
C’è una verità scomoda che molti di noi faticano ad ammettere: l’infanzia non finisce davvero quando cresciamo. Gli anni che ci hanno formato non restano chiusi in una cornice di ricordi, ma continuano a vivere dentro di noi. Abitano nei nostri modi di amare, nelle paure che ci frenano, nella fiducia o nella sfiducia che riponiamo negli altri.
Chi ha avuto un’infanzia difficile lo sa, anche se spesso non riesce a dargli un nome: non basta diventare adulti per liberarsi delle ombre del passato. Quelle esperienze continuano a influenzare i nostri pensieri, il nostro corpo, le nostre relazioni. E non sempre in modo evidente: a volte si nascondono dietro un sorriso di circostanza, dietro il bisogno di dimostrare sempre qualcosa, dietro la fatica a fidarsi o a chiedere aiuto.
Parlare di infanzia difficile non significa solo evocare grandi traumi o violenze esplicite. Significa anche dare voce a tutte quelle piccole mancanze, incoerenze, assenze affettive che un bambino non ha saputo nominare, ma che ha dovuto assorbire. Perché un bambino non può permettersi di pensare: “Mamma e papà non sono in grado di amarmi come avrei bisogno.” Dirà piuttosto: “Sono io che non valgo abbastanza.”
E quella convinzione, una volta sedimentata, può diventare il filo invisibile che guida un’intera vita.
1) Infanzia difficile: cosa significa davvero
Quando pensiamo a un’infanzia difficile, tendiamo a immaginare solo esperienze di grande dolore: abusi, trascuratezza, maltrattamenti. Certo, ci sono situazioni in cui la sofferenza è evidente e indelebile. Ma spesso la difficoltà assume forme più sottili: un genitore affettivamente assente, un padre o una madre che chiedono perfezione costante, un ambiente dove le emozioni non hanno diritto di cittadinanza.
Un bambino che cresce in questo contesto impara presto a reprimere ciò che sente per adattarsi. Impara a non piangere, a non chiedere, a non disturbare. Oppure, al contrario, impara a farsi notare con comportamenti esplosivi, pur di ricevere attenzione. In entrambi i casi il messaggio è lo stesso: “Non sono libero di essere come sono, devo adattarmi per sopravvivere.”
Dal punto di vista psicoanalitico, questa è la nascita del falso Sé: una maschera costruita per essere amati, che però lascia dietro di sé un vuoto. Dal punto di vista neuroscientifico, sappiamo che questo vuoto si incide nel corpo: l’amigdala diventa più sensibile agli stimoli minacciosi, il sistema nervoso rimane in stato di allerta, la regolazione emotiva si indebolisce.
2) Le ferite invisibili
Non sempre le conseguenze di un’infanzia difficile sono riconoscibili subito. Spesso si presentano in forme sottili:
- La paura del rifiuto, che porta ad accontentare sempre gli altri e a dire di sì anche quando si vorrebbe dire no.
- La difficoltà a fidarsi, che rende complicato costruire legami profondi e duraturi.
- Il bisogno di approvazione, che spinge a eccellere, a lavorare senza sosta, a dimostrare sempre qualcosa.
- Il senso di colpa, che accompagna ogni tentativo di mettere se stessi al centro.
- Il vuoto emotivo, quella sensazione di non sentirsi mai abbastanza, anche quando all’esterno tutto sembra andare bene.
Queste ferite sono invisibili, ma guidano silenziosamente le nostre scelte. Un partner che non ci ama come vorremmo, un capo che ci svaluta, un’amicizia che ci sfrutta: senza accorgercene, possiamo ripetere in età adulta gli stessi copioni imparati da bambini.
3) Il corpo non dimentica
Una delle scoperte più importanti delle neuroscienze è che il corpo ricorda. Le esperienze infantili non restano solo nella memoria narrativa, ma si imprimono nelle memorie implicite e nelle risposte fisiologiche.
Un bambino che ha vissuto trascuratezza può diventare un adulto che, davanti a un messaggio non letto o a un invito rimandato, prova un dolore sproporzionato. Non perché sia “debole”, ma perché il suo sistema nervoso collega automaticamente l’attesa con l’abbandono.
Un bambino cresciuto nella paura può diventare un adulto ipervigile, che si sente costantemente sotto giudizio. Anche quando nessuno lo sta osservando, il corpo registra allarme.
Per questo guarire da un’infanzia difficile non è solo questione di “capire” razionalmente cosa è successo. È necessario lavorare anche sul corpo: imparare a regolare il respiro, a calmare il sistema nervoso, a creare nuove associazioni emotive che permettano di sentire sicurezza lì dove prima c’era allarme.
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