Cosa fanno le persone che NON vogliono soffrire per la fine di una storia

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

La fine di un amore fa male: non ci sentiamo mai pronti anche se in passato abbiamo già conosciuto abbandoni e distacchi. Anzi, spesso succede di essere ancora più fragili e spaventati. E persino quando la fine in qualche modo è annunciata succede di non essere profondamente preparati. In un attimo tutti i punti di riferimento si frantumano, sprofondando inevitabilmente nella solitudine più profonda. I momenti di condivisione hanno lasciato il posto al senso di vuoto; tutto del rapporto di coppia ci manca in modo quasi viscerale….anche i difetti del partner e le discussioni con lui/lei..

L’idea che una persona così intima non esista più per noi va oltre la nostra comprensione, quasi non ci crediamo

È solo più tardi che affondiamo ancora di più nel dolore, diventiamo instabili psichicamente tra momenti di iperattività, di regressione, di angoscia, di disperazione. E anche di rabbia. Rabbia per colui o colei che ci ha abbandonato. Come ha potuto farmi questo? Non la passerà liscia…-, verso noi stessi per quello che non siamo riusciti a fare.

È il momento in cui pensiamo sia una buona idea andare in giro a dire a tutti quanto sia psicopatico il nostro ex. Recriminazioni e sensi di colpa possono accavallarsi, siamo portati a demonizzare o idealizzare l’altro, perdiamo lucidità. Per quanto paralizzante e controproducente, questa fase fa capire però che stiamo lavorando. Indica che da qualche parte dentro di noi, il disagio si sta esprimendo per portarci a vedere la relazione da una diversa prospettiva. Vuole spingerci al cambiamento per arrivare a una sorta di accettazione, per fare pace con la perdita, per riuscire ad abbandonare la relazione e andare avanti con la propria vita. A volte sembra che questa fase non arrivi mai!

Ecco, a questo punto c’è davanti a noi un bivio anche se non siamo abbastanza lucidi da vederlo: avere la possibilità di essere una persona che sta male oppure una persona che soffre ma che, allo stesso tempo, è desiderosa di modificare il proprio stato psicofisico. Certo, non è facile avere le risorse interne ed esterne per affrontare un momento di difficoltà ma se hai tanta voglia di trovarle avrai già fatto il primo passo verso il cambiamento.

Fine di una relazione come gestire la separazione

A prescindere dalle ragioni per le quali si è stati lasciati occorre, prima o poi, ricominciare a vivere. Uso le parole “ricominciare a vivere” perché, dopo la fine di una storia d’amore, ci si sente “nudi” e fragili davanti al mondo: si ha la sensazione di dover ripartire da zero. Essere coppia, significa anche frequentare amicizie e parentele del partner, recarsi in luoghi amati da entrambi, fare attività che uniscono le rispettive passioni: il mondo del partner diventa anche il proprio e viceversa.

Il risvolto positivo della fine di una relazione è il recuperare completamente la propria individualità, la possibilità di fare scelte in totale autonomia, di sperimentare e focalizzarsi su di sé. Questo consentirà di ridefinire la propria persona e la propria identità e di evitare di adattarsi eccessivamente sia nei rapporti quotidiani sia nella prossima relazione. Non dimentichiamo che un accomodamento sano è funzionale alla coppia mentre diventa completamente distruttivo cercare di modellarsi sulle esigenze e sui desideri del partner per assomigliare all’idea che ha di noi.

Ma come superare praticamente il trauma di abbandono dopo la fine di una relazione? Come liberarsi da quel dolore che sembra occupare ogni cellula del nostro corpo e non darci mai pace? Questa “ricostruzione” non può partire dal primo giorno successivo alla notizia che lui o lei non ci ama più. Non si tratta di un processo lineare e diritto. Non ci sono tempi prestabiliti, non si può affrettare, non esistono sconti sul dolore. E’ naturale! Ci vuole un po’ di tempo per “assorbire il colpo” ma questo “tempo” va gestito nel modo migliore possibile. 

Che fare? Le fasi della ri-costruzione

La ri-costruzione di noi stessi è un percorso interiore che ci porta a sollevare domande, esplorare nuove possibilità, sfidare i nostri assetti precedenti. Per poi cambiare comportamento, aspettative, definizione di noi stessi. Bisogna riuscire a convertire la “separazione-frustrazione ” in “separazione-operazione attiva “; il che si traduce nel far leva sulle forze residue per prendere in mano la situazione, accettando l’evento traumatico come una sfida, verso ulteriori traguardi possibili, poiché “la vita continua “, ed è l’unica che abbiamo. E’ di fondamentale importanza, dunque, trasformare l’abbandono in una separazione attiva attraverso le seguenti azioni:

1. Evita le pseudo riparazioni (non servono)

Per esempio: evadere col pensiero, rifugiarsi nella fantasia o nella fantasticheria, divertirsi e stordirsi nel piacere immediato, anestetizzarsi con gli psicofarmaci, l’alcol, le droghe (bere per dimenticare , affogare nell’alcol il proprio dolore)…Guarda invece in faccia la realtà, chiama le cose col proprio nome: tradimento, perdita, separazione, distacco, cambiamento, morte, lutto.

