È possibile avere una relazione con una persona anaffettiva?

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Cerchiamo di capire innanzitutto che caratteristiche ha la persona evitante e come mai ha sviluppato questa modalità relazionale anziché una modalità più affettuosa di stare in relazione con l’altro. Lo stile evitante è uno stile di relazione caratterizzato da un dolore: il dolore di non appartenere ad un gruppo e di sentirsi estranei nei rapporti duali e nella coppia.

L’evitante è dolorosamente inibito nel contatto sociale, teme il giudizio, si sente inadeguato, prova ansia e vergogna. I comportamenti degli altri vengono letti come svalutanti pertanto le relazioni saranno caratterizzate da diffidenza. Il desiderio di affetto si accompagna ad una costante paura di non essere voluti e accettati, di qui il ritiro in se stessi.

L’amore con una persona evitante è grigio

E’ carico di silenzi che possono durare anche giorni, difficoltà a riconoscere e ad esprimere le proprie emozioni e, di conseguenza, difficoltà ad entrare e comprendere il mondo emotivo del partner. La sensazione principale è quella di esclusione, non appartenenza, inibizione sociale, inadeguatezza, timidezza e timore del rifiuto. Tutto ciò è vissuto come doloroso perché, le persone evitanti, hanno fame di relazioni, ma, non avendo vissuto relazioni di amore condiviso e accettante con la madre, non sanno come fare a stare in relazione con l’altro, dunque evitano e si allontanano.

Possono essere presenti fisicamente, grandi lavoratori ecc, ma sono emotivamente distanti e non si sente la connessione con loro. Il partner potrà sentirsi solo e abbandonato, non capito, non avrà delle risposte emotive, non saprà quello che l’altro pensa e prova e dovrà cercare di intuirlo.

L’evitamento è una scelta con cui la persona evitante difende se stessa da un ambiente percepito come rifiutante, anche se magari non lo è. Lo schema rifiutante, appreso nella prima relazione con la madre, si riattiva in tutte le altre relazioni sociali perché è l’unico schema che gli è famigliare.

Un po’ come se l’evitante fosse guidato da questi pensieri:

  • Non comprendo i tuoi sentimenti e le tue emozioni
  • Non capisco cosa vuol dire “amare”
  • Sono sempre presente (fisicamente) e tu ti lamenti che non ci sono
  • Meglio stare zitti che esporsi
  • Manifestare i sentimenti e le emozioni è pericoloso

La mente dell’evitante è opaca e fa fatica a percepire i propri stati mentali e le emozioni, come questo paziente per esempio:

Non lo so, lei continua a dirmi che non mi sente presente ma io non capisco cosa vuole dire. Vado al lavoro, torno a casa, preparo la cena e sono sempre li, ma cosa devo fare di più? A volte mi chiede: “ma tu mi ami?” e io le rispondo: “ ma che c’entra l’amore, non ti faccio mancare niente, puoi comprarti tutto quello che vuoi e perché ti lamenti? Io proprio non capisco che cosa vuole di più da me!”

Essere affettivamente prossimi a qualcuno significa pensarsi e sentirsi reciprocamente, quindi se non si verifica nessuno di questi due processi non si può parlare di legame affettivo. Stare con un evitante, dunque, è un po’ come stare da soli.

Ma come si è generato questo stile relazionale?

Torniamo a parlare di attaccamento, ovvero quel sistema reciproco di atteggiamenti e comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico fra due persone, un vincolo le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che si instaurano fra bambino e adulto, la madre in particolare.

Nell’attaccamento evitante, la madre è poco responsiva rispetto alle necessità emotive del figlio: non lo abbraccia, non lo coccola, non lo rassicura fisicamente nei momenti di tensione, sorride poco, è disinteressata, evita il suo sguardo e i suoi richiami, ha un atteggiamento freddo e distaccato, si preoccupa solo di soddisfare i suoi bisogni fisici di nutrizione e di igiene trascurando quelli emotivi.

Il bambino impara a tranquillizzarsi da sé poiché ha capito che non può aspettarsi il conforto dal genitore, diventa autonomo precocemente e smette di fare richieste. Questa modalità relazionale verrà assimilata dal bambino come “lo schema delle future relazioni” per tanto, da adulto, tenderà a non chiedere, a non manifestare le emozioni, a restare congelato emotivamente perché “non ci sarà nessuno pronto ad accogliermi, meglio cavarsela da solo”.

Non sarà in grado di leggere le proprie emozioni né quelle degli altri perché nessuno è stato in grado di aiutarlo a leggere le sue e a condividerle insieme.

“Alessitimia” è il nome che viene dato all’incapacità della persona di entrare in contatto emotivo con l’altro

L’alessitimia non deve essere considerata come un semplice tratto negativo della personalità passibile di facile cambiamento, bensì per quello che è realmente, ovvero un “deficit di competenza emotiva ed emozionale” vero e proprio, che porta a comunicare a fatica, o per nulla, i contenuti della propria sofferenza.

E possibile avere una relazione sana con una persona evitante?

Partendo dal presupposto che l’essere umano vive di relazioni, di emozioni, di sentimenti e di corporeità, l’unico modo per stare bene con una persona evitante è che smetta di esserlo. Ciò può sembrare triste e crudele, ma l’alternativa, per il partner, sarebbe la soppressione dei propri bisogni, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, ovvero una metamorfosi che non è così facile.

Ci sono coppie in cui, uno dei due partner è evitante e vivono insieme anche per anni, è possibile certo, ma non si tratta di un amore sano. Un amore sano, per essere tale, ha bisogno di empatia, condivisione, comunicazione, affetto ed emotività e non di indifferenza, silenzi, distacco e freddezza.

Ci possono essere delle strategie di sopravvivenza come trasformare un po’ se stessi e allontanarsi a propria volta dall’altro, diventare indifferenti e disinteressati, abituarsi a stare da soli oppure all’estremo opposto pretendere l’amore a tutti i costi. Sono strategie che non sono durature e hanno dei costi molto alti. Nessuna di esse però avrà degli effetti positivi. Qualsiasi cambiamento si voglia tentare con una persona evitante, deve essere necessariamente guidato da un professionista in terapia individuale o in terapia di coppia.

La psicoterapia può aiutare il partner dell’evitante a capire meglio la sua relazione

La psicoterapia può aiutarlo ad avere delle strategie di relazione e comunicazione da mettere in atto. Tuttavia difficilmente può garantire il miglioramento del partner evitante se anche lui/lei non si mette in gioco in psicoterapia.

Spesso, gli alessitimici-evitanti, essendo incapaci di partecipare “emozionalmente” alle sedute di terapia, la abbandonano. Preferendo le azioni dirette alle parole, possono risultare difficili da guarire. Insegnare loro a percepire, sentire ed esprimere le emozioni è un lavoro impegnativo ma non impossibile. Si può dunque recuperare uno stile di attaccamento nuovo e sicuro sia nella relazione terapeutica sia attraverso la relazione con il partner all’interno della coppia.

“Ogni relazione significativa sicura è sempre terapeutica, quel “lavoro” che, ad una madre che è in grado di essere accudente, arriva con molta semplicità dal cuore

A cura di Manuela Ferrara, psicologo psicoterapeuta, specializzata in relazioni di coppia. Riceve a Vicenza.
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