Ghosting tra psicoterapeuta e paziente

| |

Author Details
Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Improvvisamente il partner scompare. Non risponde più al telefono, non legge i messaggi, cestina le email e rifiuta ogni contatto delegando al silenzio totale la notizia del suo definitivo distacco…

E’ così che ti ho spiegato cos’è il ghosting all’interno delle relazioni sentimentali, tuttavia, tale fenomeno è peculiare anche di un altro tipo di relazione, quella che si instaura tra il terapeuta e il suo paziente.

Ad attuare il ghosting non è il terapeuta ma il paziente che si dilegua senza proferire parole sul termine del percorso.

Ghosting tra psicoterapeuta e paziente

Il rapporto tra il terapeuta e il paziente è molto intimo ma spesso si interrompe bruscamente. Non è raro che la relazione terapeutica muoia per abbandono del paziente. Un abbandono inatteso, che solo raramente dà segnali premonitori e che sfida le regole del rapporto di fiducia paziente/terapeuta.

Il paziente che interrompe la terapia descrive l’accaduto come una “rottura” usando frasi come “ho rotto con il mio psicoterapeuta”. Di certo la stessa frase non si userebbe per descrivere l’interruzione di un trattamento con l’endocrinologo ed è altrettanto certo che si userebbe più tatto se si dovesse decidere di “rompere” con un amico fidato.

Allora dove e come si configura il legame con lo psicoterapeuta? Parliamo di un legame non paragonabile a quello che si instaura con altri specialisti ma neanche meritevole delle stesse premure dedicate a un legame di amicizia. In realtà, la relazione psicoterapeuta/paziente ha una dimensione peculiare e non può essere paragonata a nessun altro rapporto.

Ciò che spesso si sottovaluta è che i terapeuti, prima di essere professionisti, sono esseri umani. L’interruzione del percorso senza spiegazione da parte del paziente lascia spazio a molti dubbi. Il terapeuta, dinanzi al ghosting del paziente è disorientato, sconcertato per la mancanza di una spiegazione e può essere portato a mettere in dubbio il suo operato. Per capire alcune delle ragioni più comuni che innescano la fuga del paziente è necessario analizzare alcuni fattori.

Intimità asimmetrica

Probabilmente è l’intimità asimmetrica che caratterizza la relazione terapeuta-paziente che disinibisce il paziente quasi “legittimandolo” a interrompere il percorso bruscamente e senza preavviso. Mentre il paziente espone i suoi pensieri e mette a nudo le sue paure, il terapeuta resta ad ascoltare e interviene solo per facilitare la comprensione del sé e per coadiuvare la guarigione e la remissione dei sintomi problematici.

Il legame psicoterapeuta/paziente è asimmetrico ma non sbilanciato: il cliente si racconta, si mette a nudo e dall’altra parte lo specialista è pronto ad accogliere un intenso carico e investire emotivamente nel paziente. L’investimento più consistente è nell’adoperare la massima professionalità per fornire strumenti utili senza interferire in modo attivo nella vita del paziente.

Il paziente solo raramente si rende realmente conto delle dinamiche inerenti la relazione con il terapeuta e questa bassa consapevolezza può indurlo a piantarlo in asso la terapia senza dare alcuna spiegazione ne’ annullare l’ultimo appuntamento fissato.

Il transfert

Il transfert è quel processo mediante il quale il paziente trasferisce sullo specialista quelli che sono i suoi vissuti passati, cioè già sperimentati nelle relazioni precoci con le figure significative. Ciò significa che il paziente può sperimentare frustrazione, odio, attrazione così come instaurare un rapporto ambivalente.

Il paziente non ha consapevolezza del transfert così vivi i propri sentimenti e le proprie sensazioni come pertinenti al presente e alla relazione con lo specialista.

Nella psicologia dinamica, lo specialista individua e interpreta le modalità di transfert e, se opportuno, le rende note al paziente così da ricollocarle nella dimensione passata. Non tutte le scuole di pensiero e/o non tutti i professionisti riconoscono l’importanza di tale fenomeno che spesso non viene interpretato ne’ spiegato con la dovuta attenzione al paziente. Il alcuni casi, il ghosting potrebbe essere il frutto di sentimenti passati sperimentati dal paziente nelle sue relazioni precoci.

Paura del giudizio

Chi giudica negativamente se stesso può inciampare più facilmente in questo intoppo. Un buon lavoro psicoterapeutico va fatto con materiale autentico e ciò implica un’elevata dose di onestà. Nel raccontarsi, il paziente potrebbe trovare molte resistenze: non sempre si è pronti a condividere con il terapeuta del materiale intimo, soprattutto quando è fonte di imbarazzo o vergogna.

