Fin da bambini siamo costretti a fare i conti con un mondo dissonante. Ci viene sempre detto che “l’aspetto fisico non conta”, “bisogna andare oltre le apparenze…”. Eppure, nella realtà quotidiana vediamo che accade l’esatto opposto. L’apparenza conta, eccome. E negli ultimi tempi, cerchiamo più fumo che arrosto. Viviamo in un’epoca in cui il corpo è il nostro primo biglietto da visita. Che ci piaccia o no, è una constatazione di fatto: l’immagine ha un impatto e su quell’impatto si costruiscono relazioni, opportunità, autopercezioni.
No ai giudizi affrettati
Parlare di chirurgia estetica, oggi, significa entrare in una zona dove sensibilità, giudizi sociali e vissuti personali si intrecciano. È doveroso parlarne in modo acritico, infatti in questo articolo non troverete uno schieramento in stile “favorevole” o “contrario”, la mia posizione è completamente neutrale. C’è un’altra posizione che vorrei che chiunque assumesse: quella di accettazione e non giudizio. Perché se giudichi un corpo, stai dicendo che l’apparenza è talmente importante da renderla il tuo criterio valutativo di un’intera persona, stai quindi peccando di superficialità. Al contrario, se giudichi un corpo per la scelta che ha fatto (di sottoporsi a un intervento di chirurgia, di mangiare troppo, di indossare uno maglia scollata, tacchi a spillo, abbigliamento succinto, di avere una pancia tonda, rughe o aspetto trasandato che sia), stai peccando non solo di superficialità ma anche di presunzione, perché presumi di conoscere i vissuti dietro quelle scelte.
Quindi se sono neutrale su tantissimi fronti e appoggia sempre la libertà di scelta consapevole, sono estremamente contraria ai giudizi avventati e distruttivi. Elargiti solo per sentirsi bene con se stessi perché “se giudico male l’altro, allora posso sentirmi migliore di qualcuno”. Questo è estremamente in line con il principio di piena consapevolezza, perché i giudizi rapidi sono lanciati da chi non è né consapevole di sé e ancor meno dell’altro.
Ognuno ha il diritto di sentirsi bene con se stesso
Nessuno dovrebbe sentirsi in colpa o sminuito per il modo in cui sceglie di coltivare la propria sicurezza. C’è chi la trova nell’accettazione profonda di sé e delle proprie “imperfezioni”, che si sente sicuro del proprio aspetto grazie anche a un lavoro interiore che smonta i rigidi canoni estetici imposti dalla cultura; e c’è chi sceglie la chirurgia estetica come via per sentirsi in pace con il proprio specchio. C’è chi per sentirsi bene con se stesso, per sentirsi sicuro, accumula titoli e conoscenza; chi sceglie di indossare griffe lussuose, chi sceglie partner-trofei… Tutte queste vie, se scelte consapevolmente, meritano rispetto. Il problema non è mai lo strumento, ma la motivazione che ci spinge a usarlo.
Sentirsi bene con se stessi, sentirsi sicuri di sé, è indispensabile perché da questo dipende anche un altro fattore: quanto mi sento degno d’amore! Ogni essere umano, in modi diversi, desidera sentirsi degno d’amore. È un bisogno profondo, ancestrale, che guida scelte più o meno consapevoli. E proprio questo bisogno, se non riconosciuto, può portarci a confondere l’amore con l’approvazione, la sicurezza con l’ammirazione, la dignità e il valore personale con la performance estetica o sociale.
La differenza tra affermazione personale e ricerca di approvazione
C’è chi si sente degno d’amore quando eccelle, quando ottiene titoli, quando dimostra competenza o quando appare socialmente desiderabile. Altri trovano sicurezza nell’eleganza, nella cura del corpo, nella bellezza. E altri ancora cercano conforto nei numeri dei like, nelle griffe, nella perfezione dell’immagine.
Il bisogno è lo stesso: “più so, più valgo”; “più piaccio, più esisto”; “più sono bello, più sarò amato”. La ricerca della sicurezza personale è un cammino profondamente umano. Non esiste una forma più nobile o più “autentica” di un’altra. Ma esiste, invece, la possibilità di osservarsi con sincerità, di chiedersi: sto cercando amore attraverso l’approvazione o sto cercando di affermare me stesso?
Un mercato prima che una medicina
La chirurgia estetica può essere una risorsa, ma non è una bacchetta magica. Può migliorare il rapporto con il proprio corpo ma solo se non viene caricata del compito impossibile di risolvere tutto il nostro vissuto interiore. Per questo, il punto non è demonizzare chi la sceglie, ma promuovere una cultura della scelta consapevole.
Essere consapevoli significa conoscere non solo i benefici ma anche i limiti, i rischi, troppo spesso taciuti da un mercato che enfatizza il risultato senza fatica. Significa sapere che la chirurgia estetica è ancora un ramo giovane della medicina, molto immaturo. La gran parte delle procedure, infatti, seppur diffuse, non dispongono di dati longitudinali certi sull’efficacia o sulla sicurezza a lungo termine. Anzi, i dati dimostrerebbero il contrario anche per le procedure vendute e proposte ai clienti come innocue.
Le omissioni
L’esempio del filler è eclatante. I filler, anche quelli a base di acido ialuronico, usati per rimodellare un’area (seno e glutei) oppure per volumizzare (labbra e zigome) o per riempire (rughe delle fronte, del contorno labbra e zampe di gallina), comportano molti rischi biologici: riducono la produzione naturale di acido ialuronico da parte della pelle, inducono la formazione di tessuto fibrotico e, anche quelli riassorbibili in 3-4 mesi, rendono la pelle meno elastica aumentando la dipendenza dal prodotto! Tutto questo è qualcosa che il “consumatore” finale dovrebbe conoscere ma nessun medico fa questo tipo d’informazione perché andrebbe in conflitto con il proprio interesse di fare cassa. Perché la chirurgia estetica è questo: un prodotto commerciale. Non un trattamento sanitario.
