Cosa fa scattare nel cervello un’idea geniale

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Ogni storia di grandi scoperte inizia con un problema e debutta con l’idea che lo risolve. Il processo creativo ha inizio con una domanda. Può portare a una fase di stasi (chiamata impasse) che si risolve quando l’idea arriva inaspettatamente alla mente.

Le scienze cognitive hanno definito tale fenomeno insight (intuizione improvvisa o lampo di genio in italiano): consiste nella comprensione improvvisa e subitanea della strategia utile a risolvere un problema o della soluzione stessa.

A differenza del problem-solving, dove la soluzione del problema avviene per prove ed errori tramite una costruzione analitica e consequenziale, l’insight avviene come “un lampo di genio” Quest’ultimo non sembra essere il prodotto di un pensiero deliberato e cosciente, infatti non è possibile prevedere quando ne avremo uno.

Come avviene un lampo di genio

A partire da Archimede, che la battezzò con l’esclamazione “Eureka”, passando per grandi creativi come Leonardo, Newton, Mozart, Einstein e il signor Ferrero, la nascita di un’ idea sembra avere un decorso comune: dopo una ricerca iniziale avviene una fase di impasse, fino a quando, spesso durante un periodo di relax, la risposta inaspettatamente arriva alla mente.

I passi successivi all’intuizione riguardano la sua realizzazione, ovvero nel caso di Dylan, del signor Ferrero e di Einstein, nella traduzione dell’idea in un testo, un prodotto commerciale o una formula matematica.

Come studiare l’insight

L’insight è tradizionalmente stato studiato utilizzando i problemi introdotti dai Gestaltisti, come ad esempio il problema dei nove punti di Maier (Fig. 2). Recentemente, per far fronte alla necessità di effettuare studi con le tecniche di ricerca delle neuroscienze, il modo di studiare l’insight è stato riformulato introducendo dei set di problemi simili a quelli riportati nell’esempio.

Questi nuovi problemi hanno il vantaggio di essere risolvibili sia con insight sia analiticamente, richiedono poco tempo (15 s) e sono facilmente somministrabili durante risonanza magnetica funzionale o elettroencefalogramma. Al fine di favorire lo studio del problem-solving anche in paesi non anglofoni, questi due set di problemi sono stati validati anche in lingua Italiana

Eureka nel cervello

Cosa avviene nella nostra mente quando abbiamo un lampo di genio? Quali i processi cognitivi implicati in questa tipologia di problem-solving? Cosa consente di superare il momento di impasse? Ma soprattutto, come possiamo facilitarne l’avvenimento?

A introdurne lo studio furono i Gestaltisti, nella prima metà del secolo scorso, i quali avanzarono l’idea che l’insight fosse dovuto alla ristrutturazione dell’interpretazione iniziale del problema.

Questo processo venne descritto come l’abilità di correlare concetti che, in un primo momento, non sembrano essere tra loro correlati. Prendiamo per esempio le classiche figure ambigue utilizzate dalla scuola della Gestalt (Fig. 1).
FIGURA 1
Secondo i Gestaltisti ciò avverrebbe anche durante un insight. Allo stesso modo di come, tutto ad un tratto, riusciamo a percepire la figura anziana in alternativa alla giovane o viceversa, spostando l’attenzione su elementi diversi della figura, reinterpretandoli, il modo in cui concepiamo un problema viene ristrutturato grazie ad un insight.

Se non la conosciamo a primo impatto potremmo vedere:
  • o una donna anziana con un gran naso, un collo di pelliccia, un foulard in testa con piuma
  • oppure il profilo di una giovane donna, elegante, dai lineamenti aggraziati, vista di tre quarti da dietro, con una collana nera al collo , un cappotto di pelliccia e un copricapo bianco con tanto di piuma anche lei.

Prendiamo ad esempio il problema dei nove punti di Maier (Fig.2).

Per poterlo risolvere occorre reinterpretare la percezione di quadrato inizialmente creata dai nove punti, e uscire dai confini della figura mentre tracciamo le linee.

Questo è un classico esempio di “fissità funzionale”, che dimostra come la nostra mente tenda a restare “fissata” sulla percezione iniziale del problema, impedendone la soluzione. In realtà, possiamo applicare quanto detto non solo ad oggetti, ma anche a situazioni o eventi. Tale concetto dimostra che per trovare una soluzione creativa ad un problema, spesso basta solo cambiare la nostra prospettiva o punto di vista.

FIGURA 2
Dalla fine degli anni ’90 ad oggi, diversi studi effettuati con risonanza magnetica funzionale (fMRI), elettroencefalogramma (EEG) e eyetracker (oculometria), hanno permesso di fare luce circa le basi neurali del lampo di genio. I risultati ottenuti, hanno permesso di avere un quadro complessivo di cosa avviene nel cervello, nei diversi momenti del percorso che ci porta alla soluzione di un problema.

Le ricerche condotte hanno dimostrato che l’insight ha inizio addirittura una manciata di millisecondi prima che le persone vedano il problema, grazie all’attivazione di un’area del cervello, situata nei lobi frontali, chiamata cingolo anteriore.

