Da cosa si capisce che il tuo cervello è in allarme (anche se tu non lo sai)

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono momenti in cui tutto sembra “normale”: continui le tue giornate, ti svegli, lavori, parli con le persone, magari sorridi pure. Eppure, qualcosa dentro di te è contratto, sfuggente, invisibile. Non riesci a rilassarti davvero. Ti senti sempre un po’ teso, un po’ sull’orlo. Magari hai disturbi del sonno, tensioni muscolari, scatti di nervosismo o ti ritrovi a mangiare senza fame. Non stai “male”, ma non stai nemmeno bene. E il punto è proprio questo: il tuo cervello potrebbe essere in stato d’allarme… anche se tu non lo sai.

Il cervello non distingue tra pericolo reale e percepito

Il cervello umano è progettato per proteggerci. È un organo meravigliosamente efficiente, ma anche profondamente conservatore. Questo significa che preferisce allarmarsi inutilmente piuttosto che rischiare di sottovalutare un pericolo reale. È come un allarme di casa ipersensibile che suona per ogni minimo movimento, anche quando si tratta solo del vento.

Il cervello non ragiona in termini razionali quando si sente minacciato. Reagisce a emozioni, a segnali sottili, a ricordi antichi. E se qualcosa – un tono di voce, un gesto, un’espressione, un odore – gli ricorda anche lontanamente un’esperienza dolorosa, scatta la risposta di allarme: rilascia cortisolo, attiva il sistema nervoso simpatico, irrigidisce il corpo, e ti mette in uno stato di ipervigilanza… anche se tu, razionalmente, non capisci perché.

Che cos’è uno stato di allarme cronico?

Non si tratta di un attacco di panico. Non si tratta nemmeno necessariamente di ansia generalizzata. Lo stato di allarme cronico è una condizione neurofisiologica in cui il tuo cervello vive in una modalità di minaccia costante, a bassa intensità, ma continua.

È come se una parte di te fosse sempre “pronta” a difendersi. Non abbassi mai davvero la guardia. Vivi con una tensione di fondo che non riesci a spiegare, e che spesso finisci per normalizzare. Ma il corpo, e soprattutto il cervello, pagano un prezzo altissimo per questo stato. I segnali tipici di un cervello in allarme:

  1. Tensione muscolare cronica, soprattutto in collo, spalle e mandibole
  2. Difficoltà a dormire profondamente o a svegliarsi riposati
  3. Fatica emotiva, anche senza eventi stressanti evidenti
  4. Scarsa tolleranza alla frustrazione, irritabilità, reazioni sproporzionate
  5. Ipersensibilità a rumori, parole o stimoli sociali
  6. Difficoltà a concentrarsi o “annebbiamento mentale” (brain fog)
  7. Perdita di interesse verso ciò che prima piaceva
  8. Comportamenti compulsivi o ripetitivi, come scrolling infinito o alimentazione disordinata
  9. Bisogno costante di controllo su cose e persone
  10. Evitamento sociale o fuga da situazioni emotivamente coinvolgenti

Il ruolo del sistema nervoso autonomo

Il nostro sistema nervoso autonomo si divide in due branche principali:

  • Il sistema simpatico, che si attiva in caso di pericolo: aumenta il battito cardiaco, dilata le pupille, blocca la digestione. È la modalità “combatti o fuggi”.

  • Il sistema parasimpatico, che si attiva quando siamo al sicuro: rilassa il corpo, favorisce la digestione, il sonno e la connessione sociale.

Quando il cervello è in allarme, resta bloccato sulla modalità simpatica. Anche se non c’è alcun pericolo reale, il corpo resta contratto, la mente iperattiva, e le emozioni faticano a fluire. E questo accade perché il cervello ha imparato a percepire il mondo come pericoloso. E spesso lo ha imparato molto tempo fa.

Quando il passato diventa presente: la memoria emotiva

Una delle caratteristiche più affascinanti – e più insidiose – del cervello umano è la sua capacità di immagazzinare le emozioni in forma implicita. Non sempre ricordiamo ciò che è accaduto. Ma il nostro corpo sì.

Un tono di voce simile a quello di un genitore critico, uno sguardo simile a quello di un ex partner abusante, una situazione che ricorda un trauma vissuto da bambini… bastano questi stimoli per riattivare le reti neurali della paura, anche se la mente non li riconosce come pericolosi.

Questo spiega perché possiamo vivere in uno stato di allarme anche in assenza di “motivi evidenti”. Perché la minaccia non è nel presente. È nella memoria implicita. E finché non la portiamo a galla, il cervello continuerà a proteggerci… da qualcosa che non c’è più.

Cosa accade nel cervello in stato di allarme

1. Amigdala iperattiva

L’amigdala è la sentinella della paura. Quando è iperattiva, interpreta anche stimoli neutri come potenzialmente pericolosi. Chi vive in uno stato di allarme cronico ha spesso un’amigdala più sensibile e più facilmente attivabile.

2. Ippocampo confuso

L’ippocampo aiuta a distinguere il passato dal presente. Quando è sovraccaricato da stress cronico, fatica a “datarizzare” i ricordi, e così il cervello reagisce come se certi eventi traumatici stessero accadendo ora.

