Finché sei seme non esisti: l’importanza del “germogliare se stesso”

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Psicologo e Pedagogista, esperto in bioenergetica orientale.
Illustrazione dal libro illustrato: The Marvelous Mustard Seed. Autore: Margaux Meganck

Sono in quanto divengo. Potrebbe essere un bellissimo slogan, in realtà credo sia semplicemente la metafora del nostro incessante divenire giorno dopo giorno.

Certo, ognuno di noi diviene nel e attraverso il processo di invecchiamento spontaneo e quindi la trasformazione è qualcosa che accade senza nessun tipo di volontà o di intervento personale. Succede e basta.

Ma il divenire spontaneo non è lo sviluppare, il creare, il far emergere. Una passività forzata è anch’essa una forma del divenire ma non ha in sé l’atto creativo.

Finché sei seme tu non esisti

La metafora del seme è semplice ed efficace. Finché sei seme tu non esisti.

E’ solo nel momento in cui trovi la forza per rompere il tegumento che inizi a germogliare e a dirigere le forze per la crescita, a darti quella forma che ti appartiene e che senti di dover plasmare giorno per giorno attraverso scelte, rimandi, dubbi, errori, avanzamenti e retrocessioni. Fallimenti, tentativi, dubbi, successi e delusioni; tutto concorre alla storia formativa personale che è unica ed irripetibile perché frutto di riflessioni e significazioni inedite.

Come fare ad innescare il processo di sviluppo del potenziale soggettivo?

Nei miei laboratori di pratiche bioenergetiche integrate e training psicoemozionale si parte da tre momenti distinti: il respiro nutriente per incrementare il potenziale bioenergetico e trovare le energie necessarie per “aprirsi” ed andare oltre la corazza irrigidita dalle resistenze, successivamente c’è l’innesco emozionale attraverso la visualizzazione del nostro intimo desiderio, la terza fase è la ricerca della direzione nonostante la paura.

Respiro nutriente

Il respiro ci parla continuamente di noi e lo fa attraverso blocchi, le contrazioni, la difficoltà a farsi più profonda, ecc. La lettura del respiro equivale alla radiografia del nostro stare in questo preciso istante e serve per comprendere a fondo le radici della nostra attuale sofferenza e di quanta energia ci occorra per uscire da una condizione che forse sentiamo come limitante.

In questa fase vogliamo nutrirci delle energie necessarie per innescare il cambiamento e canalizzarle affinché fluisca in tutto il corpo liberamente. Con i piedi paralleli e le gambe leggermente aperte è possibile iniziare un lavoro di inspirazione ed espirazione. Ogni volta che il praticante inspira solleva le braccia all’altezza delle spalle piegandosi sulle gambe come se affondasse le radici nel terreno mentre nella fase di espirazione apre le spalle, distende le gambe e spinge con le mani verso il basso come se volesse piantare dei pali nel terreno.

La visualizzazione suggerita è quella di immaginare di essere robuste piante, prendere la linfa dal terreno durante l’ispirazione e trovare la forza di ergersi e liberarsi durante l’espirazione. Lo scopo è anche quello di avvertire eventuali blocchi a livello muscolare che impediscono il libero fluire della nostra linfa e che possono manifestarsi alle caviglie, alle gambe, alle spalle, ecc.

Ogni tensione ci narra la difficoltà a lasciarci andare autonomamente nel nostro cammino, ad impedirci di esplorare gli orizzonti del nostro possibile divenire, sedotti dalla giuramento che le abitudini quotidiane sono il migliore dei mondi possibili.

La necessità di accogliere senza giudicare

Ogni blocco deve essere accolto senza giudizio, provando a respirare sopra e attraverso la tensione in modo da ricollegarla ai nostri vissuti, alle eventuali sofferenze dei nostri trascorsi per riuscire, nel rispetto dei nostri limiti, a scioglierle e consentire alle emozioni congelate, come dolore o rabbia di liberarsi attraverso il grido o il pianto. Lo sviluppo richiede energie e queste devono avere la possibilità di fluire dalla testa ai piedi avvertibili attraverso la vibrazione degli arti o sensazioni cutanee come formicolii e calore.

