La diregolazione alimentare è creata dalle emozioni e dalle pressioni sociali. La dottoressa Veronica Rossi, psicologa e mental coach, ci spiega come saziarci di altro provando a soddisfare sia la “fame emotiva”, sia la “fame mentale”.
È ormai credenza comune che la fame sia un meccanismo esclusivamente di tipo biologico, ovvero, che segua esigenze di tipo fisiologico. In realtà non è cosi: la fame risente molto di influenze psicologiche e sociali.
Per meglio comprendere facciamo qualche esempio. “Mi sento giù, ho bisogno di cioccolato per sentirmi meglio”. “Una rivista consiglia di mangiare pesce almeno tre volte a settimana perché contiene Omega 3”. “La presentazione del progetto è andata piuttosto bene, mi premio con un bel super gelato”.
Sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita di dire o sentir pronunciare frasi simili a queste. Intendiamoci, non c’è nulla di male in tutto ciò, ma sono esempi che meglio fanno comprendere come in realtà la fame non sia solo ed esclusivamente veicolata da esigenze biologiche, ma anche da meccanismi differenti.
La fame è quindi un processo complesso e multifattoriale che risente molto delle mediazioni di ordine psico-sociale.
La “fame della mente” e il rapporto conflittuale con il cibo
La fame della mente si basa sui pensieri. È formata da numeri, istruzioni e critiche.
Esempi:
- “Le riviste di salute dicono che bisogna bere 2 litri di acqua al giorno.”
- “Mangiare frutta è salutare.”
- “Ho sgarrato alla dieta. Sono un disastro.”
Com’è possibile notare, questi esempi dimostrano come la “fame della mente” sia creata ad arte da ciò che si apprende attraverso gli occhi e le orecchie, dalle parole che si leggono.
Le mode alimentari, le diete del momento, ci influenzano costantemente. Ed anche se non prestiamo loro attenzione consapevole, le informazioni permeano nella nostra mente e rimangono li, a livello del subconscio, pronte però ad influenzarci, a volte senza nemmeno esserne consapevoli.
Nel momento in cui s’innesca il circolo vizioso dell’auto-imposizione di regole ferree da seguire rigidamente, si creano i presupposti per far nascere un rapporto conflittuale col cibo.
Ma sopratutto, quasi sempre, si creano delle ossessioni alimentari. Si, perché il divieto alimenta il desiderio.
Facciamo un esperimento.
Leggi questa frase. “Non devo pensare alla pizza”, poi chiudi gli occhi e ripetilo mentalmente. Ora riapri gli occhi e annotati cos’è accaduto nella tua mente in quei pochi istanti.
Molto probabilmente avrai immaginato qualsiasi tipo di pizza: rotonda, quadrata, alta, sottile… e di qualsiasi gusto: capricciosa, marinara, 4 formaggi ecc.
Questo per dimostrare cosa?
Molto semplicemente, il divieto attiva i pensieri sull’elemento o l’azione negata.
Il nostro cervello mal sopporta il “non”. Ecco perché tutto ciò che è vietato diventa un’ossessione e crea uno stato ansioso-ossessivo verso il cibo.
La fame della mente è impossibile da soddisfare perché è fluttuante e vulnerabile. Segue le mode alimentari del momento e le novità scientifiche in campo nutrizionale, che vengono puntualmente smentite, rivalutate, criticate, riapprovate.
In realtà non si è “migliori” se si seguono le regole che la società impone, ma, per raggiungere un equilibrio nell’alimentazione, occorre imparare a “sentire” il proprio corpo. Lui sa sempre di cosa abbiamo bisogno in quel preciso momento. Grazie al principio dell’omeostasi infatti, riconosce se siamo a corto, o viceversa, vi è un eccesso di zuccheri, grassi, vitamine ecc.
La “fame del cuore”, mangiare per nutrire le emozioni
Quando si mangia per la fame del cuore, lo si fa per nutrire le emozioni. Quasi sempre sono le emozioni negative che portano alla ricerca di cibo, perché grazie al suo potere gratificante assume la funzione di anestetico.
Quando la fame non nasce da esigenze biologiche, ma dal bisogno di colmare un vuoto, che non è nello stomaco, ma nel cuore; si parla di fame emotiva.
Gli attivatori della fame emotiva sono le emozioni negative: ansia, rabbia, noia, tristezza, angoscia, stress. Queste producono sensazioni interne forti, avvertibili anche a livello dello stomaco (si sa, l’apparato gastrointestinale è il nostro “secondo cervello”); di conseguenza si possono confondere i segnali emotivi con quelli organici.
Inoltre, il cibo è per sua natura oggetto consolatorio e di piacere per due fattori:
1. Per le proprietà intrinseche del cibo stesso (a livello biochimico). Per esempio il cioccolato è in grado di permettere la produzione di serotonina, detto anche il “neurotrasmettitore del piacere”.
2. Per i significati di cui viene investito.
Cibo come premio. Sarà successo a tutti da piccoli di essere stati “premiati” col gelato o con una bella fetta di torta dopo un compito in classe ben riuscito.
Un altro significato, è quello del cibo come coccola (funzione consolatoria). Molto spesso quando un bambino è sofferente, anche per una semplice influenza, oltre a maggior attenzione e calore emotivo, gli adulti che si prendono cura di lui, tendono a confortarlo con cibi deliziosi, caldi che fungono appunto da “coccola”, attenzione.
Ecco, associazioni di questo tipo (cibo-premio, cibo-coccola) saranno interiorizzate e quando si presenteranno occasioni simili nel corso della vita, il cibo sarà utilizzato come elemento confortante.
In entrambi questi casi vi è un’attivazione a livello cerebrale del cosiddetto “sistema della ricompensa”.
La fame del cuore non può essere soddisfatta attraverso il cibo, perché il bisogno non è di questo bensì di amore, soddisfazione, accudimento.
Come soddisfare la fame della mente e del cuore
Soddisfare la fame della mente, è davvero difficile. Per farlo occorre consapevolezza. Ovvero essere consapevole che le scelte alimentari che decidi di attuare sono regole imposte e non derivanti da un mero ascolto del proprio corpo (consapevolezza delle proprie decisioni).
La consapevolezza deve prevalere sul pensiero. Ricorda però, la fame della mente non è sempre nemica. Essa può aiutarci a ricordare quali cibi sono consentiti o no in caso di patologie come per esempio il diabete. Può quindi salvare la vita.
Per appagare la fame del cuore invece occorre imparare a “saziarsi di altro”, e per altro s’intende qualcosa di diverso dal cibo.
A primo impatto potrebbe sembrare banale, ma così non è. Come abbiamo potuto vedere, il cibo può assumere le vesti di una coccola, e quindi avere una funzione consolatoria, così come di premio.
Il cibo è in grado di dar piacevolezza anche a livello biochimico e si rivela quindi un “buon antidoto” per mettere a tacere le emozioni negative. Ecco allora, che riempiendo la vita di hobbies, passioni, attività gratificanti e interessi sarà possibile trarre gioia e “sazietà” dalle routine di ogni giorno.
Riempi il vuoto di esperienze e persone. Stringi relazioni, trascorri il tempo in compagnia… allora il tuo piacere deriverà dalle relazioni interpersonali e non dal cibo.
Veronica Rossi, Psicologa e Mental Coach
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Libri consigliati:
Bays, J. C., (2018), Mindful Eating. Riscoprire una sana e gioiosa relazione col cibo.
Montesarchio, T. (2017), Mindful eating. Una metodologia innovativa per regolare il rapporto col cibo.