In psicologia, quando abbiamo di fronte un sintomo, non è mai quella la vera affezione da affrontare. Proprio come in medicina, si verifica che dietro quel sintomo ci sono cause ben più profonde da indagare e risanare. L’ansia, gli attacchi di panico, la dismorfofobia, il binge eating, l’anoressia (…) sono tutti indicatori di un malessere soggiacente, più profondo, che si manifesta in mille e più modi. In questa pagina vogliamo soffermarci sull’intervista che Marco Mengoni, qualche tempo fa, ha rilasciato al Corriere della Sera. Nell’intervista, il cantante racconta un po’ di sé, sollevando dei temi cruciali per la salute emotiva, temi che però corrono il rischio di passare in sordina.
L’attenzione alla salute mentale, infatti, non dovrebbe essere rivolta solo “al sintomo” che, manifestandosi, è più eclatante e crea più rumore. Quest’attenzione dovrebbe essere rivolta alle cause soggiacenti, è lì che possiamo intervenire e agire, tutti noi, nel nostro quotidiano. Abbiamo bisogno di prenderci cura della nostra salute emotiva e il primo passo da compiere è… educarci.
La radice nascosta di molte affezioni della mente: il disamore
Marco Mengoni è una delle tante “vittime” del disamore per se stesso. È una delle tante persone che non ha potuto imparare ad amarsi e di questo non ha alcuna colpa: semplicemente, nessuno gli ha mostrato come fare. Il «Disturbo da Dismorfismo Corporeo», insieme alla paura di perdere il controllo e di perdere i suoi affetti più cari, sono solo alcune delle tante conseguenze possibili di questo disamore.
Il cantante è cresciuto in un ambiente che paradossalmente appariva unito e ricco di affetto, ma dove non ha potuto compiere questa importante conquista. Il motivo? Anche i suoi punti di riferimento non avevano imparato ad accettarsi e amarsi. La narrazione dell’artista comincia dai suoi nonni, ed è sempre così. In genere crediamo che il disamore, i problemi di invalidazioni, nascano con noi, ma se ci soffermiamo a osservare anche un paio di generazioni più indietro, troveremo le origini della nostra storia evolutiva.
In fondo, lo stesso artista afferma «…mamma e zia erano donne bellissime che però nell’intimità soffrivano vedendosi piene di difetti. Si buttavano giù. Quante volte le ho sentite dire “quanto so’ brutta”. Mamma ha delle bellissime gambe e non si è mai messa la gonna, per vergogna…». Marco, poi, da bambino, non ha mai imparato a prendersi cura di sé, anche questo non gli è stato mostrato, ne’ tantomeno gli è stato concesso di rivendicare il suo valore di persona completa; anzi, no, quello forse è riuscito a farlo più tardi da solo, probabilmente ci è riuscito mediante la musica che per lui ha svolto la funziona di un potete “validatore emotivo”. In fondo, lo stesso Mengoni, al Corriere della Sera, racconta che «Da ragazzino (…) Pesavo quei 106 chili, avevo i capelli lunghi che mi coprivano gli occhi quasi a non voler far individuare il mio stato d’animo. Più avanti ho fatto fatica a capire il confine fra bellezza oggettiva e soggettiva proprio per il dismorfismo, che è una patologia, e così ho iniziato a lavorare su me stesso…».
La paura dell’abbandono
La parte più toccante dell’intervista è indubbiamente quella in cui il cantante parla delle sue paure del passato che talvolta fanno ancora capolino: «Se ne è andata anche quella di addormentarmi che era legata alla paura di perdere il controllo. (…) Ancora oggi a volte ci vado in conflitto. E quando accade si riversa pure sul fisico e mi si incricca la schiena… Mi resta forse la paura di perdere i punti di riferimento, ma per fortuna ci sono persone che mi tengono ancorato».
Questo è un rimando a una paura che colpisce molti di noi: quella dell’abbandono. Quando da bambini, anche in modo involontario, ci viene negata la possibilità di affermare la nostra identità, di creare affetti stabili, finiamo col crescere allo sbaraglio, in realtà i punti di riferimento non li abbiamo mai avuti ma ce li siamo creati nella nostra mente, dentro di noi, aggrappandoci con le unghie alle immagini che degli altri ci siamo costruiti. L’idea che l’ambiente che meritavamo non è mai esistito, la mamma che meritavamo non c’è mai stata e non ci ha mai amato come avrebbe dovuto, è troppo tragica da elaborare, così continuiamo ad aggrapparci ancora più fortemente a quell’immagine e, al contempo, continuiamo a invalidarci. Per fortuna non per tutti è così.
Certo, non posso conoscere i vissuti emotivi di Marco Mengoni. Posso solo raccontare di questo spaccato comune tra chi nutre tali paure ma c’è una cosa che so con certezza e che conosco bene, una verità che appartiene a tutti, compreso al cantante che con coraggio si è esposto facendo emergere temi così importanti della vita. Questa verità è che il punto di riferimento più grande che abbiamo, nella vita, siamo noi stessi! La nostra identità di persone complete prima e di ciò che facciamo dopo. Siamo noi i nostri supereroi, siamo noi i nostri punti di fermi.
Sei tu il supereroe di te stesso
Se impariamo a guardarci alle spalle con occhio attento e con tanto coraggio, troveremo lì, in qualche misura, il seme delle nostre sofferenze. Sembra una visione fatalista ma non lo è affatto. Come spiego nel mio libro bestseller 2022, «Riscrivi le Pagine della Tua Vita», siamo la sintesi di un intricata e complessa rete di causa-effetto. Ci sviluppiamo all’interno di relazioni primarie, quelle che instauriamo con i nostri genitori, è lì che ha inizio la nostra storia evolutiva, una storia che è condizionata dalle origini della storia evolutiva dei nostri genitori. In alcuni alberi genealogici possiamo intravedere una lunga catena transgenerazionale di disamore. Con le intenzioni si cerca di costruire unione, di trasmettere valori, ma con i fatti si infliggono profonde cicatrici, dolori nascosti e taciuti. Sta a noi, poi, una volta adulti, scoprirli e riuscire a guarire.
Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del bestseller «Riscrivi le pagine della tua vita» edito Rizzoli.
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