Il nutrimento necessario può essere ricevuto anche attraverso l’apertura e la chiusura delle braccia ritmate dalle fasi di inspirazione ed espirazione. E’ importante alternare quindi l’atteggiamento di apertura delle spalle e del petto durante l’inspirazione con la chiusura ed il ripiegamento su se stessi nella fase successiva, secondo un effetto fisarmonica, in modo da favorire il fluire bioenergetico nel corpo.

Sicuramente, apertura/chiusura e respiro fanno sentire i loro effetti anche a livello psicologico, consentendo di avvertire sensazioni di disagio o di piacere a seconda della familiarità che abbiamo rispetto a certi atteggiamenti corporei.

Se abbiamo la tendenza a subire gli eventi senza opporsi, magari sarà più familiare un atteggiamento in cui si tende a piegare la testa in avanti e a curvarsi nelle spalle, viceversa, la capacità di reagire alle pressioni esterne può suggerire di assumere con più sicurezza una postura di apertura delle spalle e di spostamento del petto in avanti.

Innesco emozionale: in questa fase del lavoro psicoemozionale andiamo alla ricerca del piacere.

La ricerca del piacere

Senza il piacere non c’è la carica emotiva giusta per innescare un processo di cambiamento autentico. Il tendere verso la propria realizzazione comporta aver ben chiaro cosa significa per noi il piacere e come fare per raggiungerlo, consapevoli delle paure e delle resistenze che impediscono che ciò avvenga.

Ogni abitudine, per quanto disfunzionale, dà sempre sicurezza e rende difficile l’accettazione del piacere e l’abbandonarsi ad esso.

Si tratta in poche parole di accendere dentro di noi il desiderio, di accettare la possibilità di un cambiamento dettato non dal senso del dovere in quanto tale ma da ciò che ci attiva da un punto di vista emotivo.

L’eccitazione è necessaria per riscoprire la gioia di vivere in tutte le sue sfaccettature ed è quindi opportuno ricostruire dentro di noi, ad occhi chiusi, l’immagine mentale del nostro desiderio più nascosto, più vero e sentito.

Rappresentarsi in modo autentico e sincero il proprio desiderio, quello tenuto nascosto perché ritenuto forse illegittimo, diventa la spinta propulsiva per iniziare a dirigere in qualche modo le energie personali verso la direzione che dissipa frustrazioni e false convinzioni verso se stessi.

Cessare la resistenza e abbandonare la paura

Dirigere l’attenzione e disperdere la paura: si tratta adesso di orientare i propri sforzi verso un obiettivo, dopo essere riusciti finalmente a disintegrare la corazza delle resistenze. Ciò che pretendeva di continuare ad accudirci e difenderci è stato finalmente tranciato consentendo di far filtrare la luce necessaria al personale germogliare.

Si tratta di dire addio all’illusione della comoda esistenza per sperimentarsi nel personale divenire altro. Mirare l’obiettivo e dirigersi verso ciò che riteniamo realizzante vuol dire svincolarsi dalle abitudini e rompere i confini. Uno sforzo ed una fatica accompagnati dalla paura come compagna di viaggio che rimprovera per le scelte prese.

Ecco che allora il corpo si appresta a realizzare tutto questo immaginandolo immerso nel miele, in una melma resistente che impedisce ogni movimento volontario.

Lo sguardo, fisso in un punto, rappresenta la meta prefissa. Le ginocchia sono leggermente flesse e le mani sono poste all’altezza dell’ombelico con i palmi rivolti verso il basso come se fossero a contatto con la superficie del miele.

I tempi di ogni passo sono scanditi dalla respirazione e la resistenza opposta dalla sostanza densa e appiccicosa si fa veramente intensa. La lentezza di ogni movimento è accompagnata dalla consapevolezza che in ogni istante sono presente al mio corpo e alla fatica che provo per dirigermi verso il mio obiettivo.

Il rilassamento muscolare accompagnato da una forte tensione interiore dettata dalla consistenza dell’immaginazione consentono di dare forma e spessore ad un cammino che inizio a vivere come difficile e necessario allo stesso tempo.

E’ il mio personale tendere verso ciò che sento come realizzante perché innestato sul piacere della realizzazione che dà corpo e forza al mio formarmi. E senza meta e senza direzione non c’è realizzazione del sé, ecco perché il darsi la forma non può che essere la sincera autenticità di un sentire che, al di là di ogni giudizio esterno, di ogni vergogna e paura, trova nel del piacere l’unica possibilità di ricongiungimento di sé con se stessi.

A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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