Incontrare qualcuno è un caso, certo, ma decidere di farlo rimanere nella nostra vita è una scelta. Non esiste la relazione perfetta, così come non esiste “E vissero felici e contenti”. Però, esiste la capacità di entrambi i partner di creare un legame solido, vitale, duraturo. Lo aveva già detto anche Erich Fromm: l’amore è come un’arte che va appresa e poi richiede dedizione. Certo, all’inizio della relazione è tutto rose e fiori ….poi subentra la crisi e la relazione diventa conflittuale: non ci si riconosce più, non si vedono più le qualità positive dell’altro di cui ci si è innamorati, si fa fatica a comunicare e si ha la sensazione di non essere capiti dall’altro.
Compaiono i ben noti comportamenti distruttivi che avvelenano l’amore: il muro contro muro, la punizione del silenzio, gli scoppi aggressivi, le critiche più o meno immotivate, le escalation che lasciano esausti, il tono brusco, l’atteggiamento scostante o imprevedibile, il sarcasmo o addirittura il disprezzo. Il tutto condito da sentimenti di trascuratezza, ansia, solitudine, odio e impotenza.
Alcuni finiscono per concludere che l’amore sia impossibile, che sia un’illusione, una chimera. Altri si considerano sbagliati e si convincono di essere inadeguati, di non avere le capacità per stare in una relazione soddisfacente: “Sono troppo bisognoso, troppo instabile, troppo spaventato, troppo …”. Altri ancora, all’opposto, si convincono di essere talmente elevati e perfetti da non riuscire a trovare un eguale e attribuiscono all’altro le colpe delle difficoltà relazionali.
La relazione d’amore è il luogo dove emergono i più nascosti desideri, i più profondi bisogni affettivi e, soprattutto, le più dolorose e irrisolte ferite emotive
La relazione d’amore funziona come una lampadina che viene accesa in una cantina oscura dove abbiamo accumulato oggetti per tutta una vita. Improvvisamente diventano visibili i mobili impolverati, gli sci di una ventina di anni fa, la bici rotta e ragnatele ovunque.
Allo stesso modo, in una relazione d’amore emergono e diventano percepibili i sentimenti infantili dimenticati (inconsci): il senso di gelosia per la nascita del fratellino, la paura di restare solo la notte, la sofferenza di sentirsi trascurati dalla mamma che deve andare a lavorare, il senso di inferiorità nei confronti di un genitore percepito come potente e giudicante, i sensi di colpa per aver disubbidito, e così via.
In una relazione di coppia, le ferite relazionali dell’infanzia vengono riportate in superficie, nella coscienza, assieme ai bisogni, ugualmente inconsci e dimenticati, di essere curati, rassicurati, amati, protetti. I bisogni infantili insoddisfatti si riaffacciano alla coscienza. E posso garantirti che ciascuno di noi ha un’infinità di desideri e di bisogni infantili inappagati e repressi, anche le persone più “dure e pure” che fanno mostra di essere indipendenti, forti e autonome (anzi queste talvolta sono le prime a portare dentro di sé una valanga di bisogni infantili insoddisfatti).
Non c’è niente di male nel dire e nell’ammettere di avere all’interno della psiche inconscia dei bisogni infantili insoddisfatti. Fa semplicemente parte dell’essere umani e dell’enorme sensibilità che caratterizza la nostra specie, unita allo stato di grande vulnerabilità e di totale dipendenza con cui veniamo al mondo. È qualcosa di bello e di commovente.
Una grande occasione di guarigione
L’iniziale fase dell’idillio romantico è giunta alla sua inevitabile fine e sono emerse le problematiche relazionali irrisolte della propria infanzia. Si soffre, certo, ma è anche una grande occasione per accorgersi di queste ferite psicologiche e per guarirle.
Tuttavia, guarire la propria psiche richiede l’intenzione e l’energia dell’individuo stesso, che partecipando al processo in prima persona, se ne assume la responsabilità e, in base al suo impegno, ne determina l’evoluzione e i tempi. Ciascun partner ha dunque bisogno di auto-osservarsi, di cogliere le proprie sofferenze, di attraversarle e di condividerle con l’altro partner in un uno scambio fatto di intimità e di rispetto.
Condizione necessaria è assumersi la responsabilità di ciò che si sente
Solo dopo di ciò, ci si potrà aprire, si potrà mostrare la propria vulnerabilità, si potranno condividere le proprie emozioni di tristezza e di sofferenza e si potrà chiedere aiuto al partner. Più facile a dirsi che a farsi… Perché è normale all’inizio attribuire al partner la responsabilità della delusione che si prova. È normale colpevolizzarlo non appena sorgano i primi problemi nella relazione. Perché? Proprio perché si sta toccando qualcosa di inconscio, che la nostra psiche ha tenuto nel “dimenticatoio” per anni e che non vuole vedere.
