Che differenza c’è fra un pulcino che torna di corsa affannato da mamma chioccia e Anna seduta a prendere un caffè, in preda a un’angoscia non governabile? Il pulcino ha avuto un attacco di panico, così come Anna, ma con episodi opposti. Il pulcino prova un terremoto di adrenalina, scatenato da un’impennata di ansia e paura, fino, appunto, al panico, quando giunge alla distanza critica dalla mamma. Se non lo avesse, e si allontanasse di più, in un secondo sarebbe agguantato dai predatori.
La selezione naturale ha dunque privilegiato nel piccolo pennuto la reazione più utile a sopravvivere. Questa reazione primordiale, che crea un cortocircuito nel cervello e nel corpo, è strettamente legata al bisogno di sopravvivenza individuale. Scatta quando qualcosa o qualcuno minaccia la nostra vita, la nostra salute, la nostra integrità, reale o simbolica. Eppure Anna, apparentemente non si sentiva minacciata: come nasce il suo attacco di panico?
L’attacco di panico coinvolge mente e corpo attraverso una rapidissima sequenza di reazioni fisiche ed emotive che sono più veloci di qualsiasi processo razionale.
Che cosa succede esattamente nel nostro cervello?
Nel tentativo di chiarire meglio il meccanismo di insorgenza dell’attacco di panico molti studiosi si sono dedicati alla ricerca degli aspetti biochimici e delle aree neuroanatomiche potenzialmente coinvolte nella genesi dell’attacco di panico. Gli aspetti biochimici si riferiscono a quelle sostanze che mettono in contatto tra loro le cellule nervose, chiamate “neurotrasmettitori”.
Grove et al. (1997) ritengono che nell’attacco di panico siano coinvolti diversi sistemi di neurotrasmettitori che si influenzano reciprocamente. A riprova di ciò il fatto che si possano ottenere riduzioni significative della sintomatologia dell’attacco di panico agendo per vie diverse, o direttamente attraverso farmaci che influenzano circuiti neuronali che usano neurotrasmettitori diversi quali noradrenalina, serotonina e gaba o indirettamente attraverso interventi psicoterapici che modificando gli aspetti cognitivi ed emotivi vanno anch’essi ad influenzare l’equilibrio dei vari neurotrasmettitori.
Il ruolo del“locus coeruleus”
Grazie all’uso di tecniche di neuroimagining come la Pet si è potuto osservare come varia il metabolismo nelle diverse aree cerebrali durante l’attacco di panico. L’ipotesi più accreditata vede partire il comando che porta alla manifestazione dei sintomi di ordine fisico come tachicardia, sudorazione, tremore, etc., da una piccola zona del cervello denominata “locus coeruleus”.
Componente del “circuito neurale della paura”, il “locus coeruleus” è la principale fonte di noradrenalina, la cui stimolazione determina un grande rilascio del neurotrasmettitore noradrenalina che va ad agire in senso eccitatorio sui vari organi producendo i sintomi sopra menzionati.
E’ stato osservato che le sostanze che fanno aumentare l’attività del Locus coeruleus innescano attacchi di panico, mentre quelle che fanno diminuire l’attività (clonidina, alcuni antidepressivi e altri farmaci) abbassano il rischio di attacchi di panico (Sullivan, Coplan, Kent et al. 1999). Viene da domandarsi quali possano essere gli stimoli capaci di indurre l’attivazione del locus coeruleus.
Un altro modo per studiare la neurobiologia degli attacchi di panico è l’attuazione di metodi che hanno la probabilità di indurre un attacco
Tali metodi possono essere fisici, come l’iperventilazione, o chimici, come l’ anidride carbonica. In risposta alla minore quantità di ossigeno, la frequenza del respiro aumenta e solo questo sintomo, in alcuni soggetti sensibili ai sintomi dell’ansia, è in grado di innescare un attacco di panico.
Una tesi, sostenuta dai biologi, ritiene che i recettori presenti in questa zona, siano particolarmente sensibili a causa di fattori ereditari, in quei soggetti che manifestano attacchi di panico. Questi recettori hanno lo funzione di attivarsi, rilasciando noradrenalina, ogni volta che aumenta la quantità di anidride carbonica nel sangue.
Nei soggetti che soffrono di attacchi di panico questi recettori si attivano non solo quando l’aumento di anidride carbonica è reale ma anche in altre condizioni non motivate nel concreto.
