Family Link: l’applicazione per controllare tuo figlio

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L \\\'Autore di questo articolo è uno psicologo o psicoterapeuta.

Si chiamano app o software di parental control.
L’ultima arrivata da Google, Family Link. Consente ai genitori di gestire il telefono del figlio.

Decidono quando è ora che lui si stacchi impostando un timer della buonanotte o con un semplice click, da lontano. Possono scegliere quali applicazioni può scaricare e per quanto tempo le può utilizzare, di quale musica o altro contenuto multimediale può usufruire.
Family360 o Find My Kids le applicazioni per localizzare i figli.

La mia prima reazione, ansia.
Un affollamento di pensieri, un concetto che ha rimbombato nella mia mente per qualche minuto: il controllo.

Ho pensato ai ragazzi che non hanno più lo spazio di crescita, di sperimentazione, di errore perché invasi dall’occhio vigile e controllante dei genitori.

E’ arrivata poi l’immagine dei bambini, sì perché per me un bambino di 11 anni è piccolo, anche se oggi sembrano degli ometti. E ho pensato che nelle sue mani c’è la rete, ovvero di tutto e di più. E allora, quell’applicazione ha assunto un significato. La sua funzione originaria è quella di protezione, che l’adulto applica nei confronti del figlio. Protezione e regolazione.

Ho pensato poi ad altri significati che possono assumere queste applicazioni, specie se usate sui figli più grandi.

Il parental control ci racconta dell’incapacità di autoregolazione dei figli

Questi dispositivi danno così tanta dipendenza da necessitare l’intervento costante da parte degli adulti, fino ad arrivare a Family link che consente di spegnerli a distanza, ovvero di fare ciò che i figli non sono in grado di fare. Il gesto fisico di mettere un limite.

Tuttavia, in questo modo non si compie il loro bene, non li si aiuta a crescere e ad autoregolarsi. Li anticipiamo, arriviamo dove dovrebbero gradualmente imparare ad arrivare da soli.

Non sanno autoregolarsi? Ne prendiamo atto. Credo però valga la pena continuare a lottare gridando da una stanza all’altra che è ora di spegnere il tablet, più che farlo con un click al posto loro, perché non sono più dei bambini. E se non lo fanno credo valga la pena, anche se è una lotta sfiancante, alzarsi e cercare di capire perché quando parliamo non ci ascoltano o non recepiscono il nostro “no”. Fare al posto loro impedisce l’emancipazione e in questo caso l’autoregolazione.

Il parental control ci racconta anche della fiducia tra genitori e figli

In generale, una persona controlla l’altra quando non si fida. In questo frangente è la stessa cosa, perché in alcuni casi al genitore non basta più la parola? Perché non è sufficiente telefonare e chiedere: “Dove sei?”, e confidare in una risposta autentica? Perché localizzarlo?

Di solito un genitore localizza il figlio dopo che è rimasto “bruciato” dalla prima menzogna. Anche in questo caso forse può valere la pena chiedergli perché menta, più che introdurre la dimensione del controllo. Forse ha dei motivi per farlo? Forse attraverso le menzogne ci sta dicendo qualcosa? Può valer la pena indagarlo. Prediligerei la strada del dialogo. Perché nel dialogo si costruisce una relazione di reciproca fiducia. E fra genitore e figlio è importante che si generi. Nel controllo la relazione di fiducia non può nascere.

Il parental control ci racconta dell’ansia dei genitori

Non c’è nulla di male, i genitori ansiosi ed apprensivi sono sempre esistiti. Oggi però l’illusione di fondo è che l’ansia attraverso la localizzazione sparisca e che i genitori si sentano più tranquilli perché sanno dove si trovano i figli. L’importante è riconoscerlo, ovvero sapere che localizzo per sentirmi più tranquillo.

È un atto di consapevolezza che può essere un buon punto di partenza per domandarsi qualcosa di più sulla provenienza di quello stato di ansia, apprensione, paura e cattivi pensieri che sopraggiungono quando il figlio esce di casa e si separa da noi. Altra cosa sarebbe nascondersi dietro all’utilità o alla comodità dell’applicazione.

In generale, i sistemi di parental control nascono per avere una determinata funzione di protezione, regolamentazione e gestione della rete, dei tablet, degli smartphone dei figli, ma come abbiamo visto le sfaccettature sono molteplici e in particolare richiamano alcuni temi:

  • La fiducia fra genitori e figli
  • L’ansia, la paura, la preoccupazione dei genitori
  • L’incapacità di autoregolazione dei figli

Può essere utile chiedersi:

Utilizzo il parental control per proteggerlo e perché non ha ancora l’età per gestire la rete?”  Quando il figlio è molto piccolo è necessaria la supervisione del genitore. (Funzione di protezione)

Lo localizzo perché non mi fido e mente?”. Dunque posso chiedermi:  “Che cosa mi sta dicendo con questi comportamenti? Come posso attraverso il dialogo costruire una relazione di fiducia reciproca?”. (Fiducia fra genitori e figli)

Lo localizzo per sentirmi più tranquillo? Cosa provo quando mio figlio si allontana? Che cosa posso fare per gestire la mia ansia?”. (Ansia, Paura, Preoccupazione)

Spengo il telefono al posto di mio figlio perché non è ancora in grado di autoregolarsi? Invece di spegnerlo, come posso insegnarglielo affinché impari e la prossima volta lo faccia da solo?” (Incapacità di autoregolazione dei figli)
In ultimo: “Che genitore sono per mio figlio? Sono capace di autoregolarmi e darmi un limite su questi oggetti da cui a volte è così difficile staccarsi?”.

Ricordiamoci che i modelli di comportamento dei figli sono i genitori. Assorbono, vedono e imparano da noi. Prima ancora di porci il problema di come utilizzare il parental control per gestire il tempo che nostro figlio passa sul tablet, chiediamoci che uso ne facciamo noi e se ogni tanto siamo in grado di prenderci una pausa, di proporre ai figli “altro” oltre quel mondo di schermi infinti, ricchi di potenzialità ma anche di controindicazioni. E chiediamoci se sappiamo mostrargli che ci sono anche altre cose a cui ci si può appassionare.

Un giorno mia figlia mi ha tolto il telefono dalle mani e mi ha detto: ”Ora basta mamma, stai con me!”. Non ha ancora compiuto tre anni…

Psicoracconto di Cristina Radif, psicoterapeuta
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