Cosa può nascondersi dietro ai “ti chiedo scusa” o “mi dispiace”

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Chiedere “scusa”, dire “mi dispiace” significa poter dare a un rapporto la possibilità di ricomporsi ma un “mi dispiace”, da solo, non basta. Il dispiacersi per qualcosa di auto-commesso presuppone un sentimento di colpa e di disagio accompagnato da un profondo senso di consapevolezza di aver fatto del male a un’altra persona significativa. Una persona cara che a causa del nostro operato ha sofferto e ha subito un torno, un dolore immeritato.

Il sentirsi dispiaciuti nasce da un sentimento di empatia e di condivisione del dolore che è stato causato all’altro. Il “mi dispiace” senza consapevolezza e senza empatia, non serve a molto. Chiedere scusa e dispiacersi, sono solo una parte della soluzione. Chi commette un errore deve voler essere migliore, deve desiderare di non commettere errori analoghi e deve impegnarsi affinché ciò avvenga.

Chiedere scusa, senza attivare un cambiamento, significa manipolare

Il “dispiacersi” accompagnato da empatia e consapevolezza, attiva la riparazione. La consapevolezza del torto commesso porta a:

  • Riconoscere gli effetti materiali o emotivi delle proprie azioni
  • Valutare le azioni proprie che hanno causato il danno
  •  Dirigere un’attenzione centrata sull’altro e riconoscerne il vissuto negativo (rabbia, delusione, dolore…)
  • Sperimentare dispiacere empatico
  • Il proprio sentire empatico spinge verso la riparazione e, se necessario, il cambiamento di una condotta che causa sistematicamente dolore.

Il provare un autentico dispiacere spinge alla riparazione. Alla sua base c’è la consapevolezza, l’empatia e l’attenzione centrata sull’altro. Lo stesso senso di colpa potrebbe subentrare e giocare un ruolo funzionale.

Il senso di colpa, infatti, in psicologia è visto con connotazione negativa solo se orienta eccessivamente al passato e si cronicizza impedendo un’evoluzione. In caso di un torto inflitto, il senso di colpa è considerata un’emozione positiva in quanto predisposizionale: è suscitato dalle azioni che provocano sofferenza alle persone significative e predispone al cambiamento e alla riparazione.

I sentimenti di empatia legati a un dolore inflitto ingiustamente, spingono ad agire positivamente per alleviare la sofferenza altrui e per rimediare alla sofferenza se si ritiene di esserne causa. In pratica, il dispiacere empatico predispone all’azione! Se le scuse o il “mi dispiace” non sono associate a un autentico “dispiacere empatico” con la predisposizione all’azione, possono considerarsi “scuse manipolatorie”.

“Ti chiedo scusa e dico -mi dispiace- solo perché voglio portarmi questa situazione alle spalle, solo perché mi fa stare meglio. Perché non ho voglia di discutere, di ascoltarti o capire…”.

L’obiettivo delle scuse è quello di far sentire meglio chi ha subito il torto e non chi l’ha causato. Il secondo obiettivo delle scuse è predisporre chi ha offeso a NON ripetere più quel comportamento. Il terzo obbiettivo delle scuse è la condivisione di un dispiacere che, in qualsiasi tipo di relazione (amicizia, sentimentale, legame familiare) è essenziale per attivare la riparazione.

La manipolazione delle scuse compensatorie rafforza il legame

Purtroppo non tutte le persone che riescono a chiedere scusa sono anche in grado di sperimentare dispiacere empatico e attivare un’azione riparatoria congrua… tuttavia, spesso, chi arreca danno è abile a farsi perdonare in altri modi.

Se non c’è dispiacere empatico e non si ha la consapevolezza e la volontà di attivare un cambiamento, chi danneggia il prossimo può farsi perdonare con azioni incongrue. Un regalo, un viaggio, una cena speciale… sono sicuramente “accortezze” che fanno piacere e bene all’altro ma non sono funzionali se nascono per compensare a una mancanza.

Spesso, nelle relazioni sbilanciate (relazioni abusive) chi arreca danno provvede a riparare ai propri torti non attivando un reale cambiamento ma compensando al torto arrecato con qualche attenzione extra. L’unico intoppo è che le attenzioni extra non causano un cambiamento permanente ma durano per qualche giorno, il tempo di lasciarsi l’accaduto alle spalle e riprendere le proprie abitudini.

