Cosa avviene nel cervello quando percepiamo la paura

| |

Author Details
Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Come ogni emozione, anche la paura ha una componente corporea guidata da meccanismi cerebrali sottostanti che si esprime con la sudorazione, il battito cardiaco accelerato, la tensione e così via. Mentre ognuno di noi l’ha sperimentata in molteplici situazioni e ha avuto modo di osservare i segnali corporei della paura, solo pochi sanno cosa succede all’ interno del nostro cervello quando ci assale la paura.

La paura è una emozione derivata dalla percezione di un pericolo, reale o supposto. È una delle emozioni primarie, comune sia alla specie umana, sia a molte specie animali, ed è un’emozione governata prevalentemente dall’istinto che ha come obiettivo la sopravvivenza dell’individuo ogniqualvolta si presenti un possibile rischio per la propria incolumità.

Le principali reazioni corporee alla paura sono: intensificazione delle funzioni fisico/cognitive e innalzamento del livello di attenzione, fuga, protezione istintiva del proprio corpo (cuore, viso, organi genitali), ricerca di aiuto.

Ma cosa succede nel nostro cervello quando abbiamo paura?

L’uomo ha conservato dei processi, che condivide con altri animali, utili e efficaci a fronteggiare un pericolo. Come per qualsiasi emozione, nel nostro cervello avvengono delle reazioni chimiche ed elettriche che mettono in moto tutta una sequenza di reazioni.

Cervello e muscoli devono funzionare bene e mettere in atto strategie per affrontare un pericolo: aumenta il battito cardiaco, la frequenza del respiro per incrementare l’ossigeno nel sangue, e questo va al cervello e nei muscoli allontanandosi dallo stomaco e dall’intestino (ed è per questo che si blocca la digestione e diventiamo pallidi).

In particolare si è accertato che in tutte le specie animali esiste un “circuito difensivo di sopravvivenza” che si attiva quando esiste una minaccia. La minaccia può essere ben identificabile, come ad esempio un predatore che si avvicina, oppure un criminale che ci punta una pistola per fare un esempio vicino a noi, e in tal caso proviamo un’emozione di paura. Oppure la minaccia può essere solo ipotetica, nel senso che potrebbe esserci un pericolo nascosto da qualche parte: in tal caso proviamo ansia.

In entrambi i casi, nel cervello viene attivato un circuito difensivo, che coinvolge aree molto antiche, che si sono formate per prime nel corso dell’evoluzione proprio per salvaguardare la nostra incolumità, e la più importante delle quali è l’amigdala.

La funzione dell’amigdala

L’amigdala è molto complessa e svolge un ruolo chiave nella regolazione del comportamento umano. Le sue funzioni iniziarono a diventare note a partire dal 1930, quando alcuni ricercatori osservarono che i soggetti che avevano riportato danni al lobo temporale del cervello presentavano delle alterazioni nei processi di reazione alla paura, nell’alimentazione e nel comportamento sessuale. Una delle emozioni umane maggiormente associate all’amigdala è la paura.

Questa struttura, (più precisamente una ghiandola localizzata nel lobo temporale, davanti all’ippocampo), è un allarme estremamente sensibile, che scatta in modo del tutto inconsapevole e che innesca una serie di cambiamenti fisici e mentali ancora prima che possiamo accorgercene.

Quando dobbiamo salvare la pelle, ma anche quando guardiamo un film dell’orrore è l’amigdala che prende il comando escludendo le parti più evolute del cervello responsabili del pensiero. Infatti, da sempre, di fronte a una minaccia, è molto più importante fuggire, piuttosto che analizzare razionalmente se davvero la situazione è pericolosa. L’analisi logica è sempre successiva, e viene rimandata a quando la minaccia si è allontanata.

Quindi pur sapendo a livello razionale che un film dell’orrore in televisione non costituisce un pericolo reale la paura non si può escludere. In uscita, l’amigdala è in presa diretta con il sistema nervoso simpatico, principale sistema di emergenza dell’organismo il quale in poche frazioni di secondo, è in grado di aumentare il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la disponibilità di glucosio per i muscoli che devono contrarsi per attaccare o fuggire.

