Ti è mai capitato di avere accanto una persona di cui non riuscivi mai a prevedere le reazioni? Un giorno presente, affettuosa, quasi travolgente; il giorno dopo distante, fredda, irraggiungibile. Una persona che parla di grandi progetti, ma che poi si sottrae quando è il momento di dare concretezza. Oppure che sembra cercare conflitti senza ragione, salvo poi tornare con intensità come se nulla fosse accaduto.
Comportamenti tipici della persona instabile
L’instabilità non è sempre un “problema clinico”: è spesso il segno di una difficoltà a mantenere continuità emotiva, a reggere la vicinanza senza sentirsi minacciati, a sopportare il tempo senza aver bisogno di scosse e picchi. È una fragilità che può assumere varie forme e intensità, ma che in ogni caso genera in chi la vive accanto una sensazione precisa: non sapere mai “dove si è”.
In questo articolo non troverai etichette né diagnosi, ma l’analisi di cinque comportamenti ricorrenti che caratterizzano le persone instabili sul piano relazionale. Cinque dinamiche che non sempre nascono da cattiveria, ma da antiche ferite interiori. Riconoscerle è importante per capire cosa accade dentro di te quando le sperimenti, per proteggerti senza chiuderti, e per non confondere l’amore con l’altalena emotiva.
1) Oscillazioni affettive: idealizzazione e svalutazione
Uno dei segnali più evidenti è l’alternanza tra fasi di idealizzazione e fasi di svalutazione. La persona instabile, in certi momenti, può farti sentire unica, speciale, quasi indispensabile. Ma basta poco — un dettaglio, una parola, un silenzio — perché la sua percezione cambi radicalmente e tu diventi oggetto di critiche, distacco o freddezza.
Sul piano psichico questo andamento riflette una difficoltà a integrare l’altro in una visione complessa e stabile. L’altro viene percepito come “tutto buono” o “tutto cattivo”, senza sfumature. Si tratta di una modalità che spesso affonda le radici in esperienze precoci, quando la figura di accudimento era a tratti disponibile e a tratti assente, generando nel bambino una percezione frammentata e non coerente.
Sul piano relazionale chi subisce queste oscillazioni vive in un costante stato di allerta. Si domanda continuamente se ha fatto qualcosa di sbagliato, si sente responsabile delle variazioni dell’altro, cerca di decifrare ogni segnale per anticipare la prossima svolta. È un logoramento sottile, che consuma la spontaneità e accresce il senso di insicurezza.
2) Incoerenza tra parole e azioni
Un altro comportamento tipico riguarda la distanza fra ciò che viene detto e ciò che viene fatto. La persona instabile tende a promettere molto: parla di progetti futuri, di cambiamenti radicali, di impegni importanti. Ma quando arriva il momento di tradurre le parole in atti concreti, spesso si ritrae, dimentica, rinvia.
Sul piano psicologico questa incoerenza nasce da una difficoltà a reggere la frustrazione e la costanza che i legami richiedono. Progettare e dichiarare dà una gratificazione immediata, mentre mantenere richiede disciplina, continuità e capacità di regolare emozioni meno intense come la noia, l’attesa, la responsabilità.
Sul piano relazionale vivere accanto a chi promette e non mantiene significa oscillare tra speranza e delusione. Significa sentirsi costantemente in sospeso, costretti a portare sulle proprie spalle la continuità della relazione. Alla lunga questo logora la fiducia e crea un divario profondo tra aspettative e realtà.
3) Ricorso al conflitto come regolazione
Per alcune persone instabili il conflitto non è un incidente, ma una modalità abituale di regolazione della vicinanza. Piccoli contrasti si trasformano in grandi discussioni, spesso sproporzionate rispetto all’evento che le ha innescate. Dopo la lite, però, arriva un riavvicinamento intenso, come se la tempesta fosse servita a ristabilire il contatto.
