Dimmi che padre hai e ti dirò che uomo scegli

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono donne che finiscono per cercare uomini molto simili al proprio padre, altre che, al contrario, desiderano un partner che ne rappresenti l’esatto opposto. Una cosa però è certa: la figura paterna lascia sempre un’impronta profonda e indelebile nella nostra vita affettiva.

Il padre è la prima figura maschile con cui una bambina si confronta, il primo modello di “mascolinità” che conosce. Non importa se sia stato presente o assente, dolce o autoritario: quel rapporto, o la sua mancanza, diventa una matrice silenziosa attraverso cui filtriamo l’amore, la fiducia e persino l’immagine di noi stesse.

Se una figlia è cresciuta con un padre che le ha dato amore, stima e rispetto, sarà più probabile che, da adulta, non cerchi approvazione disperata negli uomini, ma pretenda relazioni paritarie, capaci di riconoscerla per ciò che è.
Al contrario, un padre distante, critico o anaffettivo può lasciare un vuoto che diventa fame d’amore: si rischia di accontentarsi di chiunque sappia riempire quel vuoto, anche se si tratta di relazioni dolorose.

Padre e madre: due voci intrecciate

Non si può trascurare che anche la madre giochi un ruolo importante. È lei, spesso, a fungere da filtro: può valorizzare la figura paterna oppure svalutarla, incidendo sull’immagine che la figlia costruisce del maschile. Questo intreccio di sguardi e parole – quello della madre e quello del padre – segna la direzione dei nostri desideri affettivi, oscillando tra adesione agli stereotipi e bisogno di trasgressione.

Oltre il complesso di Elettra

Nella psicoanalisi si parla di complesso di Elettra per descrivere la competizione inconscia che una bambina vive nei confronti della madre, desiderando l’amore del padre. Più che restare fedeli alla teoria classica, possiamo considerarlo come una metafora: la ricerca, da adulte, di quell’uomo “perfetto” che possa colmare un bisogno antico. Alcune donne restano imprigionate in questa illusione, inseguendo per tutta la vita l’idea di un “principe azzurro” che, nella realtà, non esiste.

Quattro volti di padre, quattro percorsi d’amore

Ogni padre lascia un’impronta diversa. Riconoscere quella traccia non significa restare vincolate al passato, ma comprendere perché alcune scelte si ripetono e come trasformarle.

1. Il padre autoritario

“Per mio padre venivano sempre prima il dovere e le regole, poi – forse – l’affetto. Se non facevo come diceva, il suo silenzio diventava punizione. Sono scappata via piena di rabbia, promettendomi di non cadere più sotto il controllo di nessuno. Ma poi, senza rendermene conto, mi innamoravo sempre di uomini che volevano tenermi in pugno.” – Giulia, 32 anni

Un padre autoritario può trasmettere il senso che l’amore sia condizionato all’obbedienza. Crescere così significa portarsi dietro una ferita nell’autostima e il rischio di confondere il controllo con l’attenzione. Il passo più liberatorio è imparare a scegliere uomini che sappiano dialogare, che non impongano ma guidino con rispetto, che non annullino ma riconoscano.

2. Il padre “amicone”

“Con mio padre tutto era un gioco, era un Peter Pan instancabile. Ma quando serviva prendere decisioni, lui spariva: non voleva conflitti, non voleva responsabilità. Ho cercato uomini leggeri come lui, ma solo con Giulio – più grande e solido – ho trovato la vera sicurezza.” – Viola, 37 anni

Il padre-giocatore può sembrare meraviglioso nell’infanzia, ma lascia la figlia senza una vera guida. Da adulte, questo può spingerci verso partner infantili, che hanno bisogno di essere accuditi più che di accudire. La crescita, in questo caso, passa dal desiderare uomini capaci di leggerezza ma anche di responsabilità, uomini che sappiano dare stabilità senza soffocare.

3. Il padre disinteressato

“Non è che mio padre fosse cattivo. Faceva il suo dovere, lavorava, mi dava ciò che serviva… ma non c’era mai davvero per me. Le mie emozioni erano ‘roba da donne’. Forse per questo ho sposato Francesco: l’uomo più sensibile che abbia mai conosciuto.” – Carmen, 41 anni

Un padre assente emotivamente lascia una ferita sottile: il sentirsi invisibili. Crescere così significa rischiare relazioni con uomini egocentrici e sfuggenti. Per guarire, è necessario imparare a riconoscere e pretendere la reciprocità emotiva, scegliendo partner capaci di esprimere sensibilità e vulnerabilità.

4. Il padre iperprotettivo

“Con mio padre non mi è mai mancato nulla, anzi: era sempre pronto a proteggermi da qualsiasi cosa. Mi accompagnava ovunque, controllava ogni mia scelta, temeva che sbagliassi o che qualcuno mi facesse del male. Crescendo, mi sono resa conto che questa protezione era una gabbia invisibile: mi sentivo incapace di cavarmela da sola. Per anni ho scelto uomini che continuavano quel copione, uomini che decidevano per me ‘per il mio bene’. Solo quando ho imparato a fidarmi delle mie forze ho iniziato a desiderare un compagno che mi sostenesse senza soffocarmi.” – Elena, 34 anni

Un padre iperprotettivo può sembrare il modello ideale perché sempre presente e premuroso. In realtà, dietro l’eccesso di attenzioni si nasconde spesso una sfiducia nelle capacità della figlia di affrontare il mondo. Il messaggio implicito è: “da sola non ce la puoi fare”. Questo rischia di generare, in età adulta, una difficoltà a prendere decisioni autonome e la tendenza a rifugiarsi in partner dominanti o invadenti.

