manipolativo e maltrattante fino all’uso della violenza. Il partner sarebbe visto come un contenitore sul quale poter versare frustrazioni, rabbia e in generale l’obiettivo è di dominarlo.

Tra le cause della contro-dipendenza ritroviamo un temperamento dirompente e un atteggiamento provocatorio che mascherano in realtà un sottostante senso di solitudine e alienazione e una personalità bisognosa, spaventata e vulnerabile.

Tale condizione può essere originata dal terrore abbandonico risolto imparando a fare a meno dell’altro, da un ambiente iperprotettivo durante l’infanzia che ha danneggiato la fiducia del bambino in sé o, ancora, da un ambiente eccessivamente permissivo e indulgente che ha comunicato al bambino un senso di superiorità. E’ possibile, infine, quando la contro-dipendenza si accompagna ad abusi perpetrati a danno del partner, che il contro-dipendente abbia egli stesso vissuto in un ambiente violento sia nel ruolo di testimone che in quello di vittima.

La consapevolezza di tali condizioni rappresenta esclusivamente il punto di partenza per la comprensione del personale disagio del contro-dipendente all’interno della relazione dalla quale scappa ma che al contempo desidera. Il suo obiettivo è cercare di mantenere alta l’ammirazione del partner del quale, infatti, non può fare a meno ma che, nonostante questo, finisce per allontanare perdendo quel tipo d’intimità e sostegno di cui avrebbe bisogno.

Ciò che guida il comportamento del contro-dipendente è una mentalità dunque evitante

Che non gli permette di provare una reale fiducia nell’altro e permea la relazione di una costante e pervasiva paura della relazione e dell’ipotetica perdita di potere alla quale risponde oppresso provando a dominare e/o a scappare e nei casi estremi usando la violenza e l’abuso. Nel matrimonio, e in generale nel legame più al lungo termine, è possibile che il contro-dipendente tenderà a non mostrare il bisogno di dipendenza e sarà riluttante ad aprirsi all’altro per non apparire debole. Inoltre, sarà disposto a concedere soltanto una confidenza superficiale e/o una connessione emotiva non profonda e avrà la tendenza a ricercare altri partner che siano in grado di compiacerlo, mettendo così in atto il tradimento che è un’altra strategia tipica del contro-dipendente.

Adulti con caratteristiche di contro-dipendenza hanno uno storico di numerosi fallimenti relazionali, iniziano relazioni che non possono sostenere o alle quali non hanno mai permesso di divenire realmente intime. E’ possibile che possiedano caratteristiche simili a quelle definite nel disturbo narcisistico, evitante e borderline.

In linea di massima, si può affermare che il contro-dipendente cerca nel partner la soddisfazione del bisogno di essere ammirato confermandogli l’immagine di sé grandiosa.

Ma non appena il partner fa richiesta di soddisfazione dei propri bisogni il contro-dipendente inizia a sentirsi oppresso, cova malessere e decide di uscire dalla relazione spesso rientrandoci poco dopo al fine di ristabilire quel senso di sé grandioso o quell’immagine perfetta garantita dalla presenza del partner. L’ambivalenza fra il desiderio d’intimità e il terrore della dipendenza sono inconciliabili nel contro-dipendente che condannerà se stesso e il partner a una relazione maladattiva e infelice caratterizzata da continui alti e bassi e abbandoni.

Sperimenta nuovi modi di essere

Pochi di noi hanno avuto la fortuna di essere costantemente valorizzati. Tutte le volte che gli altri non hanno creduto in noi, ci hanno insegnato a non farlo! Le volte che gli altri ci hanno umiliati e scherniti, ci hanno insegnato a essere timorosi e sfiduciati. Famiglia, amici di scuola, insegnanti… ci hanno implicitamente insegnato a metterci da parte, a svalutare il nostro valore intrinseco, a ignorare l’immenso potenziale che ci portiamo dentro.

Imparare a conoscersi significa sperimentare se stessi, cimentarsi in piccole e grandi imprese. Il modo migliore per farlo è iniziare un percorso psicoterapeutico. Se ti va di fare un vero viaggio introspettivo alla scoperta di chi sei, se ti va di analizzare te stesso, i tuoi vissuti emotivi e le tue storie relazionali, dall’infanzia all’età adulta, posso consigliarti la lettura del mio libro (già bestseller!) “D’Amore ci si ammala, d’Amore si guarisce”. Intendiamoci, un libro non può cambiarti la vita ma può aiutarti a costruire relazioni migliori, con te stesso e con gli altri. Il cambiamento, poi, sarà inevitabile, sarà la naturale conseguenza di un’autentica scoperta di sé. Curare i nostri legami, le nostre ferite, i nostri conflitti… curare il nostro benessere, è un dovere imprescindibile che abbiamo verso noi stessi. Nel libro, troverai molti esercizi psicologici pratici che potranno aiutarti in mondo tangibile fin da subito.

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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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