Sul piano psichico questa dinamica rivela una difficoltà a tollerare la calma e la stabilità, percepite come vuote o minacciose. L’intensità emotiva — anche se dolorosa — diventa una prova di esistenza e di legame. In questo senso, la crisi non è evitata: è ricercata, perché consente di “sentire” e di confermare la relazione.
Sul piano relazionale il partner rischia di confondere tensione e passione, iniziando a misurare il valore della relazione attraverso la lunghezza delle riappacificazioni. È un circolo vizioso che consuma le risorse emotive e riduce la possibilità di costruire una base affettiva stabile.
4) Esternalizzazione della responsabilità
La persona instabile tende a collocare all’esterno la causa dei propri comportamenti. “Mi arrabbio perché tu mi provochi”, “Mi comporto così perché la situazione lo impone”, “Non è colpa mia, ma delle circostanze”. Questa esternalizzazione è un modo per difendersi dal dolore della responsabilità.
Sul piano psicologico si tratta di un meccanismo difensivo: assumersi la responsabilità significa confrontarsi con la propria fragilità, con il senso di colpa o con il timore di non essere all’altezza. Proiettare all’esterno protegge, ma impedisce la crescita e la possibilità di correggere i propri schemi.
Sul piano relazionale chi subisce questa dinamica vive un clima di continua accusa. Per evitare conflitti si autocensura, riduce le proprie richieste, rinuncia a esprimere bisogni autentici. A lungo andare, la relazione diventa sbilanciata, basata sul potere di chi accusa e sul silenzio di chi subisce.
5) Confini instabili: tra fusione e ritiro
Un ultimo comportamento tipico è la difficoltà a mantenere confini chiari e coerenti. Ci sono momenti in cui la persona instabile chiede un’intimità immediata e totalizzante, salvo poi chiudersi improvvisamente in un ritiro inspiegabile. È un alternarsi di tutto e niente, di apertura e chiusura senza gradualità.
Sul piano psichico questo schema si sviluppa spesso in chi, da bambino, non ha avuto confini rispettati: può essere stato invaso, controllato o, al contrario, lasciato solo. L’adulto che ne deriva fatica a regolare la giusta distanza, oscillando tra fusione e distacco come unica forma di protezione dall’angoscia.
Sul piano relazionale il partner vive un senso di precarietà: quando la vicinanza è eccessiva si sente invaso, quando l’altro si ritrae si sente abbandonato. La difficoltà a modulare la distanza impedisce di costruire un legame basato su fiducia e gradualità.
L’instabilità non equivale a cattiveria
Attribuire l’instabilità a un difetto morale sarebbe riduttivo e ingiusto. Nella maggior parte dei casi, si tratta del risultato di esperienze precoci che hanno reso difficile lo sviluppo di un senso stabile di sé e dell’altro. La persona instabile non “sceglie” di oscillare: ripete inconsapevolmente ciò che ha imparato. Questo non significa giustificare i danni che provoca, ma comprenderli per non confonderli con cattiva volontà. La consapevolezza, se accompagnata da responsabilità, può aprire la strada a un cambiamento reale.
Perché l’instabilità logora corpo e mente
Il corpo registra l’instabilità in modo immediato. Il nostro sistema nervoso, progettato per anticipare ciò che accade, fatica a reggere segnali incoerenti: un giorno sei accolto, il giorno dopo rifiutato; una promessa oggi, una smentita domani. Questa incoerenza attiva una risposta di allerta costante. Si sperimenta allora ansia, insonnia, mente confusa, fatica di concentrazione. Non si tratta di “debolezza”: è il corpo che segnala la difficoltà di vivere senza continuità.
Proteggersi senza chiudersi
Difendersi dall’instabilità non significa alzare muri, ma definire limiti chiari. È importante distinguere tra oscillazioni episodiche e instabilità cronica. Nel primo caso, la persona sa riconoscere i propri comportamenti e riparare; nel secondo, le riparazioni mancano e il ciclo si ripete all’infinito. Imparare a stabilire confini, a rispettare i propri tempi e a chiedere coerenza non significa rifiutare l’altro, ma tutelare la possibilità di un legame basato sulla stabilità e non sulla precarietà.
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