Frasi tipiche delle persone con bassa autostima (e cosa rivelano davvero)

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

A volte non serve guardare cosa diciamo, ma come. Le parole che scegliamo, le frasi che ripetiamo senza accorgercene, i modi in cui minimizziamo noi stessi: tutto questo parla di noi molto più di quanto immaginiamo. Ci sono espressioni che ci abitano da sempre, che pronunciamo con naturalezza, ma che – se ascoltate con attenzione – raccontano una storia ben più profonda: quella di una persona che ha imparato a dubitare di sé, a mettersi da parte, a credere di non meritare.

La bassa autostima non è solo un tratto del carattere. È una lente attraverso cui vediamo il mondo, una voce interiore che si insinua nei nostri pensieri e ci accompagna nelle relazioni, nelle scelte, persino nei silenzi. Spesso si manifesta nelle parole più quotidiane, come un sottofondo costante fatto di “scusa se esisto”, di giustificazioni e autosvalutazioni.

Frasi tipiche delle persone con bassa autostima

In questo articolo esploreremo le frasi più tipiche di chi ha una bassa autostima, quelle che rivelano insicurezze profonde, paure relazionali e un senso cronico di inadeguatezza. Le analizzeremo dal punto di vista psicologico e neuroscientifico, e ci soffermeremo sull’infanzia, terreno fertile dove queste dinamiche affondano le radici. Perché comprendere è il primo passo per iniziare a parlare a sé stessi con un tono nuovo, più gentile, più giusto.

1. “Scusa…” (detto anche quando non c’è nulla di cui scusarsi)

Una delle frasi più frequenti di chi ha una bassa autostima è un “scusa” anticipato, spesso usato anche quando non c’è stato alcun errore. È un modo implicito per dire: so di disturbare, so di non avere abbastanza valore per prendere spazio, quindi ti chiedo scusa in anticipo per la mia presenza.

Focus psicologico

Questo comportamento è tipico delle persone che hanno sviluppato una sindrome del buonismo relazionale: credono di dover essere sempre accomodanti per essere accettate. Nasce spesso da un attaccamento insicuro, in cui l’amore è stato percepito come condizionato al non creare problemi.

Focus neuroscientifico

A livello cerebrale, chi si scusa compulsivamente mostra un’attivazione più marcata dell’amigdala, centro delle emozioni di allerta e paura, e una sotto-regolazione della corteccia prefrontale, deputata al senso critico e alla regolazione emotiva. Questo fa sì che anche un semplice disaccordo venga vissuto come un potenziale pericolo di rifiuto.

2. “Non preoccuparti, va tutto bene” (anche quando non è vero)

Questa frase è il rifugio di chi non vuole deludere, di chi preferisce negare i propri bisogni per non essere percepito come un peso. È una forma di autoannullamento emotivo.

Focus psicologico

È una difesa narcisistica invertita: invece di imporsi, la persona si annulla. Per chi ha una bassa autostima, chiedere aiuto o mostrare fragilità equivale a un rischio di essere abbandonato o criticato. Quindi preferisce farsi piccolo, invisibile, apparentemente autonomo.

Neurobiologia del trattenersi

Studi sulla disregolazione emotiva indicano che reprimere sistematicamente le emozioni può portare a un’attività cronica della default mode network, quella rete cerebrale che si attiva nei pensieri autoriferiti e rimuginanti. Il risultato è che la persona sembra calma fuori, ma dentro si crea un turbine di disagio non espresso.

3. “Non sono capace” / “Io non ce la faccio”

Sono frasi che chi ha una bassa autostima pronuncia come automatismi. Anche di fronte a situazioni nuove o sfide moderate, il pensiero immediato è quello dell’inadeguatezza.

Focus psicologico

Questo atteggiamento è legato al concetto di auto-sabotaggio inconscio: per non rischiare il fallimento, la persona si autocondanna all’immobilismo. È un tentativo inconscio di evitare il dolore, ma a costo della propria crescita.

Focus neuroscientifico

In queste persone è spesso iperattiva la corteccia cingolata anteriore, coinvolta nella rilevazione dell’errore. Questo significa che il loro cervello è costantemente allerta verso i segnali di fallimento, anche quando non ci sono, generando un’anticipazione catastrofica.