Un aspetto più sottile – e meno discusso – riguarda l’effetto che alcuni interventi estetici possono avere sulla comunicazione non verbale. Il botulino, ad esempio, viene utilizzato per inibire i muscoli responsabili delle rughe di espressione. Ma così facendo, riduce anche la capacità mimica del volto. E qui entra in gioco la teoria del feedback facciale: le espressioni del viso non sono solo segnali emotivi, ma anche strumenti attraverso cui generiamo empatia negli altri. Quando guardiamo un volto che si muove, che si accende, che si contrae, il nostro cervello “rispecchia” quelle emozioni e ne è influenzato.
Se alcuni fasci muscolari del viso diventano statici, l’altro non riesce più a cogliere i segnali sottili dell’affettività. Questo porta a un calo dell’empatia (lo dimostra uno studio con fMRI, lo puoi approfondire qui). Pensi che un qualunque chirurgo informi il paziente: “sai, è stato dimostrato che l’uso del botulino e di altri prodotti rimpietivi che limitano la mimica facciale ostacolano il rispecchiamento e impatteranno negativamente sulle risposte empatiche delle tue relazioni affettive“. Io no.
Una review del Journal of Aesthetic Surgery (2023) ha sottolineato che meno del 30% degli interventi estetici più comuni è supportato da ricerche cliniche sistematiche! La medicina estetica è, a tutti gli effetti, ancora una pratica sperimentale, che si affina direttamente sui corpi dei pazienti. Ogni corpo reagisce in modo diverso e la chirurgia non può garantire un risultato psicologicamente soddisfacente per tutti e anche quando lo fa a breve termine, a lungo termine richiede dei costi. La pertedita di elasticità della pelle in caso di filler e della risposta empatica in caso del botulino, sono solo i costi più piccoli.
Volutamente non cito altre controindicazioni perché il mio scopo non è fare terrorismo sugli effetti collaterali di una pratica chirurgia immatura, ma solo invitare a fare scelte pienamente consapevoli. Il rischio di sovrainvestire sull’estetica è quello di costruire una sicurezza che dipende interamente dallo sguardo altrui. E la sicurezza che dipende da fuori, per sua natura, è sempre fragile. Vuoi essere più bella o più bello? Perfetto. Inizia a chiederti per chi vuoi farlo e perché lo vuoi. Come dicevo, qualsiasi strumento usato per rendersi più amabile è dignitoso e merita rispetto e fare scelte consapevoli è qualcosa che ognuno di noi deve a se stesso, per il proprio bene.
Il giudizio che condanna la scelta
Chi si sottopone a interventi estetici viene spesso esposto a un secondo dolore: quello del giudizio sociale. Un dolore sottile ma persistente, fatto di sguardi, battute, insinuazioni. “È rifatta”, “Vuole solo apparire”, “sembra di plastica”, “ma che ha combinato al viso?”. Giudizi che ignorano la complessità dell’esperienza umana, trasformando una scelta in una sentenza.
Ma chi può davvero sapere cosa c’è dietro una scelta? Nessuno conosce le cicatrici interiori che spingono una persona a cambiare qualcosa del proprio corpo. Nessuno vede il dolore, il bisogno, la speranza che spesso si mescolano a queste decisioni. Oppure, perché no, la leggerezza, la disinvoltura o anche la superficialità con la quale talvolta si fanno delle scelte. Ci può stare anche questo. Si ricorre alla chirurgia per migliorarsi, già soddisfatti di sé, per avere quel qualcosa in più che abbiamo costruito nella nostra mente. In tv vediamo tanti esempi di interventi chirurgici di successo e finiamo per pensare: “perché no?! Voglio farlo!”. Dimenticando che nello studio televisivo ci sono luci, make-up artisti, cere, tiranti e tanto altro! Ma… C’è anche questo, ci sono anche scelte disinvolte. È sempre opportuno ricordare che dietro ogni corpo, c’è una storia. E ogni storia, per quanto diversa dalla nostra, merita rispetto.
Mettiamo al centro la persona, non l’aspetto
La chirurgia estetica non è un nemico da combattere né un’arma di liberazione. È semplicemente uno strumento. E come ogni strumento, può essere usato con consapevolezza o con illusione. Ciò che conta davvero non è la trasformazione esteriore, ma il processo interiore che guida quella scelta. È lì che dovremmo portare lo sguardo.
Siamo liberi di cambiare il nostro corpo, ma dovremmo prima chiederci:
Lo sto facendo per guarire o per nascondere una ferita?
Per riconoscermi o per farmi accettare?
Per omologarmi a uno standard estetico o per ribellarmi a quello stesso standard?
Per me o per lo sguardo altrui?
Perché mi fa sentire bene… o perché altrimenti rischio di perdere il lavoro?
Già, perché esiste anche questo. Viviamo in un mondo che ci dice che “l’aspetto non conta”, ma poi ci mette continuamente di fronte alla realtà opposta. Basta poco per accorgersene: un commento pungente, uno sguardo sprezzante, una risata soffocata davanti a una scelta che non capiamo.
La verità è che l’estetica è diventata una nuova forma di linguaggio sociale, e i giudizi affrettati che pronunciamo lo dimostrano più di mille statistiche. Quindi, la prossima volta che state per linciare qualcuno per una scelta che riguarda il suo corpo, il suo volto, la sua pelle… ricordate che la società in cui viviamo la costruiamo anche con i nostri sguardi. E forse, proprio da lì, può iniziare una piccola rivoluzione.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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