Ci sono frasi che diciamo senza pensarci. Sono rapide, automatiche, spesso pronunciate con leggerezza, a volte con sarcasmo. Ma se le ascolti con attenzione, quelle parole hanno un’eco profonda: sono la voce di un mondo emotivo bloccato, non riconosciuto, forse mai accolto.
2. Che cos’è davvero l’intelligenza emotiva?
Daniel Goleman l’ha definita come la capacità di percepire, comprendere, gestire e utilizzare le emozioni, proprie e altrui. Ma questa è solo la punta dell’iceberg.
In chiave psicoanalitica, l’intelligenza emotiva affonda le sue radici in una funzione molto più antica e profonda: la capacità di mentalizzare, cioè di dare senso alle emozioni e agli stati mentali propri e degli altri. È una competenza che si sviluppa nella relazione precoce con le figure di attaccamento (Fonagy, 2002), e può rimanere immatura o dissociata in chi ha vissuto esperienze affettive fredde, intrusive o incoerenti.
L’intelligenza emotiva è quindi una forma di maturità psico-affettiva, un livello di integrazione tra ciò che sentiamo, ciò che pensiamo e ciò che comunichiamo. Non nasce da sé: si costruisce, lentamente, attraverso la relazione.
Frasi che rivelano una bassa intelligenza emotiva (e cosa nascondono)
Frasi come “Io non mi arrabbio mai”, o “Non è successo niente di grave”, sono come finestre sbarrate: impediscono alla luce dell’emozione di entrare. Sono frasi che raccontano una distanza – non dagli altri, ma da sé stessi.
E non è colpa. È storia. Perché dietro ogni difficoltà emotiva c’è quasi sempre una mancanza d’amore: una carenza di ascolto, di sguardi che ci dessero il permesso di sentire.
“Io non mi arrabbio mai”
Frase apparentemente pacifica, ma potenzialmente pericolosa. Chi la dice ha spesso interiorizzato che la rabbia è inaccettabile o distruttiva. In realtà, la rabbia è una forza psichica che protegge i confini del Sé. Negarla significa non aver avuto il diritto di esprimerla, o averla vista esplodere in modo spaventoso nel proprio ambiente infantile.
Difesa psicoanalitica: rimozione + idealizzazione
Ferita sottostante: paura dell’abbandono se si mostra aggressività
“Sei troppo sensibile”
È una frase che scarica sull’altro il peso dell’emozione che non si sa accogliere. In psicoanalisi si parlerebbe di proiezione svalutativa egodifensiva: spostare all’esterno ciò che è intollerabile dentro di sé.
Difesa psicoanalitica: proiezione + svalutazione
Ferita sottostante: vergogna per la propria emotività
“Io sono fatto così”
Questa frase congela il cambiamento. È la maschera dell’identità difensiva, quella costruita per sopravvivere, non per esprimere sé stessi. Spesso cela un Sé bloccato in uno sviluppo interrotto, che si è identificato con un copione relazionale disfunzionale.
Difesa psicoanalitica: fissazione dell’Io + identificazione narcisistica
Ferita sottostante: mancanza di validazione nella fase evolutiva
“Non è successo niente di grave”
Negare la gravità delle esperienze è un modo per proteggersi da un dolore troppo grande. Questa frase è tipica di chi ha interiorizzato un modello di attaccamento evitante o ha dovuto minimizzare i propri bisogni per sentirsi accettato.
Difesa psicoanalitica: diniego + razionalizzazione
Ferita sottostante: trascuratezza emotiva precoce
“Non ho tempo per queste cose”
Quando le emozioni diventano un fastidio, è probabile che siano state vissute come un ostacolo anche durante l’infanzia. L’emotività viene allora relegata a un ruolo secondario, perché non c’è mai stato spazio per ascoltarla.
Difesa psicoanalitica: scissione affettiva + ipercontrollo
Ferita sottostante: pressione a essere adulti troppo presto (parentificazione)
“Le emozioni sono una perdita di tempo”
Frase che tradisce una mentalità iper-razionale e produttivistica, dove il valore della persona è legato alla performance. Il mondo interno viene visto come inutile, perché non è stato riconosciuto.
Difesa psicoanalitica: disconferma del Sé + identificazione con l’aggressore
Ferita sottostante: educazione rigida o anaffettiva
Difese inconsce e immaturità emotiva
Molte di queste frasi non sono scelte consapevoli. Sono meccanismi di difesa, strategie messe in atto dal nostro inconscio per proteggerci da emozioni percepite come minacciose.
