Ormai tutti sappiamo che l’ansia è una normalissima reazione umana, tutti noi la sperimentiamo quando ci sentiamo in pericolo e si attiva il nostro sistema fisiologico di attacco-fuga. L’ansia diventa patologica quando, sentendoci sempre sotto minaccia, viviamo in stato di allerta. Da queste poche righe d’introduzione, è intuibile quanto sia complesso il meccanismo ansioso. Da un lato c’è il pensiero, quindi la valutazione che noi facciamo di stimoli interni o esterni, dall’altro ci sono le reazioni psicofisiologiche associate a sistema di attacco-fuga. È così che insorge quella sensazione di tensione oppressiva caratteristica dell’ansia. Etichettiamo uno stimolo come minaccioso (anche quando non lo è) e la nostra fisiologia fa il resto. Già, perché l’ansia, così come tutte le sensazione emotive che proviamo, riusciamo a sentirla perché è nel nostro corpo.
Si può guarire dall’ansia?
Nella psicoterapia, l’ansia è curata a livello della valutazione dello stimolo. In ambito psicoanalitico e psicodinamico si indagano le cause scatenanti e i significati simbolici degli stimoli minacciosi così da consentire un’elaborazione più profonda dei vissuti interiori che innescano il quadro ansioso. Molti approcci, come quello cognitivo-comportamentale, propongono dei veri e propri training per allenarsi cognitivamente a discernere stimoli ansiosi da stimoli neutrali. Senza una valutazione minacciosa dello stimolo, la cascata di reazioni fisiologiche associata all’ansia non si verificherà! Siamo guariti!
Nella psicofarmacologia, invece, si utilizzano ansiolitici (come le benzodiazepine che facilitando il legame del neurotrasmettitore inibitorio GABA) per arrestare o quantomeno attutire parte della reazione psicofisiologica associata all’ansia. La valutazione minacciosa dello stimolo rimane, ma si inibiscono gli effetti. Stiamo agendo sul sintomo.
Sebbene la psicofarmacologia sia di estremo ausilio nella cura di numerose affezioni della mente, è sempre importante utilizzare un approccio metacognitivo. La metacognizione è l’aspetto del funzionamento mentale atto a controllare i processi attentivi e di pensiero. In altre parole, la metacognizione ci consente di riflettere e ragionare sui nostri pensieri. Chi soffre d’ansia, sa bene quanto la mente possa giocare brutti scherzi. I pensieri ricorrente, la ruminazione mentale (rimuginio) e le preoccupazioni, possono sopraffarci paralizzandoci o innescando un perenne stato di allerta, l’ansia!
A ognuno il suo stimolo minaccioso
Una delle caratteristiche del disturbo d’ansia è che i pensieri ripetuti diventano non solo impossibili da dominare ma anche parte della realtà tanto da causare una percezione distorta. Per esempio, chi soffre di fobia sociale, nel pensiero tormentato di poter fare brutta figura ed essere mal giudicato, finirà per convincersi di non piacere, leggerà nel volto degli altri sguardi di scherno, espressioni di disgusto o disappunto. Uno stimolo neutrale (un’espressione neutra) viene letta come minacciosa. Sì, perché per chi soffre di ansia sociale, la minaccia è il rifiuto.
L’abbandono, il rifiuto, il tradimento, il giudizio, la perdita di controllo, il disaccordo… Ognuno di noi ha il suo stimolo minaccioso che funge da trigger, da innesco per il sintomo ansioso.
Cosa accade nel cervello di chi soffre d’ansia?
Nel cervello delle persone ansiose sono state osservate peculiarità funzionali. Cosa significa? Che il cervello delle persone ansiose è come quello di qualunque altra persona, però, a causa dell’attitudine a individuare costantemente stimoli minacciosi e degli elevati livelli di allerta, si verifica un funzionamento differente in 5 aree cerebrali. Vediamole insieme.
