Non tutti riconoscono di aver vissuto un’infanzia difficile. Alcune persone erano troppo impegnate a crescere in fretta da non notare le molteplici mancanze. Altre hanno idealizzato eccessivamente la figura genitoriale da non riuscire ad ammettere i torti subiti. Alcune, ancora, sono rimaste imprigionate nel dolore così a lungo da non riuscire a guardare altrove. Da bambini infatti, assorbiamo tutto ciò che ci viene detto su di noi come se fosse una “verità incontrovertibile” un dato di fatto solido e assodato che non potrà cambiare mai: “sei pigro”, oppure “sei un bambino cattivo” o altro, sono espressioni che il bambino assorbe e fa proprie senza avere la capacità di poterle mettere in discussione, né di comprendere che spesso si tratta di affermazioni imprecise e parziali.
Tutti abbiamo una “ferita centrale” nel profondo che varia in base alle nostre circostanze ed esperienze
Questa profonda e fondamentale ferita è il risultato delle credenze che ci hanno insegnato fin dalla nascita, contribuendo alla difettosa immagine di noi stessi che continuiamo a portarci dietro fino ad oggi. Le nostre ferite fondamentali sono i nostri dolori più profondi nella vita. Sono i nostri amici più vecchi e più miserabili. Come premesso, non tutti sono consapevoli di aver vissuto esperienze avverse ma lamentano sintomi come vuoto emotivo, angoscia, ansia, mania del controllo, perfezionismo… Si tratta di sintomi che non vengono fuori dal nulla, non compaiono perché qualcosa non va in te, compaiono perché qualcosa non andava nel passato e non è stato fatto nulla per porre un pronto rimedio.
Chi usa queste frasi nasconde un disagio emotivo
Riconoscere una persona che ha attraversato un vissuto difficile, ti può fornire gli strumenti giusti per empatizzare con lei. Analogamente, se riscontri in te i segnali di un vissuto irrisolto, potrai indagare più a fondo e porti dei quesiti. Le frasi tipiche elencate di seguito possono fornire un indizio sul vissuto di chi le pronuncia, tuttavia vanno sempre contestualizzate nelle dinamiche emotive e relazionali. Prese singolarmente, infatti, queste frasi non sono altro che parole, ecco perché a seguito dell’elenco proverò a mostrare il contesto emotivo d’interesse traumatico.
- Tanto tutto è inutile.
- Non posso fidarmi di nessuno.
- Ce la faccio da solo.
- Tutte le cose sono destinate a finire.
- Non ho bisogno di nessuno.
- Non esistono coppie felici.
- Nessuno può capirmi.
- Mi sento come se mi mancasse qualcosa.
- Non provo nulla.
Le frasi appena elencate parlano di un dolore immenso, nascosto in mille cassetti difettosi che quando solo vengono sfiorati, si spalancano e non fanno altro che tirare fuori rabbia. Già, la rabbia è l’unico modo potente che queste persone hanno per manifestare la loro sofferenza occulta e ogni minima scossa fa aprire quei cassetti chiusi troppo frettolosamente. Per elaborare un vissuto traumatico bisogna essere pronti a vivere pienamente il dolore del torto subita, per quanto possa essere ingiusto e per quanto possa provenire dalla persona sbagliata. E’ così, i traumi più difficile da elaborare sono quelli che vengono inflitti dalle persone che dicevano di amarci, dalle persone che avrebbero dovuto proteggerci ma che mentre noi soffrivamo, guardavano altrove.
La fiducia violata
Le prime sette frasi dell’elenco, possono essere contestualizzate nel medesimo vissuto emotivo. In psicologia esiste un concetto simile a quello di fede ma niente di divino. Si parla di fiducia epistemica primaria per indicare la fiducia cieca che il bambino ripone nel genitore al momento della nascita. Il bambino si af-fida completamente al genitore perché quella è la sua unica scelta. Se il genitore saprà ripagare adeguatamente la sua fiducia con contenimento emotivo, attenzioni e cure, il bambino riuscirà a sviluppare speranza, sicurezza e resilienza.
Al contrario, quando il genitore è scostante e inizia a trattare il bambino come un subordinato o peggio, come l’estensione del proprio sé, quel bambino non potrà mai sviluppare una sana sicurezza. Molti genitori proiettano nei figli le proprie ambizioni e aspettative, tanto da sostituire i bisogni del bambino con i propri. Quando gli scopi dei genitori non sono allineati con quelli del bambino, si verificano eventi che il bambino potrà solo subire.
La conseguenza naturale di questo disallineamento? Il bambino diventerà un adulto convinto che chiunque altro non potrà mai capire e accogliere i suoi bisogni e rinuncerà alla disponibilità a dipendere da un’altra persona. La parola dipendere è usata con connotazione positiva, inteso come interdipendenza sana, indispensabile nelle relazioni sentimentali. Quel bambino diventerà un adulto che rinuncerà a rendersi vulnerabile e a fidarsi dell’altro. E così non sarà capace di chiedere e/o accettare aiuto e supporto dall’altro. Non imparerà mai a riconoscere le persone che potrebbero essere realmente disponibili e così finirà per credere di vivere in un mondo marcio. Dato le sue esperienze precoci di trascuratezza e dolore, quella persona si convincerà che non possono esistere relazioni felici perché tutto è destinato tragicamente a finire.
Mi sento come se mi mancasse qualcosa
Per sfuggire alla sofferenza, chi ha vissuto esperienze traumatiche ha tentato metaforicamente di compartimentare il dolore creando tante camere a tenuta stagna. Peccato che così facendo ha sepolto anche parti di sé. Quella sensazione di mancanza è dovuta all’impossibilità di accedere alle varie parti della propria identità. Chi ha un vissuto traumatico ha letteralmente smarrito se stesso. E’ tremendo constatare che chi sperimenta questa sensazione, in genere, cerca di colmare quella mancanza con qualcosa di esterno a sé, quando in realtà dovrebbe solo guardarsi più profondamente dentro.