Il passo fondamentale, per chi ha avuto un padre di questo tipo, è imparare a distinguere tra amore e controllo. L’uomo da scegliere non è quello che protegge in modo soffocante, ma quello che incoraggia l’autonomia e celebra i tuoi successi senza appropriarsene. Un amore sano non si misura nella capacità di tenerti sotto una campana di vetro, ma nella fiducia che tu possa vivere e scegliere con le tue forze.

5. Il padre inimitabile

“Mio padre è sempre stato presente, amorevole, rispettoso. Lo vedevo amare mia madre con dedizione, lo vedevo sostenermi senza soffocarmi. Per anni ho scelto uomini inconcludenti, quasi a voler mantenere mio padre come unico ‘uomo perfetto’. Poi ho incontrato Paolo, gentile e forte come lui.” – Carla, 35 anni

Un padre così trasmette fiducia, autonomia e stima di sé. È il modello che insegna a riconoscere il rispetto come base di una relazione sana. Ma anche qui, la sfida è non restare bloccate nell’idealizzazione paterna: un compagno non deve essere una copia del padre, ma un uomo capace di aggiungere passione, desiderio e scelta quotidiana.

Il messaggio nascosto dietro le scelte

Ogni donna, nel rapporto con il padre, costruisce una mappa invisibile dell’amore. Ma questa mappa non è un destino: possiamo rileggerla, trasformarla, riscriverla. Capire quale tipo di padre abbiamo avuto significa aprire gli occhi sui copioni che rischiamo di ripetere, e soprattutto significa concederci la libertà di scegliere non ciò che ci è familiare, ma ciò che ci fa bene.

Parlare del padre significa, in fondo, parlare di noi stesse.

Ogni relazione con lui – che sia stata dolce, dura, fragile o addirittura assente – ci ha insegnato qualcosa sull’amore. Ci ha insegnato come si riceve, come si cerca, come a volte si elemosina. E proprio per questo, diventare adulte significa avere il coraggio di guardare dentro quelle impronte invisibili e chiederci: sto scegliendo davvero l’uomo che voglio, o sto inseguendo quello che ho conosciuto da bambina?

Molte donne si accorgono, a un certo punto della loro vita, di essere finite dentro un copione già scritto: relazioni che si ripetono, dolori che sembrano avere sempre lo stesso volto. È allora che la consapevolezza diventa rivoluzionaria: non possiamo cambiare il padre che abbiamo avuto, ma possiamo trasformare il modo in cui la sua presenza – o la sua assenza – vive dentro di noi.
Questo è il passaggio che permette di spezzare la catena, di non restare più intrappolate nella fame d’amore o nella paura di non essere abbastanza, e di imparare a pretendere un amore diverso, un amore che non ferisce ma nutre.

Ed è proprio qui che si inserisce il mio libro, “Il mondo con i tuoi occhi“, un percorso che invita a guardarsi dentro, a interrogare le proprie radici emotive, a riconoscere i costrutti che ci hanno insegnato a chiamare “felicità” e a chiedersi se quella felicità appartenga davvero a noi o se sia soltanto un’eredità non scelta.

In quelle pagine parlo di come i legami infantili, con i loro silenzi e i loro gesti, plasmino la nostra identità affettiva. Racconto come la memoria del corpo e del cuore continui a bussare nelle nostre scelte adulte e, soprattutto, offro strumenti per trasformare quella memoria.Perché la guarigione non passa dal negare ciò che abbiamo vissuto, ma dal riscriverlo dentro di noi: smettere di inseguire approvazioni impossibili, smettere di aggrapparsi a relazioni che non ci somigliano, e iniziare a costruire un modo di amare che ci rappresenti davvero.

Scrivere questo libro è stato, per me, un atto profondamente personale

Ogni capitolo è nato dal desiderio di dare voce a chi si sente intrappolato nei propri automatismi interiori e non sa come spezzarli. Ho voluto creare uno spazio in cui ogni lettrice (e ogni lettore) potesse ritrovarsi e, pagina dopo pagina, sentire che non è sola, che quel senso di “non essere mai abbastanza” può essere compreso e superato.

Se questo articolo ti ha fatto rivedere, anche solo per un attimo, il modo in cui il legame con tuo padre influenza la tua vita amorosa, allora il libro potrà diventare un compagno prezioso per andare ancora più a fondo.
Non ti offrirà formule magiche, ma ti guiderà a trovare le tue risposte, a riconoscere i tuoi desideri autentici e a liberarti da quelli che appartengono a qualcun altro. Perché la verità è che non sei condannata a ripetere la storia che hai vissuto: hai la possibilità di crearne una nuova, scritta con la tua voce, con i tuoi occhi, con il tuo cuore. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon

E se ti va, seguimi sul mio profilo Instagram:  @anamaria.sepe.
Ti aspetto lì per continuare il viaggio