4. “Se proprio non c’è nessun altro, vengo io…”

Frase tipica di chi non si percepisce come prima scelta, ma come alternativa. Anche nei rapporti affettivi o lavorativi, questa dinamica si traduce nel sentirsi costantemente “di troppo” o “di passaggio”.

Focus psicologico

Si tratta di una forma di svalutazione appresa, spesso interiorizzata in famiglie dove il bambino non ha sentito di essere considerato davvero importante. Chi ha una bassa autostima non chiede mai per primo, si propone solo se sicuro che nessuno si offenderà.

5. “Mi fido più degli altri che di me stesso”

Quando l’autostima è bassa, il giudizio altrui diventa la bussola. Ci si affida agli altri anche per scegliere cosa mangiare, che decisioni prendere, come comportarsi. Questo porta a una progressiva perdita di identità.

Focus psicologico

È il risultato di un eccessivo bisogno di approvazione, che rende impossibile sviluppare un senso solido di sé. Ogni pensiero autonomo è vissuto come rischioso, ogni divergenza come colpa.

L’effetto sul cervello

L’eccessiva dipendenza sociale può ridurre l’attività nella corteccia prefrontale dorsolaterale, responsabile della presa di decisioni autonome, e aumentare quella dell’insula, coinvolta nella consapevolezza del giudizio sociale e del disagio.

L’infanzia come origine: quando il seme dell’autostima non attecchisce

Molte di queste frasi sono solo la punta dell’iceberg. Sotto c’è un’infanzia in cui il bambino non si è sentito davvero visto. Magari ha avuto genitori presenti fisicamente ma assenti emotivamente. Oppure ha vissuto sotto costante critica, ironia o pressione a performare. In questi ambienti, il bambino sviluppa un falso sé: un’identità costruita per piacere agli altri, non per essere autentica.

Non è raro che bambini cresciuti con un amore condizionato imparino a recitare, a nascondere i bisogni, a credere che il valore si guadagni solo quando si è “bravi”. E se sbagliano? Scatta la vergogna, non l’accoglienza. È lì che nasce la bassa autostima: nella mancanza di uno sguardo che sappia dire “vai bene così”, anche quando sei imperfetto.

Iniziare a cambiare il tono con cui ti parli

Le parole che dici agli altri nascono dal tono con cui ti parli dentro. Se quella voce interiore è dura, svalutante, sempre critica… ogni tua frase sarà un riflesso di quella durezza. Ma ogni frase può diventare un punto di partenza per cambiare. Quando ti scopri a dire “non ce la faccio”, prova a chiederti: “Chi me lo ha fatto credere, e perché continuo a ripeterlo?”

Recuperare l’autostima non significa diventare perfetti, ma riappropriarsi del diritto di essere umani. Significa imparare a essere il proprio genitore interiore, a proteggere e incoraggiare quella parte fragile che ancora vive in te. E se ti accorgi che molte delle frasi che usi parlano di svalutazione, forse è il momento di cambiarle. Non per gli altri. Ma per iniziare – finalmente – a raccontarti una storia diversa.

Nel mio libro Il mondo con i tuoi occhi, accompagno il lettore proprio in questo viaggio: quello che ci porta a disinnescare i costrutti interiori che ci hanno insegnato a non piacerci, a non ascoltarci, a farci piccoli. È un invito a guardare dentro di sé con occhi nuovi, per scegliere finalmente parole – e pensieri – che curano, anziché ferire. Perché ogni cambiamento profondo comincia sempre da una voce più gentile verso di sé.

A volte basta poco: una frase accolta, uno sguardo sincero, la possibilità di raccontarsi senza paura. E quel poco, nei momenti giusti, può salvare. Può diventare la scintilla che ci riporta a casa, dentro di noi. E se leggendo queste parole ti sei riconosciuto anche solo in una frase, se hai sentito un nodo allo stomaco o una stretta al petto, ricordati che non sei solo. E che c’è sempre un modo per tornare a respirare a pieni polmoni. Forse non sarà facile. Forse richiederà coraggio. Ma ogni passo verso di te è un atto d’amore. Il più importante. Perché guarire, alla fine, non significa non soffrire più. Ma riconoscere la propria voce anche nel dolore. E permettersi di ascoltarla davvero. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon

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