Amigdala troppo attiva
L’amigdala è l’area del cervello deputata alle risposte istintive di attacco e fuga. È implicata in un gran numero di funzioni, molte delle quali coinvolgono la memoria implicita che approfondiremo parlando dell’ippocampo. Adesso scopriamo insieme in che modo l’amigdala funziona in modo diverso nelle persone ansiose? È piuttosto intuitivo. L’amigdala è quasi iperattiva. Lavora di più. Tale maggiore attivazione è un segnale inequivocabile di un’eccessiva risposta alla paura.
Una “soluzione chimica” (anche se, come abbiamo visto, le soluzioni chimiche sono solo palliative) a questo stato di attivazione eccessiva dell’amigdala arriva dall’ossitocina. Produciamo ossitocina durante gli abbracci, quando ci sentiamo affettivamente vicini a qualcuno, quando siamo innamorati… Secondo uno studio pubblicato sull’autorevole Biological psychiatry (Neuman e Slattery, 2015), quando a soggetti ansiosi veniva somministrata ossitocina, le loro amigdale non erano più iperattive. Questo può suggerire che l’ansia diviene più forte quando associata a sentimenti di solitudine protratti nel tempo.
In casi limite, è stato osservato che l’amigdala era divenuta più grande nelle persone con fobia sociale (Kraus et al, 2018). Questo ci dimostra come il nostro corpo, comprese le strutture del nostro cervello, si adattino alle nostre esigenze. Un’esigenza della persona ansiosa è quella di vigilare, di rispondere prontamente a stimoli minacciosi. Ecco che l’amigdala accresce il suo volume reclutando nuove terminazioni nervose.
Corteccia prefrontale pigra
La corteccia prefrontale è coinvolta in molte delle funzioni che guidano il nostro comportamento. Per esempio, è essenziale nella pianificazione, nei processi decisionali, nell’autocontrollo (…). Per semplificare, dirò che la corteccia prefrontale, tiene a bada gli stimoli impulsivi provenienti dall’amigdala e da altre aree più primitive del cervello.
È stato osservato che nelle persone ansiose, la corteccia è poco attiva. Inoltre, quando è attiva, la corteccia prefrontale potrebbe causare una maggiore attivazione dell’amigdala. Il motivo? La corteccia sostiene i tuoi processi attentivi. Quando usi il pilota automatico e la tua mente va da sola, prestando attenzione a stimoli che valuti come minacciosi, comuni alla tua corteccia di attivare l’amigdala. Ovviamente tutto questo avviene in modo involontario.
Se, però, fai un ulteriore sforzo attentivo e usi la tua capacità metacognitiva (cosa dicevamo prima della metacognizione? Ti aiuta a riflettere sui tuoi pensieri, anche su quelli automatici!), questa tendenza può invertirsi. Cosa significa? Che puoi stimolare maggiormente la corteccia preferontale, puoi riflettere, puoi auto-rassicurarti e puoi concedere una tregua alla tua amigdala!
Corteccia cingolata anteriore sensibile
La corteccia cingolata anteriore svolge un ruolo cruciale nella regolazione emotiva. A volte parliamo delle persone ipersensibili. Beh, quelle avranno sicuramente una corteccia cingolata iperattiva! Insomma, non si tratta di una storia solo emotiva, ma di una storia multifattoriale che coinvolge in toto il nostro cervello!
La corteccia cingolata anteriore è particolarmente coinvolta nell’affrontare lo stress, nell’elaborazione di stimoli emotivi come può essere l’abbandono, il rifiuto sociale, le minacce al proprio senso dell’identità, alla propria autonomia (…).
Le persone ansiose, in qualche modo, sono anche ipersensibili perché quest’area del cervello risulta particolarmente attiva. Sono ancora più sensibili, però, alle emozioni negative temute. Il quadro visto fin ora ci dice che le persone ansiose sono in oggettive difficoltà quando tentano di controllare le proprie emozioni e il proprio comportamento emotivo. Ecco perché a loro è richiesto uno sforzo cognitivo in più. Metacognizione! Lo ripeterò fino allo sfinimento perché è nella riflessione attenta sui propri automatismi che si afferra la possibilità di discernere gli stimoli neutrali da quelli realmente minacciosi.