3. Corteccia prefrontale disconnessa

La parte razionale del cervello, la corteccia prefrontale, viene “spenta” in caso di minaccia percepita. Questo spiega perché non riesci a ragionare lucidamente quando sei agitato o in allarme: il cervello dà priorità alla sopravvivenza, non alla logica.

Strategie di compensazione: quando il cervello cerca di gestire l’allarme a modo suo

Molte persone non si accorgono di essere in uno stato di allarme cronico perché hanno sviluppato strategie di coping altamente funzionali: lavorano troppo, si prendono cura degli altri, controllano tutto, diventano bravissimi a “fare”. Ma sotto questa iper-efficienza, spesso si nasconde un bisogno profondo di sicurezza. Ecco alcune strategie che possono mascherare un cervello in allarme:

  • Perfezionismo e iper-controllo
  • Dipendenza da attività (non riuscire mai a fermarsi)
  • Bisogno costante di approvazione
  • Compiacenza sociale e incapacità di dire no
  • Ironia o cinismo come difesa emotiva

Come aiutare il cervello a uscire dall’allarme

1. Riconoscere i segnali

Il primo passo è dare un nome a ciò che senti. Riconoscere che non sei “strano”, “pigro” o “troppo sensibile”, ma che il tuo cervello sta semplicemente cercando di proteggerti, può già portare un senso di sollievo.

2. Ristabilire la sicurezza interna

La sicurezza interna non si costruisce solo attraverso tecniche di rilassamento o strategie di coping. Questi strumenti, per quanto utili, sono solo il primo passo. Il vero cambiamento avviene quando iniziamo a elaborare il nostro vissuto emotivo, soprattutto quelle esperienze che hanno radicato nel nostro cervello e nel nostro corpo una percezione cronica di pericolo.

Infatti, molti degli schemi reattivi che oggi guidano il nostro comportamento – come il bisogno di controllo, l’iperattività, l’irritabilità, la difficoltà a fidarsi – non sono disfunzioni individuali, ma apprendimenti adattivi formatisi in ambienti percepiti come instabili, critici o imprevedibili. Il cervello, in quei contesti, ha imparato che era più sicuro ipervigilare, evitare, trattenere, compiacere.

Ristabilire la sicurezza significa quindi disattivare questi apprendimenti attraverso un lavoro riflessivo profondo, che possa:

  • Rileggere le esperienze passate alla luce di nuove consapevolezze
  • Attribuire significato agli stati corporei di allarme, anziché reprimerli
  • Riconoscere le emozioni congelate o dissociate
  • Integrare le parti frammentate dell’esperienza, affinché il cervello possa “chiudere” ciò che è rimasto aperto

Solo attraverso questa elaborazione possiamo interrompere la persistenza dei circuiti di allarme, e costruire un nuovo senso interno di coerenza, padronanza e fiducia. In altre parole, il cervello può finalmente imparare che non siamo più in pericolo, e che oggi abbiamo risorse e strumenti per affrontare la vita in modo più autentico e sicuro.

Questo lavoro può essere facilitato da percorsi psicoterapeutici che integrano il piano cognitivo, corporeo ed emotivo, come ad esempio:

  • La psicoterapia psicodinamica, per esplorare e rielaborare i legami tra passato e presente
  • L’approccio neuroscientifico relazionale, per comprendere come il cervello costruisce senso a partire dalle esperienze
  • Le terapie orientate al corpo (somatic experiencing, sensorimotor), che aiutano a sciogliere la memoria implicita dello stress
  • L’EMDR, utile per desensibilizzare ricordi traumatici e modificarne l’impatto emotivo

È solo attraversando il nostro mondo interno con coraggio e continuità che possiamo ricostruire le basi della fiducia interiore, uscendo dalla modalità di sopravvivenza per aprirci a una modalità di esistenza piena e consapevole.

La verità è che siamo diventati bravi a ignorare l’allarme

Viviamo in una società che premia chi resiste, chi non si ferma, chi “regge botta”. Ma il prezzo che paghiamo è enorme. Perché quando il cervello è in allarme, l’amore non scorre, la creatività si spegne, la gioia si appiattisce. E ci abituiamo a una vita “sopravvissuta”, invece che vissuta.

Se ti ritrovi in molte delle sensazioni descritte, non è perché sei fragile. È perché il tuo cervello ha imparato a proteggerti a modo suo. Ma puoi insegnargli un modo nuovo: fatto di ascolto, di rallentamento, di riscrittura del passato.

Se ti sei riconosciuto anche solo in una delle dinamiche descritte, c’è una verità che meriti di sapere: non sei tu ad essere “rotto”, è il tuo cervello che ha imparato a vivere in allarme per proteggerti. E quel sistema, seppur faticoso, un tempo ti è stato utile. Ma oggi non lo è più. Oggi puoi imparare un altro modo di stare al mondo. Più libero. Più tuo.

Questo cambiamento non avviene “sforzandosi di stare meglio” o reprimendo la fatica. Avviene iniziando a guardarsi dentro con occhi nuovi, esplorando le radici di quel senso di irrequietezza che non sai spiegare, e ascoltando – con delicatezza – la voce dei tuoi vissuti più antichi.

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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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