Il ruolo di quest’area consiste nel mantenere attive, al di sotto della soglia di coscienza, quelle informazioni derivanti da domini di conoscenza diversi da quello che il soggetto sta utilizzando, e di correlarle al problema. Questo significa che i più creativi hanno l’abilità di connettere facilmente informazioni e concetti che tra loro non sono solitamente correlati.

Durante questa “fase di preparazione”, il nostro cervello tende ad escludere l’informazione proveniente dall’ambiente esterno, al fine di favorire una maggior concentrazione interna. Infatti, tale connessione tra concetti che provengono da domini diversi e che, se associati, producono un’idea nuova e creativa, è favorita dalla capacità di filtrare il rumore visivo esterno.

Questa spiegazione è supportata dalla diminuzione di attività elettrica registrata nelle aree visive prima del lampo di genio  e da una aumento del numero e durata di blink (chiusura degli occhi o ammiccamento). Tale dato suggerisce l’idea che l’insight sia preceduto da una soppressione delle informazioni visive che, se non venissero bloccate, potrebbero interferire nell’elaborazione della soluzione.

Quest’ultimo risultato è facilmente riscontrabile anche a livello comportamentale

Infatti, mentre le persone stanno pensando alla possibile soluzione di un problema, vagano con lo sguardo in diversi punti del campo visivo, spesso senza avere uno specifico oggetto d’osservazione. Assorti nell’ intensa attività di pensiero, fissano lo sguardo verso un angolo o un oggetto inanimato che si trova in loro prossimità, finché: Aha! La soluzione compare alla mente.

Questo fenomeno del “guardare senza avere un oggetto di osservazione”, permetterebbe alla nostra mente di ridurre l’interferenza causata dagli input visivi, favorendo l’elaborazione interna delle informazioni. Al contrario, quando non risolviamo problemi tramite insight ma in maniera analitica, il nostro cervello si prepara ad elaborare gli input visivi focalizzando l’attenzione verso l’ambiente esterno, prima ancora di vedere il problema.

Le soluzioni analitiche sono infatti associate ad una maggiore attività delle aree visive (lobo occipitale, situato nella parte posteriore del cervello) e ad un aumento dei movimenti oculari. Quindi, il discriminate tra una soluzione analitica o per insight risiede proprio nella pre-attivazione di due diversi circuiti neurali. In altre parole, la nostra mente si prepara deliberatamente all’ideazione di una risposta creativa.

Come? Evitando elementi di distrazione, al fine di favorire una maggior concentrazione.

Questi stessi risultati (de-attivazione delle aree visive e aumento dei blink) sono stati identificati anche qualche secondo prima dell’arrivo di un insight. Infatti, i dati dei movimenti oculari hanno mostrato un comportamento che mima questa tendenza a guardare in aree vuote del campo visivo, proprio come facciamo quando pensiamo alla possibile soluzione di un problema, guardando fuori dalla finestra o ad un muro bianco, senza avere uno specifico oggetto d’osservazione.

Evitare gli stimoli visivi sembra quindi essere cruciale per riuscire ad avere idee creative, e vedere connessioni tra concetti su cui altrimenti non ci si soffermerebbe. Ecco perché spesso le idee migliori sembrano avvenire quando siamo tranquillamente facendo una doccia, quando chiudiamo gli occhi prima di addormentarci, o quando siamo sotto un albero a leggere un libro come accadde a Newton.

In altre parole: abbiamo più intuizioni creative quando evitiamo distrazioni. Per fare questo vaghiamo con lo sguardo senza realmente guardare niente. Durante questo vagare la nostra mente filtra le informazioni esterne chiudendo più spesso gli occhi e tenendo lo sguardo lontano da fonti di distrazione. Possiamo ipotizzare che questo comportamento stia alla base del tipico stereotipo attribuito ad artisti: sempre distratti e con la testa tra le nuvole!

Questa fase anticipa, favorendolo, quello che è stato chiamato il gamma insight effect (Fig.3). Esattamente quando le persone hanno un insight, studi effettuati con l’EEG hanno registrato un picco di onde gamma (ovvero la più alta frequenza elettrica generata dal nostro cervello da cui prende il nome gamma insight effect) nel giro temporale destro (rappresentato in arancione nella figura 3).

FIGURA 3
Ricerche più approfondite effettuate con fMRI (risonanza magnetica funzionale), hanno circoscritto l’area attivata durante l’insight alla parte “anteriore-superiore” del giro temporale destro. Sebbene non si prevedesse un’attivazione così specifica, i ricercatori non sono stati sorpresi nel rilevare il coinvolgimento proprio di quest’area, che è associata ad aspetti della comprensione linguistica, come l’interpretazione delle metafore o la comprensione delle battute di spirito.

É infatti una peculiarità dell’emisfero destro del nostro cervello quella di connettere informazioni derivate da una vasta area della corteccia, le quali combinate tra loro, incrementano la possibilità di associare concetti tra loro poco simili formulando quindi idee creative.