Giro fusiforme capriccioso
Il giro fusiforme è una zona del cervello che, come tutte le aree, assolve a diverse funzioni, tra queste, l’elaborazione dei volti. Riusciamo a leggere l’espressione degli altri grazie a quest’area (parte del nostro sistema visivo). Quando interagiamo con gli altri, il giro fusiforme ci dà molte informazioni: lo stimo annoiando con i nostri discorsi? È affascinato da noi? Ammaliato? Arrabbiato o disgustato? Ecco, nelle persone ansiose il giro fusiforme o è troppo attivo oppure non è affatto attivo! Dipende dalle strategie di coping adottate dal singolo (da come la persona affronta l’ansia e le difficoltà della vita).
Per esempio, nelle persone schive, timide, che tendono a evitare lo sguardo altrui, quindi sempre un po’ sfuggenti, l’adattamento cerebrale ha visto una minore attività di quest’area. Al contrario, se la persona tiene tutti sulle corde, mette alla prova gli altri ed è a caccia di segnali, avrà un giro fusiforme più attivo del solito.
Ippocampo reticente
L’ippocampo è attivamente coinvolto nell’apprendimento e nella memoria. La ricerca si è soffermata molto su quelle che sono le memorie implicite. Questa funzione è importante perché la stessa ansia potrebbe essere vista come una apprendimento fissato nella nostra memoria emotiva. Un apprendimento per il quale associamo una risposta ansiosa a determinati stimoli che in passato abbiamo valutato come impossibili da gestire. Alcuni approcci psicoterapeutici utilizzano una strategia di estinzione della paura lavorando proprio sulle memorie emotive e nuovi apprendimenti.
Una ricerca pubblicata sull’Oxford University Press (Blackford e Avery, 2016) ha notato che le persone che soffrono d’ansia (in particolare era ansia sociale), fanno fatica a familiarizzare con i nuovi volti, anche se li vedono più e più volte (e quindi non sono più così nuovi). L’altro, quindi, è visto e vissuto come un estraneo per più tempo. Come se i soggetti ansiosi mettessero un costante freno a mano ai sentimenti di familiarità, sicurezza e fiducia.
La ricerca di sicurezza come antidoto all’ansia
Se la gran parte degli approcci terapeutici agiscono a livello della valutazione dello stimolo minaccioso, c’è un altro modo per proteggersi dall’ansia. Lasciarla vincere momentaneamente e intanto lavorare sulle proprie risorse. La valutazione non è solo dello stimolo. Chi soffre d’ansia, infatti, in primis valuta negativamente se stesso, si ritiene non all’altezza di affrontare quella minaccia. L’ansia scatta perché la persona ha paura di essere sopraffatta dallo stimolo. Ebbene, lascia che quello stimolo minaccioso ti venga addosso, ti attraversi… non ti succederà un bel niente, perché tu sei più forte di quanto possa immaginare. Ecco, lavorare sulla valutazione di sé, sulla propria affermazione personale e sul far emergere le proprie risorse, può essere il passo giusto!
Sai, ho scritto un manuale di psicologia (camuffato da libro sulla crescita personale) che può esserti molto utile. Non è incentrato sui meccanismi dell’ansia ma approfondisce quelli che sono i pensieri automatici, quelli che possiamo ritenere stimoli minacciosi e soprattutto si concentra sul concetto di sicurezza e identità personale. Perché tutti noi abbiamo un disperato bisogno di sentirci al sicuro. Gli stimoli che riteniamo minacciosi, infatti, non minacciano la nostra sopravvivenza ma la nostra identità. La sicurezza dilaga quando impariamo ad affermarci e finalmente, concedere un po’ di tregua all’amigdala! Il libro si chiama «Riscrivi le Pagine della Tua Vita» e ha già aiutato decine di migliaia di persone. Lo puoi trovare in libreria o su Amazon, a questo indirizzo.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
Autore del libro bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” – Rizzoli e dell’attesissimo «d’Amore ci si Ammala, d’Amore si Guarisce».
Se ti è piaciuto questo articolo puoi seguirmi su Instagram: @annadesimonepsi
Seguire le pagine ufficiali di Psicoadvisor su Facebook: sulla fb.com/Psicoadvisor e su Instagram @Psicoadvisor