Non provo nulla
Questa frase può essere riconducibile a una sorta di alessitimia, all’incapacità di accedere ai propri stati emotivi. Chi soffre di alessitimia, non riuscendo a entrare in contatto con la propria sfera emotiva, tende a razionalizzare tutto. La sensazione di vuoto si manifesta perché, quella persona, nel disperato tentativo di assecondare le aspettative altrui, ha dovuto mettere da parte troppo spesso le sue vere emozioni, fino a seppellirle.
Persone con un vissuto emotivo difficile, tendono a stringere pochi legami o addirittura nessuno. In genere le relazioni che instaurano sono superficiali o legate alla condivisione di uno scopo (attività sportive, intrattenimento di vario genere).
È solo colpa mia
Chi non è consapevole di aver vissuto un vero e proprio trauma, finisce per incolpare se stesso per qualsiasi intoppo. Questa circostanza getta le basi per disturbi d’ansia ed episodi depressivi. Molto frequentemente, chi ha un vissuto difficile alle spalle è portato alla reattività e alla razionalizzazione, questi due meccanismi fungono da scudo verso una depressione maggiore ma non allontanano stati di tristezza e malinconia. Per queste persone, infatti, si può parlare di depressione esistenziale o depressione interiorizzata: sono accompagnate da uno stato di rassegnazione emotiva e da un umore cupo di sottofondo. Per fortuna un vissuto difficile, per quanto doloroso possa essere, non può e non deve rappresentare una condanna a vita. Chi ha vissuto un’infanzia difficile merita di riscattarsi, merita di ricomporre la sua identità spezzata e ha tutte le carte in regola per farlo.
Se pensi di non essere abbastanza
Lasciare andare le antiche credenze apprese e i ruoli che ti sono stati assegnati durante l’infanzia può essere estremamente difficile, al punto che molte persone credono di non essere in grado di farlo: non c’è da stupirsi, nessuno ci ha mai insegnato a credere in noi stessi!
Se pensi di non piacere, i dati salienti per te saranno quelli atti a darti conferma di ciò. Se ritieni che non sei degno di amore, di accettazione, andrai dunque a cogliere fra le righe quei segnali, di per sé neutri, che però possono essere usati come prove per la tua idea precostituita. Tuttavia, devi sapere che chi si sforza di migliorare se stesso e soprattutto di affrontare un passato doloroso, alla fine avrà le sue grosse ricompense: autonomia, soddisfazione, senso di completezza, capacità di individuare e perseguire i propri obiettivi e… sì, anche autentica felicità. Oggi sappiamo che anche le esperienze più traumatiche e difficili, se affrontate con l’atteggiamento giusto, sono in grado di stimolare una crescita positiva
Molte persone, reduci da un’esperienza traumatica o che si sono confrontate con prove estremamente dure della vita, hanno mostrato come tali esperienze negative possano portare con se anche un aspetto forte e potente, acquisendo una forza misteriosa di cambiamento positivo e di crescita personale. Parliamo di “Crescita post-traumatica” ossia la possibilità di arricchirsi e di trasformare aspetti negativi di vita in una fonte di trasformazione positiva.
La voglia di riscattarsi e… rinascere!
C’è una cosa che hanno in comune tutte le persone che hanno vissuto un’infanzia difficile: hanno voglia di riscattarsi! Il dolore, i torti, annichiliscono ma al contempo alimentano rabbia e frustrazione. È nella rabbia dell’ingiustizia subita che si può trovare il seme della reattività, il motore che può innescare un processo trasformativo utilissimo. Ogni giorno siamo artefici della nostra stessa evoluzione, siamo responsabili delle maschere che indossiamo, delle parole che diciamo… anche se non ne siamo consapevoli.
In realtà, esistono due modalità di vita: la prima ci pone come individui passivi-reattivi, cioè ci fa limitare a reagire alle cose che ci capitano nella vita. Ci fa vivere, quindi, in funzione del comportamento degli altri. Una modalità di vita molto più sudata (perché richiede esercizio, una buona dose di distacco, regolazione delle emozioni e tanta tanta riflessione) è la modalità attivo-reattivo. In questo caso, le persone non si limitano a reagire a ciò che capita ma sono pienamente artefici della propria vita, riescono a gestire le proprie maschere, a ridimensionarle o distruggerle! Se sei pronto a prendere in mano le redini della tua vita e a reagire ai comportamenti altrui in armonia con i tuoi bisogni, ti consiglio la lettura del mio libro «D’AMORE CI SI AMMALA, D’AMORE SI GUARISCE». Per le ricadute positive che ha sul benessere e l’affermazione personale, è il libro più consigliato dagli psicoterapeutici! È un viaggio introspettivo che ti consentirà di trasformare le tue ferite e la tua attitudine difensiva in un’inattaccabile amor proprio. Già, perché l’armatura che più di tutte può difenderti (dalle umiliazioni, dai torti, dalle delusioni e dalla rabbia…) è proprio l’amor di sé. Perché come ho scritto nell’introduzione al mio libro: “Non è mai l’amore di un altro che ti guarisce ma l’amore che decidi di dare a te stesso”. Se hai voglia di costruire relazioni sane e appaganti, se hai voglia di scoprire le immensità che ti porti dentro e imparare a esprimere pienamente chi sei, senza timori e insicurezze, è il libro giusto per te. Il libro puoi acquistarlo in libreria o a questa pagina Amazon.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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