Differenze tra uomo e donna: conta più la cultura o la natura?

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

E’ davvero biologia? Sono gli estrogeni a fare di una donna ciò che è ed è il testosterone a guidare l’uomo? In contrapposizione agli altri 44 autosomi uguali in maschio e femmina, la differenza risiede davvero in quella X o Y dei cromosomi sessuali? Sono molti gli studi che si soffermano su questi punti, tra i tanti riporteremo le osservazioni che l’antropologa Margaret Mead fa nel suo testo sesso e temperamento.

L’autrice gira il mondo studiando attentamente tribù che popolano località remote del globo per rispondere alla domanda: fino a che punto quella che noi occidentali definiamo «la natura biologica umana» è malleabile? La conclusione può sbalordire: la prima forza a plasmarci è la cultura e non «la natura». Nel libro citato, l’antropologa osserva i comportamenti e l’organizzazione di civiltà ancestrali della Nuova Guinea.

Le civiltà primitive rappresentano un microcosmo sociale e la loro osservazione dimostra come la concezione dei ruoli e dei caratteri attribuiti ai generi cambino di volta in volta. Diverse costruzioni sociali possono determinare comportamenti e temperamenti che vanno poi a caratterizzare i due sessi come se fossero naturali e congeniti: alcune attitudini sono da maschio e altre da femmina «secondo cultura» e non «secondo natura». Le osservazioni dell’antropologa Margaret Mean dimostrano che nei ruoli sociali non esiste nulla di naturale o congenito.

Le civiltà primitive osservate

Per i Ciambuli la caccia è un’attività prettamente femminile. Sia gli Arapesh che i Mundugumor ignorano il sesso come base delle differenze di temperamento: in queste culture -anche se in modo diametralmente opposto- non esiste differenziazione di genere, sebbene i 23 cromosomi che compongono il naturale genoma degli Arapesh e dei Mundugumor siano gli stessi che caratterizzano noi «civilizzati». Nella nostra società non esiste un «sesso debole» bensì esiste un «sesso indebolito dalla cultura» e un altro genere machizzato e stereotipato entro altri termini. La cultura che tanto ci rende «evoluti» può divenire un fattore pericolosamente limitante.

Certo, anche negli Arapesh esistono differenze fisiologiche tra uomini e donne, ma tali differenze sono messe al servizio di un’impresa comune che è mantenere la comunità e provvedere alle necessità delle generazioni successive. Anche qui uomini e donne fanno cose diverse ma per ragioni uguali.

Gli uomini Arapesh sono particolarmente «caldi e materni»: non s’insegna a un bambino maschio a «comportarsi da ometto», crescendo, maschi e femmine non conoscono vergogna o tabù, ma solo uguaglianza e solidarietà. Anche tra genitori e bambini, culturalmente non si evidenzia una differenza di temperamento ma le differenze mettono in evidenza solo l’età, l’esperienza e la differenza di responsabilità. Una condotta «aberrante» o «irrispettosa» è valutata tale per entrambi i sessi.

I Mundugumor osservati da M. Mead sono un popolo violento, cannibale e di cacciatori di teste. Qui bambini e bambine crescono ugualmente senza amore e maschi e femmine vengono “educati” all’aggressività e alla violenza in egual modo. Le osservazioni dell’antropologa M. Mead risalgono ai primi anni del ‘900, oggi, il popolo che vive lungo le sponde del fiume Yvat, sembra aver abbandonato la caratteristica ostilità e vive praticando l’orticoltura e l’allevamento. La cultura violenta ha subito un’evoluzione che ha avuto un impatto sul temperamento delle nuove generazioni di Mundugumor.

Nei Ciambuli vi sono differenze di temperamento tra uomini e donne ma molto diverse da quelle che riscontriamo nella nostra società. Le donne cacciano e gli uomini si occupano dei rituali. I Ciambuli vivono per l’arte e non sono interessati al lavoro. I rapporti tra uomo e uomo sono «delicati e femminili» e la posizione di potere, nonostante si tratti di una società patrilineare, appartiene alla donna.

La cultura è l’ambiente sociale

Per l’uomo, la cultura costituisce il condizionante ambientale più potente. In assenza di modelli sociali, il regno animale prevede adattamenti basati esclusivamente sull’ambiente fisico. Nella natura è l’ambiente fisico a esercitare un’influenza sulle dinamiche e sulla stessa evoluzione degli organismi biologici.

Per esempio, della specie Aspidoscelis unipare (lucertola del deserto) esistono esclusivamente esemplari femmine, se una femmina di drago di Komodo (Varanus komodoensis) approda su un’isola in cui non esistono maschi, si riproduce per partenogenesi. Negli organismi più complessi assistiamo a rituali di corteggiamento, comportamenti competitivi, così come a cure parentali…

L’ambiente fisico ha condizionato fortemente l’evoluzione e per l’uomo, l’ambiente di riferimento non è legato a un ambiente fisico propriamente detto ma a un ambiente sociale caratterizzato da una determinata cultura. Così, la cultura è più forte della natura nello scandire le differenze di genere che, senza stereotipi e retaggi cultuali, non esisterebbero.

Per tutti i dettagli sulle differenze di genere nelle civiltà antiche della Nuova Guinea, e per comprendere a fondo le osservazioni dell’antropologa Margaret Mead, consiglio la lettura del libro: «sesso e temperamento».

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