Era il 13 marzo del 1964 quando Catherine “Kitty” Genovese, italo-americana di 28 anni, fu violentata, accoltellata e uccisa fuori casa sua, in un quartiere molto popolato di New York. La giovane donna aveva urlato forte facendosi sentire da buona parte del quartiere. Secondo un’inchiesta pubblicata all’epoca del New York Times, sarebbero state almeno 38 le persone ad aver sentito o addirittura visto ciò che stava avvenendo. Secondo successive stime, i testimoni effettivi erano una dozzina che, per vicinanza fisica, avevano avuto necessariamente modo di udire e osservare parti dell’aggressione. Durante l’assalto alla donna, un uomo affacciatosi alla finestra di casa aveva addirittura urlato «lasciala stare!». Nonostante tutto questo “rumore”, i testimoni non intervennero ne’ allertarono prontamente le autorità. Quando lo fecero e i soccorsi arrivarono sul posto, era ormai troppo tardi, l’aggressione si era consumata e tramutata in omicidio: Catherine arrivò all’ospedale priva di vita.
L’episodio è ancora oggi riportato in molti testi di psicologia e descrive quello che tecnicamente viene definito come «effetto spettatore» o anche «sindrome Genovese», in ricordo di Catherine. L’effetto spettatore si riferisce al fenomeno in cui gli individui non offrono alcun aiuto in caso di pericolo, difficoltà e disagio palese. È stato osservato, infatti, che la probabilità d’intervento è inversamente correlata al numero delle persone che assistono alla condizione di emergenza. In altre parole, maggiore è il numero di “spettatori”, minore è la probabilità che qualcuno di loro intervenga, prestando aiuto concreto.
Negli ultimi tempi stiamo assistendo a un eclatante effetto spettatore
Viviamo in palesi condizioni di pericolo per la donna. I casi di violenza sessuale, violenza domestica e femminicidi sono in aumento e proprio come quel marzo del ’64, stiamo assistendo a un eclatante “effetto spettatore”. Qualcuno grida di “lasciarle stare”, qualcun altro inneggia alla “parità di genere”, il papà di Giulia Cecchettin pubblica un libro, a Padova, pochi giorni fa, più di 1500 persone sono scese in piazza in nome di Sara Buratin, sui muri di alcune città si legge la scritta «basta femminicidi» ma, d’altro canto, sono davvero poche le iniziative risolutive e concrete messe in campo per fermare questo drammatico trend.
Il messaggio da trasmettere è che il benessere sociale si costruisce con una sana educazione all’affettività
Quando si parla di violenza sulla donna e femminicidi, sembra aprirsi una crepa tra due categorie opposte: uomo e donna. La soluzione sta nel risanare quella spaccatura, sta nel restituire valore, dignità e autonomia a ogni individuo, a prescindere dal sesso biologico. E come si può fare questo se non educato la collettività a una sana affettività? È questo il cammino da intraprendere e ad aprire la pista ci ha pensato la CLE, impresa italiana e colosso internazionale della digital trasformation che, in collaborazione con noi di Psicoadvisor, ha deciso di attivarsi e spezzare finalmente l’effetto spettatore con azioni concrete rivolte all’intera comunità aziendale.
La CLE si occupa di tecnologie, analisi, intelligenza artificiale, programmazione informatica ed è facilmente intuibile: nel suo organico conta una prevalenza di uomini. Sappiamo tutti che la disparità di trattamento tra uomo e donna, fin dalla tenera età, traccia due traiettorie ben diverse proiettando la donna a ruoli di cura e accudimento (si vedano i corsi di laurea di psicologia clinica, la prevalenza degli iscritti sono donne) e gli uomini a materie come informatica, ingegneria informatica (si veda il gap nelle cosiddette materie STEM). Le stesse disparità di trattamento inducono due differenti tipologie cognitivo-comportamentali che, sul versante clinico, vedono scenari molto differenti con tassi di prevalenza tipicamente maschili o femminili per determinate patologie. Un esempio? I disturbi dell’umore come la depressione, sembrano essere più diffusi nel sesso femminile, le dipendenze, come quella da alcol o da gioco d’azzardo nel sesso maschile. La statistica ha evidenziato due fattori di rischio che aumentano la probabilità di atti violenti: l’essere maschi e giovani adulti è correlato a comportamenti violenti. Eppure non vi è alcuna spiegazione biologica o genetica che possa fornire una spiegazione a queste evidenze. La stessa genetica del comportamento, per spiegare le differenze cognitive e comportamentali tra uomo e donna parla di interazione gene x ambiente, dove per ambiente si intende il contesto culturale in cui noi tutti cresciamo.
Quello della violenza di genere è, infatti, un tema che riguarda tutti: non è un’anomalia misteriosa, ma rappresenta la conseguenza del modo in cui noi tutti viviamo. Qualcosa di molto ampio e radicato all’interno dell’intera struttura sociale, qualcosa che riguarda il sistema di credenze collettivo, la nostra scala valoriale. Se c’è un punto da cui partire è qualcosa di altrettanto endemico e profondo: le nostre emozioni. Il nostro sistema emotivo, così sottovalutato e poco attenzionato, è quello che ci guida nei nostri comportamenti, è quello che ci consente di metterci al sicuro se ci sentiamo minacciati ed è lo stesso che in determinati individui innesca l’escalation di violenza che riempie le pagine di cronaca nera. Ecco perché interventi formativi che accendo i riflettori sulla psicoaffettività possono gettare le basi per una società in salute e aprire le porte a una nuova epoca di rispetto, uguaglianza, reciprocità e consapevolezza.
Dalla «cultura di genere» alla «cultura emotiva»
Ogni individuo ha un suo valore intrinseco e non ha bisogno di sottomettere l’altro o essere completato per affermarsi. In fondo, ciò che conduce alla violenza sulla donna e al femminicidio “sono soltanto” questioni affettive irrisolte. Una cultura emotiva che possa garantire le basi di una sana affettività, potrebbe risolvere -alla radice- non pochi malesseri e questa non è utopia. Le iniziative come quella della CLE ci dimostrano che il cambiamento è possibile: bisogna solo attivarsi nel concreto. Il nostro auspicio più grande è che sempre più imprese possano seguire le impronte tracciate da CLE così da rendere le aziende non solo i luoghi della performance produttiva ma anche il cuore pulsante di un cambiamento indispensabile per il benessere collettivo.
Scarica l’opuscolo informativo (in pdf) del progetto CLE.
Nota bene: sulle orme della CLE, anche altre aziende e comuni italiani si stanno attivando al fine di favorire la diffusione di competenze emotive e life skills essenziali per un ottimale funzionamento individuale e sociale. Noi di Psicoadvisor stiamo seguendo nuovi progetti che ben presto vi sveleremo!
Ufficio stampa Psicoadvisor