In uno studio basato sulla procedura descritta (esposizione a concentrazioni di anidride carbonica), un gruppo di soggetti veniva istruito, ricevendo informazioni su quelle che sarebbero state le sensazioni fisiche legate all’esposizione all’anidride carbonica. Un secondo gruppo non riceveva alcuna istruzione. Il gruppo privo di nozioni sui possibili sintomi fisici tendeva a sperimentare attacchi di panico con frequenza più elevata (Rapee, Mattick e Murrell).
La tesi sostenuta dai biologi non ha ricevuto conferma dagli studi compiuti sui gemelli omozigoti (gemelli che condividono lo stesso patrimonio genetico) nei quali è stato visto che l’ipersensibilità dei recettori non si manifesta sempre in entrambi i gemelli e quindi non può dipendere da fattori ereditari.
Attacchi di panico ed esperienze difficili vissute nell’infanzia
Infatti studi condotti sulle scimmie hanno dimostrato come esperienze precoci di separazione del cucciolo dalla madre potessero indurre delle modificazioni in alcune zone del cervello. Ciò porta a concludere che quest’ipersensibilità dei recettori del locus coeruleus possa essere determinata oltre che da fattori biologici anche da fattori psicologici legati ad esperienze relazionali di ansia di separazione vissute nell’infanzia.
Da questo deriva l’importanza di un approccio alla cura dell’attacco di panico che tenga conto della dimensione biologica, attraverso l’utilizzo di farmaci e di quella psicologica, attraverso la psicoterapia. Altri studi (Kasha 1999) inoltre hanno evidenziato una riduzione, nella corteccia prefrontale occipitale e temporale, dei recettori benzodiazepinici.
L’ippocampo, l’amigdala, la corteccia prefrontale e la sostanza grigia periacqueduttale
Le “benzodiazepine” sono sostanze che aumentando la disponibilità di neurotrasmettitori come il gaba, la serotonina e l’adrenalina, che hanno il potere di diminuire l’attivazione del locus coeruleus.
Per quanto riguarda invece gli aspetti di ordine psichico implicati nella valutazione cognitiva degli stimoli ambientali o interni all’organismo e rappresentati dalla paura di impazzire, di morire e di perdere il controllo, le strutture che sembrano più coinvolte sono l’ippocampo, l’amigdala, la corteccia prefrontale e la sostanza grigia periacqueduttale.
L’ippocampo sembra avere la funzione di attribuire significato alle informazioni che provengono dall’ambiente e nel determinare la conseguente risposta comportamentale. Uno squilibrio nel suo funzionamento può provocare una reazione di allarme o di difesa sproporzionati alla situazione. L’amigdala partecipando a processi di recupero e di estinzione di ricordi traumatici, può favorire la comparsa di reazioni di allarme in maniera autonoma ed irrazionale. Infatti i soggetti che soffrono di attacchi di panico presentano una grande facilità nel ricordare eventi legati alla paura.
La corteccia prefrontale, in particolare quella orbitofrontale destra, sembrerebbe responsabile della ideazione ossessiva che pone il soggetto in una condizione di allarme costante. Infine la sostanza grigia periacqueduttale può essere attivata da stimoli minacciosi o da sensazioni di mancanza d’aria e dare luogo a reazioni comportamentali intense di fuga o di blocco.
Inibizione comportamentale a ciò che non è noto
Infine, Jerome Kagan, professore emerito e ricercatore di Psicologia presso la Harvard University, ha rilevato nei pazienti con disturbo di panico una vulnerabilità neurofisiologica predisponente all’ansia, che ha definito inibizione comportamentale a ciò che non è noto. In altre parole, secondo Kagan i bambini (e poi gli adulti) con questa tendenza sarebbero predisposti a provare ansia nelle situazioni che non conoscono.
Di fronte a situazioni difficili, dunque, quando sperimentiamo un forte stress, è possibile che il nostro sistema difensivo vada in crisi e si inneschi un allarme molto rumoroso che non riusciamo a spegnere: l’attacco di panico
Attacchi di panico: cosa fare nell’immediato
In caso di attacchi di panico, è consigliabile rimanere dove si è e cercare di mantenere una respirazione lenta e profonda. È importante tranquillizzarsi ricordando che non ci si trova in reale pericolo di vita: l’attacco è solo una condizione temporanea che svanisce in breve tempo.
A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
Se ti piace quello che scrivo, seguimi sul mio profilo Instagram: @anamaria.sepe.
Se ti piacciono i nostri contenuti, seguici sull’account ufficiale IG: @Psicoadvisor