2. Cancella i ‘Perché? dai pensieri

Con forbici immaginarie proviamo a tagliare i “Perché?” dai nostri  pensieri. Con facilità colonizzano la nostra mente, diventano i tormentoni delle nostre giornate, ci bloccano nella necessità di trovare risposte che non possiamo trovare. Ad un certo punto dovrai accettare ciò che è, liberarti e aprirti a nuove soluzioni. Perché mi ha lasciato? Deve diventare “Mi ha lasciato, non ho capito per quale motivo ma è un dato di fatto, ora devo pensare a cosa fare della mia vita“.

3. Non coprire o mascherare il dolore

Non cercare di evitare il dolore, non è possibile fuggirlo poiché ti seguirà dovunque. Il dolore è una fase essenziale e indispensabile che rende vulnerabili, consente alle emozioni più profonde di uscire allo scoperto, dà voce agli abbandoni pregressi ma fa sentire anche più consapevoli e forti nel momento in cui lo iniziamo a guardare senza evitarlo. Il dolore consente di comprendere i propri errori e di favorire un miglioramento di sé.

Meglio mettere in conto, accogliere i momenti iniziali di forti emozioni anche di smania per l’ex. Non pensare da subito di essere in grado di andare avanti, di cambiare improvvisamente la tua realtà emotiva. Datti tempo. Anche per decisioni importanti.

4. Prenditi cura di te

Fai qualcosa per guarire ogni giorno: trovando supporto negli altri, scegliendo di fare cose, tenendoii occupato, non aspettare l’umore giusto per agire, chiedi aiuto, sfogati pure con una persona a te cara se ne senti il bisogno.

Preparati a cambiare: in qualche modo bisogna auto-riprogrammarsi. Accada quel che accada, ciò che non devi mai dimenticare è che ogni esperienza dolorosa racchiude dentro di sé un piccolo seme di crescita e liberazione….

5. Individua il risvolto positivo della situazione

Ciò significa rendersi conto di quanto spazio mentale ed emotivo si è liberato dentro se stessi dopo la fine di una relazione. Tale spazio non è solitudine ma una dimensione che può essere occupata scoprendo o riscoprendo attività, emozioni, desideri per troppo tempo accantonati. Recupera progetti in sospeso, accarezza l’idea che ora puoi concretizzare sogni mai realizzati, che possono aprirsi nuove opportunità.

Perché farsene una ragione?

Si può provare rabbia, ribellione, protesta, si può urlare la propria disperazione, fino allo sfinimento…ma poi la vita continua. Col tempo subentra la calma: si passa pian piano dalla rassegnazione, al fatalismo, all’accettazione. Si può pensare alla rivincita a lunga scadenza, alla ripresa nel lungo periodo, vivere il tempo come alleato…

Bisogna accettare la condizione umana: ogni bene può essere perduto, anche l’amore di coppia. Ogni essere ha una parte (e a volte intollerabile, così sembra), di dolore; ma contro il muro di bronzo della realtà non serve battere i pugni ..non serve a nulla! La realtà non cambia. E’ giocoforza accettarla!

Non è semplice elaborare quel senso di mancanza che fa così male dentro ma bisogna pur rimodellarsi su nuovi equilibri. E quando ti sarai preso tutto il tempo che ti serve per ritrovare le energie, prova a vivere il tuo “essere solo/a” come uno splendido regalo che la vita ti ha fatto: metterti nella condizione di dover camminare per costruire la vita e le relazioni che realmente desideri e alle quali, forse, avresti rinunciato se lui/lei non ti avesse lasciata/o…

Quanti di noi aspettano ancora di essere «trattati» con amore?

E non parliamo di un surrogato d’amore, quello indubbiamente l’abbiamo conosciuto. Molti di noi, purtroppo, non hanno mai avuto l’opportunità di accogliere un profondo amore incondizionato, quello fatto di accettazione, stima e validazione emotiva. No, questo legame amoroso in cui potevamo davvero esprimere noi stessi, non lo abbiamo conosciuto e ci appare quasi come una chimera. I legami che abbiamo stretto fino a oggi, più che basati sull’amore, vertono sui ricatti affettivi, sui compromessi, sugli obblighi morali indotti, sui sensi di colpa, sulla paura dell’abbandono… insomma su tante sensazioni sofferenti che niente hanno a che vedere con l’Amore. «Se fai questo, se mi appoggi, se sei abbastanza buono, silenzioso, ubbidiente, bravo, capace, intelligente… allora, forse, forse, allora sì, forse sarai amato».

Era questa la falsa promessa. Falsa perché l’amore non è fatto di «se sei…» o «se mi dai..». È fatto di vicinanza e accettazione. È fatto di tanti impliciti «tu vai bene così», «puoi esprimere te stesso perché hai un valore intrinseco!» Quel valore, non deve dartelo certo il legame, il legame deve riconoscerlo, deve fornire l’ambiente giusto per esprimerlo, per farlo sbocciare, fiorire…! Ecco, allora ripeto la domanda, quanti di voi stanno ancora aspettando di essere trattati con amore? Se sei tra questi, in tutte le librerie, trovi il mio secondo libro, un preziosissimo manuale che ti prenderà per mano e ti insegnerà a trattarti con amore. Il titolo? «d’amore ci si ammala, d’Amore si guarisce» Il libro lo trovi anche su Amazon  e su tutti gli store online.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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