Le scuse compensatorie sono molto pericolose perché attivano degli scossoni emotivi difficili da elaborare e digerire. Facciamo un esempio pratico, Luca e Tiziana stanno insieme, hanno una relazione; in questo esempio, Luca ha un deficit empatico.

Luca ha scatti d’ira che fanno soffrire tantissimo Tiziana.
All’ennesimo sfogo di Luca, Tiziana soffre molto, esprime delusione e si rifiuta di essere carina come al solito. Luca, dal comportamento contrariato di Tiziana, capisce che deve fare qualcosa se vuole le sue solite attenzioni. Luca si scusa in ogni modo possibile: fa regali, gesti d’amore clamorosi, predispone un weekend fuori, fa sorprese per compensare al torto arrecato.

Tiziana, accettando le carinerie di Luca e i suoi regali, passa dal dolore alla gioia senza elaborare pienamente l’iniziale torto subito. Dai regali suppone che Luca vuole scusarsi, accettandoli, accetta implicitamente le sue scuse compensatorie. Durante le vacanze, probabilmente Luca darà vita alla sua vera natura e ferirà ancora Tiziana… che però, presa dalle tante attenzioni appena ricevute, riuscirà a digerire senza contrariarsi.

Lo scenario appena descritto vede un intervallo di punizioni e premi. Le punizioni sono il comportamento scorretto di Luca che causa dolore in Tiziana, i premi sono i tentativi di Luca di farsi perdonare. Questi cicli ripetuti di dolore/gioia (punizioni/premi) hanno un forte effetto sulla psiche di Tiziana. Ho riportato l’esempio di Luca e Tiziana per rendere meglio il concetto ma è bene precisare che tali dinamiche non hanno distinzione di genere.

Il passaggio dal dolore acuto a emozioni altrettanto forti come la gioia di sorprese e attenzioni extra, è destabilizzante ed è alla base del legame traumatico, cioè un legame che si basa sul rinforzo intermittente, una tecnica di manipolazione molto studiata (molto potente ed efficace).

In pratica, l’arrecare danno all’altro diventa uno strumento per cementare la relazione. Il legame traumatico s’innesca a seguito di cicli ripetuti di abuso con rinforzi intermittenti di ricompense o punizioni. Questo modello, perpetuato nel tempo, crea potenti legami emotivi che resistono a ogni tipo di cambiamento… cambiamento che chi ha un deficit empatico o non ha intenzione di mettersi in discussione, non può offrire!

Chi ha subito un torto ha bisogno di tempo

“Mi dispiace” non è una formula magica da ripetere a ogni malefatta. Questa parole racchiude un insieme di vissuti emotivi che se esperiti sinceramente predispongono alla ricomposizione del legame.

Il meccanismo, quando genuino, è semplice: il sentirsi dispiaciuti nasce da un sentimento autentico di empatia e di condivisione del dolore causato all’altro. Questo senso di condivisione fa comprendere al primo il proprio torto (la propria mancanza o colpa) e, al secondo che chi ha commesso il torto percepisce e comprende il suo operato. Chi ha subito il torto, per sentirsi davvero rassicurato potrebbe necessitare di tempo.

Il “mi dispiace” ha lo scopo di far sentire l’altro appagato e alleggerito dall’ingiusto danno subito, ma il “sentirsi alleggerito” avviene solo quando chi ha subito il torto può notare un autentico dispiacere empatico… che comunque dovrà essere elaborato. E’ chiaro che, anche di fronte a un dispiacere empatico, chi ha subito un danno ha bisogno di tempo per assimilare ed elaborare.

Quando ci troviamo di fronte a emozioni forti come la delusione, la rabbia e il dolore di un danno subito ingiustamente, la nostra lucidità diminuisce e si potrebbe essere più inclini ad accettare scuse compensatorie.

Nonostante le scuse e un reale dispiacere empatico, chi ha subito un torto potrebbe decidere di non perdonare e non accettare le scuse. In questo contesto, se ci sono rancori insuperabili, per il bene di entrambi, sarebbe opportuno un allontanamento (provvisorio o definitivo).

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del libro best seller “Riscrivi le pagine della tua vita” edito Rizzoli
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