Frasi tipiche di chi è cresciuto in una famiglia disfunzionale

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Ogni nostro comportamento è il frutto di un apprendimento, un adattamento all’ambiente in ci siamo sviluppati. Il primo «ambiente sociale» entro cui siamo cresciuti è la nostra famiglia, ecco perché essa ha un forte impatto su chi siamo oggi, cosa vogliamo, dove siamo diretti e… come comunichiamo. Molte persone non riescono ad accettare questa realtà ma è così: il modo in cui trascorriamo l’infanzia, le relazioni affettive che intrecciamo e quindi le cure genitoriali ricevute, esercitano una forte influenza sulle scelte che compiamo in età adulta e sul nostro modo di vivere.

Il modo in cui comunichi svela la tua infanzia

È chiaro che se non riusciamo a comunicare in modo efficace, è perché non abbiamo mai imparato a farlo. Anche il modo in cui comunichiamo è frutto di un apprendimento/adattamento, abbiamo appreso le «strategie comunicative» che meglio funzionavano nella nostra famiglia di origine e questo non sempre è un bene. In parte, comunichiamo i nostri bisogni proprio come i nostri genitori comunicavano i loro con noi, quando eravamo piccoli, e in parte, abbiamo adattato le nostre modalità comunicative in base ai feedback ricevuti proprio dal nostro ambiente sociale di sviluppo.

Così, parola dopo parola, scambio dopo scambio, qualcuno di noi ha appreso una dinamica comunicativa severa, basata su rimproveri, punizioni, ricatti morali e intimidazioni che sottendono l’abbandono come minaccia. Ecco perché, nell’esprimere dei semplici bisogni, qualcuno di noi tende a essere più aggressivo, mentre altri si lasciano prevaricare e si pongono su un piano comunicativo acquiescente, quasi sottomesso (perché era questo lo stile comunicativo vincente in famiglia).

Il fatto è che oggi siamo cresciuti, siamo adulti, e possiamo comunicare intenzioni e bisogni in modo calmo, razionale e costruttivo. Tuttavia, se questa modalità comunicativa «calma e propositiva» non è stata appresa durante la crescita, dovremmo impegnarci per adottarla!

Frasi tipiche di chi è cresciuto in una famiglia disfunzionale

Lo stile comunicativo può rivelare molto sulle nostre esperienze passate, prova ad analizzare il tuo stile per capire cosa ti racconta di te e dei tuoi rapporti familiari. Per farlo, ti aiuterò con delle frasi emblematiche, spiegando alcune delle dinamiche comunicative più comuni.

Nota Bene. Attenzione! L’essere cresciuti in una famiglia disfunzionale non è necessariamente un’esperienza drammatica: esistono livelli di disfunzionalità differenti. Molti genitori hanno ereditato modelli comunicativi (e relazionali) gerarchici, basati quindi sul presupposto che, in famiglia, esistono dei subordinati, componenti meno importanti.

Questo genera spesso un senso di frustrazione e di forte ingiustizia soprattutto nelle famiglie in cui, un figlio, è trattato come l’ultima ruota del carro. In questo modo, quel bambino non apprenderà la reciprocità, imparerà invece che i bisogni di una persona sono più importanti di quelli di un’altra e sarà portato, in base ai suoi vissuti, a identificarsi come colui che è gerarchicamente superiore o inferiore; tratterà i suoi bisogni come più o meno importanti di quelli altrui.

Anche quando un adulto apprende la reciprocità, potrebbe leggere nel suo interlocutore delle minacce (inesistenti) e assumere uno stile comunicativo difensivo. Attenzione! Le frasi che seguono vanno sempre contestualizzate ed esaminate con l’intero stile comunicativo.

«Devi, che ti piaccia o no…!»
«Ciò che si deve fare è…»
«È così e basta!»
«Non pensare questo»

Se ci fai caso, queste frasi hanno una cosa in comune, non permettono alcuna scelta all’interlocutore. Sono imposizioni, sottendono un pizzico di prepotenza, tipica di chi ha dovuto sgomitare per affermare se stesso, tipica di chi non ha imparato a lasciare all’altro la libertà di scelta. Le persone che si esprimono in questo modo, sono molto dure, talvolta anche con se stesse. Vedono la realtà come una giungla in cui combattere.

«Non importa»
«Va bene così»
«Fai tu»
«Per me va bene tutto»

Anche frasi come queste hanno un tema portante: quello della persona che si fa piccola piccola per non dar fastidio. Nella sua famiglia d’origine, l’unica strategia che le ha consentito di «adattarsi», consisteva nell’essere invisibile, dare meno fastidio possibile. Probabilmente gli altri componenti della famiglia l’hanno spesso trattata come un peso, oppure, erano troppo presi da problemi per elargire attenzioni a quel bambino che, pian piano, ha finito col sentirsi invisibile.

«Sapevo che andava a finire così»
«Sei sempre il solito!»
«Tutto è destinato a finire»
«Non esistono coppie felici»

Queste sono le classiche frasi del disilluso, di colui che non crede più a nulla e che non ha mai imparato a fidarsi e af-fidarsi all’altro. E così fa vincere i suoi pregiudizi, cioè le idee che ha sviluppato o appreso in passato. In queste persone, l’idea che hanno della realtà vince sulla realtà stessa! La percezione personale supera il concreto dando vita a innumerevoli bias cognitivi. Già, è questo l’effetto che hanno i pregiudizi ed ecco perché sono così pericolosi. Tracciano per te il tuo destino, sottraendo il preziosissimo libero arbitrio.