Le persone con bassa intelligenza emotiva non sono “fredde” o “superficiali”: sono spesso profondamente ferite.
Non hanno avuto l’opportunità di sviluppare quella funzione mentale che Bion chiamava funzione alfa: la capacità di trasformare emozioni grezze in pensieri.
In molti casi, dietro queste difficoltà si cela una personalità che ha dovuto scindere il proprio mondo emotivo per sopravvivere. Questa è anche la base di molte strutture narcisistiche: non si tratta di egoismo, ma di una ferita del Sé che non ha trovato uno specchio empatico.
Origini relazionali: quando non ci hanno insegnato a sentire
Winnicott diceva che un bambino diventa reale solo quando è visto e sentito nella sua autenticità. Senza questo sguardo riflessivo, non impariamo a riconoscere ciò che proviamo.
Un genitore che ignora, punisce o ridicolizza le emozioni del figlio non gli permette di costruire un vocabolario affettivo interno. Il risultato è un adulto che non sa “leggere” sé stesso e gli altri.
La teoria dell’attaccamento ci insegna che le prime relazioni plasmano la nostra capacità di fidarci, di sentire, di regolare l’arousal emotivo. Quando queste relazioni sono state incoerenti o disorganizzate, si sviluppano pattern difensivi che poi si riflettono nel linguaggio.
Cosa puoi fare se ti riconosci in queste frasi. Esercizio introspettivo
Se leggendo questo articolo ti sei sentito toccato, fermati un momento. Non giudicarti. La bassa intelligenza emotiva non è un difetto. È una conseguenza. E come tutte le conseguenze, può essere trasformata. Prendi carta e penna. Scrivi una frase che dici spesso e chiediti:
- A cosa sto cercando di non pensare?
- Che emozione sto cercando di tenere fuori?
- A chi apparteneva questa frase nella mia infanzia?
Spesso scoprirai che non sono davvero parole tue. Sono parole “apprese”, automatismi emotivi che puoi riscrivere.
Lavora sull’ascolto emotivo
Impara a sostare nel disagio. Quando arriva un’emozione scomoda, prova a darle un nome, senza giudicarla.
Questo è il primo passo verso la ri-connessione.
Cerca uno spazio sicuro
A volte da soli non basta. La psicoterapia è uno dei luoghi più potenti dove imparare a sentire, nominare, integrare. Dove il mondo interno può finalmente diventare abitabile.
Le parole come finestre sul nostro mondo interno
Le parole che pronunciamo ogni giorno sembrano leggere, a volte persino banali. Eppure, spesso portano con sé il peso di intere generazioni, di silenzi mai decifrati, di emozioni che abbiamo imparato troppo presto a nascondere.
Ogni frase che ci nega, che minimizza ciò che sentiamo, è come una piccola ferita che si riapre. Ma è anche – se lo vogliamo – una soglia. Una soglia verso una comprensione nuova, verso un linguaggio più autentico e compassionevole con noi stessi.
Non siamo sbagliati se fatichiamo a riconoscere le emozioni. Siamo stati solo educati a non sentirle.
E allora sì, possiamo imparare. Possiamo imparare a riconoscere ciò che ci abita. Possiamo trasformare il nostro mondo interiore in un luogo più abitabile, dove le emozioni non siano più nemiche da combattere, ma messaggere da accogliere.
In questo percorso, il mio nuovo libro “Il mondo con i tuoi occhi“ non è solo un testo di psicologia: è una mano tesa. Un invito a guardarti dentro con sincerità e gentilezza. A rileggere la tua storia liberandola dai copioni di felicità che ti sono stati imposti. È un manuale per imparare a costruire una vita che ti assomigli davvero, svincolata dai doveri emotivi e vicina alla tua verità più profonda.
Perché guarire non significa diventare invulnerabili. Guarire significa riappropriarsi di sé, smettere di dire “sono fatto così” e cominciare a chiedersi: “Chi sarei, se smettessi di proteggermi da ciò che sento?” E se ti sei riconosciuto in una di quelle frasi, non spaventarti. È da lì che si comincia. È da lì che puoi iniziare a vederti davvero. Con gli occhi nuovi di chi non ha più paura di sentire. Con i tuoi occhi. Per immergerti nella lettura del mio libro e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon) oppure in libreria.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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