Fidarsi è bene, non fidarsi è sempre meglio? L’enorme potere della paranoia

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L \\\'Autore di questo articolo è uno psicologo o psicoterapeuta.

Il paranoico è quella persona che ti dice: ‘solo perché sono paranoico, non significa che gli altri non ce l’abbiano con me’” – Luigi Cancrini

La sensazione prevalente, praticamente costante, nelle persone che presentano un disturbo paranoide, è quella di minaccia, pericolo, aggressione. “Ecco vedi? Mi guardano tutti male, lo sapevo che ce l’avevano con me!

Ne conseguono uno stato di allerta e di tensione fisica insopportabili e pensieri del tipo: “Non si può mai abbassare la guardia!”, “Appena ti rilassi sono pronti a fregarti!”. A volte la sensazione interna assume una diversa sfumatura, quella della derisione, e gli altri, più che pericolosi, sono percepiti come sprezzanti o provocatori: “La tua amica mi ha guardato in modo strano… sicuramente non gli piaccio e ora andrà a parlare male di me a tutte le tue amiche”.

Ma che cos’è la paranoia?

La paranoia non è nient’altro che un’esacerbazione di un tratto che, in misure diverse, è presente in tutti noi: il sospetto. A tutti nella vita è capitato di aver avuto in almeno un’occasione un sospetto che si è poi rivelato infondato. E molti sono spesso prudenti e sospettosi, perché si sa che: “Fidarsi è bene, ma non fidarsi…”.

Il problema è quando la sospettosità diventa esagerata e ingiustificata. Ad esempio, quando abbiamo un sospetto, ciò che di norma andrebbe fatto è ricercare delle prove oggettive, cioè non distorte dal proprio giudizio.

Certo, a volte la convinzione che muove il nostro sospetto può essere talmente forte da non indurci a cercare queste prove (e, in più, l’uomo per natura cerca soprattutto le prove che convalidino la sua convinzione, non quelle che la smentiscano); però è anche vero che, messi di fronte a dei fatti pienamente oggettivi, siamo pronti ad ammettere di esserci sbagliati, o quantomeno a dire che le cose forse non stanno esattamente come pensavamo noi. La persona che soffre di paranoia raramente riesce a fare tutto ciò.

Innanzitutto la sua convinzione è talmente forte che non ha bisogno di prove. Inoltre, le sue percezioni sono talmente distorte che ogni dettaglio insignificante è per lei una prova che conferma tale convinzione.

Così, un paranoico convinto che gli altri ridano di lui potrebbe trovare conferma in tale convinzione nei sorrisi di tutte le persone incrociate per strada.

Oppure, un paranoico certo che il partner lo tradisca potrebbe rafforzare la sua convinzione ogni qualvolta questo tarda nel tornare dal lavoro, o in casi estremi persino quando poggia la borsa in un modo piuttosto che in un altro. La logica non serve a nulla in questi casi. 

Il disturbo paranoide di personalità

Il disturbo paranoide di personalità è un disturbo di personalità caratterizzato dalla tendenza, persistente ed ingiustificata, a percepire e interpretare le intenzioni, le parole e le azioni degli altri come malevole, umilianti o minacciose.

Il mondo è vissuto come ostile e guardato sempre, nei contesti più vari, con diffidenza e sospettosità, con conseguente “obbligatoria predilezioneper uno stile di vita solitario.

Sfiducia e sospettosità portano le persone che soffrono di questo disturbo ad avere un atteggiamento iper-vigilante (ricercano segnali di minaccia, di falsità e di significati sottostanti nelle parole e nelle azioni altrui), ad agire in modo cauto e guardingo, ad apparire “fredde” e prive di sentimenti;

questi soggetti sono, inoltre, eccessivamente permalosi, polemici, ostinati e sempre pronti a contrattaccare quando credono di essere criticati o maltrattati.

Gli individui con questo disturbo di personalità possono essere anche morbosamente gelosi e sospettare, senza reali motivi, che il coniuge o il partner sia infedele. “Tu e Antonio vi siete scambiati troppi sguardi durante la cena, lo sapevo che mi stavi tradendo con lui!”.

Chi soffre di questo disturbo è, o spesso gli dicono di essere, eccessivamente permaloso o geloso e soprattutto sempre sospettoso, sul “chi va là”.

Gli altri non ispirano quasi mai fiducia. La persona con disturbo paranoide, infatti, pensa che c’è sempre “sotto c’è una fregatura” e si aspetta di essere in qualche modo danneggiato, sfruttato o umiliato.

In genere preferisce limitare i contatti con gli altri e tende ad isolarsi e a condurre, anche se con sofferenza, uno stile di vita solitario. Può alternare dei periodi in cui prevale l’ansia e la tensione, a periodi più rabbiosi e rancorosi o anche stati di depressione e abbattimento; quello che è certo è che non conduce una vita serena, ma prevale comunque uno stato di sofferenza ed una difficoltà a “vivere bene nel mondo, con gli altri”.

Si può curare un disturbo paranoide?

Sì, anche se non è sempre facile. Prima di tutto perché raramente una persona paranoica arriva da uno psicoterapeuta di sua spontanea volontà: non ne vedrebbe la ragione.

Ma quando ciò accade la prognosi può essere più favorevole, perché potrebbe significare che ha già dei dubbi rispetto alle proprie convinzioni distorte.

Più spesso, però, accade che siano i familiari a spingerla a rivolgersi a uno psicologo, oppure che arrivi per problemi secondari: ad esempio perché vuole trovare un modo per farsi aiutare nel gestire quelle persone che ce l’hanno con lei. In questi casi, la motivazione a liberarsi della paranoia – e in generale ad ammettere che il problema non è negli altri, ma nelle proprie percezioni – è più difficile.

Ad ogni modo, comunque, il lavoro principale del terapeuta è quello di portare autonomamente la persona a cambiare le proprie percezioni, cioè a fare in prima persona delle esperienze che smentiscano i suoi sospetti, aiutandola a raggiungere una percezione più sana e flessibile.

Federica Rossi, psicologa specializzata in Neuroscienze Cognitive
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Bibliografia
Hopwood, Christopher J., et al. “DSM-5 personality traits and DSM–IV personality disorders.” Journal of abnormal psychology 121.2 (2012): 424.
Lysaker, Paul H., et al. “Deficits in theory of mind and social anxiety as independent paths to paranoid features in schizophrenia.” Schizophrenia Research 124.1-3 (2010): 81-85.