Così, appena, una delusione, una sofferenza emerge nella relazione di coppia, la prima reazione, nel 99% dei casi, è quella di cercare di riportare immediatamente la sofferenza nel “dimenticatoio” e di attribuire la responsabilità all’altro dicendo: “Non è vero che questa è una mia sofferenza, sei tu che mi stai facendo soffrire!”.
Questo meccanismo, che viene chiamato “proiezione”, potrebbe essere riassunto così: “Attribuisco a te la responsabilità di una mia emozione negativa e tu diventi quello da biasimare”. Ecco, e questo è il punto centrale, i partner hanno la magnifica opportunità di andare oltre questo meccanismo di proiezione e di assumersi la responsabilità della propria sofferenza, delle proprie ferite e in tal modo elaborarle e guarirle.
Ma c’è un problema, assumersi la responsabilità della propria sofferenza, significa estrarla completamente dal “dimenticatoio”, significa viverla interamente nella propria coscienza, significa attraversare sentimenti di paura, di rabbia, di colpa, di vergogna nella loro completa intensità, senza difese. Significa: lacrime! E in genere le persone non sono desiderose di attraversare una simile sofferenza, anche se poi condurrà alla guarigione emotiva.
Più desiderabile e facile e meno doloroso nell’immediato, è attribuire la colpa della propria sofferenza al partner. Ma in questo modo, la ferita infantile non guarirà e si continuerà a portarla nel proprio inconscio.
Un esempio pratico
Per non rimanere unicamente su di un piano teorico, voglio ora portare un esempio. Prendiamo il caso della coppia di Guido e Sofia, di cui ho scritto altrove. Verso la conclusione della fase dell’innamoramento (cosa che prima o poi doveva succedere), Guido vive un’intensa delusione: propone a Sofia di andare a vivere insieme in campagna, ma Sofia risponde con un diniego perché, per motivi pratici, le sarebbe molto difficile, se non impossibile, trasferirsi fuori città. La sognante proposta di Guido viene così respinta e questi si sente tradito.
Rapidamente, molto rapidamente, il suo sistema emotivo si attiva e gli ormoni messaggeri del pericolo vengono inviati in giro per il suo corpo. Alla beatitudine amorosa di colpo si sostituiscono rabbia e paura. Dall’idillio all’inferno, in pochi millisecondi. Che sta succedendo nella psiche di Guido?
Negli ultimi mesi Guido si è profondamente legato a Sofia, ha investito nel rapporto di coppia aprendosi e svelandosi sempre di più. Sofia è gradualmente diventata la persona più importante nella sua vita, il centro del suo mondo relazionale. A fronte del diniego, più o meno ragionato, più o meno considerato, da parte di Sofia, la “ferita abbandonica” di Guido viene sollecitata e risvegliata. A questo punto, una parte antica della psiche di Guido si attiva: il “piccolo Guido”, ferito dal senso di non essersi sentito importante per la mamma, che si prendeva cura anche del fratellino e del papà, si risveglia con tutto il suo impeto infantile.
In questo momento Guido si sente profondamente tradito da Sofia, quando in realtà sta rivivendo, senza saperlo, le emozioni del “piccolo Guido”, che si è sentito abbandonato, non curato, non importante per la mamma, qualche decina di anni prima. Ma l’intensità emotiva della delusione è la stessa, ossia, assoluta!
L’intensità della reazione comportamentale è proporzionale all’intensità delle emozioni negative che circolano nella sua psiche in questo momento. Di conseguenza, proietta su Sofia la sua frustrazione bambina, arrabbiandosi profondamente con lei, come se lei fosse la “colpevole” del suo dolore. Ma ovviamente non ci sono colpevoli, Guido sta rivivendo una ferita del passato e né lui né Sofia possono essere ritenuti “sbagliati” per questo. Semplicemente succede. E, molto spesso, succede che il partner, in questo caso, Sofia, le cui ferite infantili sono sollecitate a propria volta, reagisca con simile fervore.
Affrontare le ferite dell’infanzia
Ecco però che Guido, se sufficientemente consapevole, potrebbe progressivamente assumersi la responsabilità di ciò che sta sentendo e affrontare le intensissime emozioni del “piccolo Guido” al fine di guarire la sua ferita abbandonica.
Espresso così sinteticamente, il processo di guarigione delle ferite infantili potrebbe apparire lineare, facile e breve, ma la realtà dei fatti è che tale processo non è nulla di tutto ciò: è complicato, duro e lungo. Per questo motivo, ed anche perché molte persone ignorano completamente questi principi del funzionamento emotivo umano, spesso ciò che ne consegue è che i partner, invece di cogliere l’opportunità di auto-guarirsi, si ostinano a colpevolizzarsi l’un l’altro, quando invece, la coppia potrebbe essere il luogo dove poter condividere le proprie sofferenze, essere accolti ed evolvere psicologicamente più velocemente che non da soli.
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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Autore del libro Bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” Edito Rizzoli
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