«Questa è l’ultima volta che te lo ripeto…»
«Se tu non fai questo, io allora…»
«Guarda che poi ci perdi tu»
«Con tutto quello che ho fatto per te, sarebbe il minimo…»

Nella comunicazione, sarebbe saggio non confondere una richiesta con una pretesa. Quando fai una richiesta, è necessario che tu sia disposto ad accettare un «no» come risposta. Chi non riesce a tollerare un «no» come risposta, ricorre alle intimidazioni, ai ricatti morali, alle minacce subdole. La comunicazione, in questi casi, può diventare un vero e proprio campo minato.

«È tutta colpa mia»
«Devo migliorare»
«Mi devo fare più furbo»
«È possibile che sia l’unico a capire come stanno davvero le cose?»

Una storia familiare difficile può innescare forti vissuti di colpa. Talvolta la colpa si trasforma in indegnità, ed è rivolta verso l’interno di sé. Altre volte la colpa si trasforma in rancore, perché rivolta all’esterno di sé, c’è sempre un colpevole, un responsabile da condannare.

Quando la colpa è collocata dentro di sé, emergono frasi e vissuti in stile: «gli altri mi trattano male perché non valgo nulla, è tutta colpa mia», «non sono abbastanza», «devo fare di più», «devo essere migliore…». Quando la colpa è rivolta all’esterno, con forti vissuti di rancore, emergono frasi e vissuti come: «mi trattano tutti male perché sono degli ingrati», oppure «nessuno mi capisce, sono degli insensibili» (…). In questo caso, quando possibile, la persona identifica un capro espiatorio che tenderà a trattare male e sul quale riversare ogni responsabilità, in genere si tratta di un coniuge o di un figlio.

E chi è cresciuto in una famiglia funzionale? Come comunica?

Si chiama comunicazione non-violenta o linguaggio giraffa. Lo psicologo statunitense Marshall Rosenberg, noto per la sua teoria dei contesti comunicativi win-win (comunicazione non-violenta) ha parlato del linguaggio giraffa per fare riferimento a un modello comunicativo particolarmente assertivo. Prima caratteristica utile: i due interlocutori sono posti sullo stesso piano, non vi è un prevaricatore o un sottomesso, ma due individui che pesano uguale sulle braccia di una bilancia in perfetto equilibrio. Ciò significa che, nelle interazioni, i bisogni dell’altro sono importanti quanto i propri, ne’ più, ne’ meno.

La persona non sente il bisogno di sopraffare l’altro, di avere l’ultima parola, di innescare sensi di colpa o sentirsi superiore in qualche modo. Ecco perché usa un linguaggio che non giudica, che si basa sulla comprensione, che permette di esprimere ciò che è vivo dentro di sé e di fare richieste in modo costruttivo. Le parole che scegliamo e il modo in cui esponiamo i fatti, giocano un ruolo estremamente importante. La cattiva comunicazione è la principale causa di disfatta nelle relazioni affettive e non: pensiamo che i problemi siano il «cosa» (cosa accade, cosa ha detto, cosa ha fatto…) ma in realtà sono il «come» (come si affrontano le questioni, come si esprime un concetto, come si affronta una determinata questione…).

Se ci rifletti un attimo, ciò che ho appena scritto non solo è intuibile ma l’avrai sperimentato sulla tua pelle un mucchio di volte: tutto è mediato dalla comunicazione! Un conto è se qualcuno ti dice «questo piatto fa schifo! A cosa pensavi mentre cucinavi?». Ben diverso è se afferma: «in genere sei più bravo in cucina, cosa è successo?». Il «cosa» è lo stesso, un piatto riuscito male, mentre il «come» è diverso e cambia tutto. Certo, nella vita ci ritroviamo ad affrontare questioni meno banali di una ricetta venuta male, ma il senso non cambia. Il «come» conta tantissimo!

Questo articolo è ispirato al mio libro «d’Amore ci si ammala, d’Amore si guarisce»

Con il libro, cerco di diffondere la cultura della salute emotiva partendo proprio dall’abilità di accogliere le proprie emozioni e capire che vissuto ti stanno raccontando. Si parla di abilità perché come qualsiasi altra operazione complessa è qualcosa che è necessario apprendere.

Da bambini, i nostri genitori ci insegnano a leggere e a scrivere, capacità cognitive estremamente complesse per un bambino! Già a pochi anni dobbiamo imparare a distinguere dei simboli che lì per lì sembrano senza senso, dobbiamo imparare a replicarli con una penna, a impugnarla quella penna! Al contempo dobbiamo impararne ad associare un suono a ogni simbolo e poi a usare quelle lettere per comporre parole. Una sfida enorme che però siamo riusciti a superare!

Da bambini avremmo dovuto ricevere un’educazione emotiva che però è tardata ad arrivare: i nostri genitori in primis non l’hanno ricevuta! Come loro, siamo stati lasciati allo sbaraglio. Anzi, quelli più sfortunati tra noi sono stati addestrati a mettersi da parte, a ignorare i propri bisogni ed emozioni, a pensare che c’è sempre qualcosa di più importante di sé! Ecco, nel libro «D’amore ci si ammala, d’amore si guarisce» ti spiego come ripristinare un equilibrio perduto, ti insegno a rivendicare il tuo valore di persona completa e degna di amore, ad ascoltare i tuoi bisogni, le tue emozioni e a esprimerle senza timore alcuno. La vita è unica e non è fatta per essere sopportata, non ci dobbiamo accontentare in amore, dobbiamo piuttosto imparare ad accogliere l’amore che meritiamo. Il libro è disponibile in tutte le librerie d’Italia e su Amazon a questo indirizzo. Ricorda: ambisci sempre al meglio! Io te lo auguro.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
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