L’amigdala è in sostanza il nostro pilota automatico emotivo, che tende a inserirsi spontaneamente.

L’amigdala, infatti, allarmata dalla minaccia, attiva il sistema nervoso simpatico, che è quella parte del sistema nervosa che regola l’attività di tutti gli organi del corpo. Un pericolo comporta una preparazione alla lotta o alla fuga, ed è per questo che molti organi incrementano la loro attività. Ma non solo.

Il sistema simpatico a sua volta stimola le ghiandole poste sopra i reni (i surreni) a produrre importanti ormoni, tra cui l’adrenalina e la noradrenalina, che accelerano il metabolismo del corpo. Vediamo nello specifico come queste sostanze accelerano tutti i processi corporei ed i sintomi di allarme:

  • L’epinefrina (o adrenalina) permette l’aumento dei livelli di zucchero nel sangue che quindi può essere convertito in energia rapida per i muscoli.
  • I tremori incoraggiano il sangue a raggiungere le estremità del corpo anche grazie all’aumento della frequenza cardiaca.
  • Anche la frequenza respiratoria si fa più intensa e rapida affinché i polmoni possano fornire più ossigeno.
  • Il dolore al petto che si percepisce, erroneamente interpretato come attacco cardiaco imminente, è invece la conseguenza dello sforzo fatto dai polmoni e dal cuore che stanno lavorando più intensamente del normale.

Il labile confine tra Paura-Ansia-Attacchi di Panico

Le reazioni mentali consistono in una sensazione di tensione e apprensione quando la minaccia non è immediatamente presente ma solo potenziale. Si avverte una vaga inquietudine, che ci porta a essere ipervigili a attentissimi all’ambiente circostante (dov’è il pericolo? dove si nasconde?), pronti a sobbalzare al minimo stimolo imprevisto, come un rumore. Quando invece la minaccia è concreta, i vissuti mentali vanno dalla paura fino al vero e proprio panico.

Il panico rappresenta un meccanismo di salvaguardia della nostra vita molto antico, e che si attiva sempre in risposta ad un pericolo molto grave concreto e ben presente. Anche in chi soffre di attacchi di panico, la minaccia per il nostro cervello è attuale: il soggetto è infatti convinto di stare per morire o impazzire, anche se tale convinzione è priva di qualsiasi fondamento razionale.

Ciò che conta è che il cervello crede che ci sia un pericolo per la vita, e attiva il più antico meccanismo di difesa per sottrarsi alla situazione attuale, fuggendo, se possibile, o combattendo.

Razionalizzazione della paura. Amigdala-corteccia prefrontale-corteccia

Per controllare le risposte legate al pericolo interviene anche la corteccia prefrontale, una struttura evolutivamente più recente, molto presente nei primati e nell’uomo. Studi recenti delle neuroscienze hanno permesso di riconoscere un dialogo reciproco tra le due strutture del cervello.

In caso pericolo imminente prevale però l’amigdala perché bisogna mettere in atto le risposte per affrontarlo. Quando il pericolo termina, prevale invece la corteccia, che è fondamentale per dire che il pericolo è terminato e possiamo controllarlo.

Alterazione dell’amigdala

Alterazioni della struttura e della funzione dell’amigdala sono state osservate in diverse patologie psichiatriche che includono i disturbi d’ansia (disturbo post-traumatico da stress, attacco di panico, fobie), la depressione, la schizofrenia e l’autismo. Non è stato dimostrato che l’amigdala sia la causa di questi disordini, ma è stato suggerito che le persone che soffrono di queste patologie possano presentare delle alterazioni al livello dell’amigdala.

In caso di lesione all’amigdala?

Non si percepisce più il pericolo? C’è un caso clinico famoso: una donna con un danno all’amigdala, la quale non è in grado di riconoscere potenziali pericoli (ad esempio, accarezza i serpenti velenosi).

Questa in breve la fisiologia della paura. Ma la paura non è solo un’emozione negativa, in quanto adempie ad importanti funzioni adattative.

A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
Se ti piace quello che scrivo, seguimi sul mio profilo Instagram: @anamaria.sepe.
Se ti piacciono i nostri contenuti, seguici sull’account ufficiale IG: @Psicoadvisor