Durante una seduta in cui il paziente viene a trovarsi particolarmente “in fiducia” (fiducia in se stesso e non nel professionista), il paziente potrebbe “sbottonarsi” per poi pentirsene in un secondo momento e sentirsi giudicato.

R. è una donna adulta che non può avere figli, cresciuta con un’educazione rigida e con dei genitori che continuavano a trattarla come una bambina, tanto che in alcune sedute era presente anche la mamma.

R. ha abbandonato la psicoterapia senza alcun preavviso ma nell’ultima seduta aveva rivelato al suo psicoterapeuta di aver interrotto una gravidanza (all’insaputa di tutti, anche della madre) quando aveva solo 13 anni. Quella fu l’ultima seduta. Probabilmente R. non aveva mai elaborato quella gravidanza indesiderata e soprattutto temeva il giudizio di sua madre. E’ chiaro che il giudizio dello specialista non c’entra affatto, per default professionale lo psicoterapeuta non si proietta neanche a giudicare il vissuto di un paziente…. tuttavia la percezione del paziente potrebbe essere diversa.

Quando un paziente “tira fuori del materiale ad alto carico emotivo“, lo psicoterapeuta dovrebbe catapultarsi su una questione: “il paziente ha gli strumenti per elaborare questa rievocazione? Cosa posso fare per farlo sentire al sicuro?”.

Distorsioni cognitive

Se per la paura del giudizio lo psicoterapeuta può impegnarsi a rendere la relazione un luogo più sicuro, quando si tratta di distorsioni il discorso si complica e ogni parola pronunciata nello studio dello psicoterapeuta può diventare un campo minato.

Le distorsioni cognitive si verificano quando interpretiamo in modo negativo e irrazionale il mondo che ci circonda e le situazioni che ci troviamo ad affrontare. Così, una frase può essere vissuta come un affronto, una mancanza di rispetto o un’offesa personale.

A mio modesto parere, le distorsioni possono spiegare la fine ingiustificata della gran parte dei percorsi di psicoterapia troncati all’improvviso.

A. va in terapia da poco più di un anno. Racconta che per il prossimo compleanno ha in programma di festeggiare fuori. Lo specialista afferma “sono contento, allora prevedi di passarlo meglio dello scorso anno?”. L’anno precedente, A. aveva trascorso il compleanno con la madre in una casa di cura, rifiutandosi di festeggiare o andare a cena fuori con la compagna perché avvolto da sensi di colpa che egli stesso descriveva come insopportabili.

A., durante la psicoterapia ha abbozzato una risposta stentata, ma successivamente ha ammesso di essersi sentito profondamente offeso e di aver meditato di interrompere il percorso. A. aveva penato “come si permette lo psicoterapeuta di dire che lo scorso anno ho avuto un compleanno pessimo quando volevo solo stare con mia madre?”. 

Se il paziente pensa che lo psicoterapeuta è stato arrogante, offensivo o irrispettoso, farebbe bene a confrontarsi. E’ chiaro che lo psicoterapeuta può sbagliare ma è altrettanto vero che quando vi è un elevato carico emotivo si è più esposti a distorsioni. In più, affrontando direttamente il psicoterapeuta, il paziente si dà la possibilità di avere una spiegazione. In alcuni casi, scappare o evitare non fa crescere mentre può essere più funzionale la via del confronto.

Paura della perdita di sé

Questo si verifica quando il paziente non ha mai costruito dei confini tra sé e l’altro. Il paziente, raccontandosi, ha come la sensazione di concedere troppo spazio e potere allo specialista tanto da aver paura di perdere parti di sé. In questo contesto il paziente può arrivare a detestare lo specialista e sperimentare sentimenti di ambivalenza.

E’ vero che lo psicologo ha tantissimi strumenti ma è anche vero che non è un mago e non ha alcuna sfera magica, quindi se il lavoro non diventa sufficientemente sinergico, la sensazione percepita dal paziente diventerà intollerabile inducendo una fine prematura del percorso.

Mancata accettazione del sé

La psicoterapia dovrebbe servire anche a questo, a far sì che il paziente possa riuscire ad accettare se stesso. Talvolta i pazienti non sono consapevoli di non accettarsi o di non accettare parti di sé, così mentre si lavora, semplicemente decidono di scappare perché si trovano davanti qualcosa di intollerabile.

Paura del dolore

Il discorso è analogo a quanto visto prima. Il percorso terapeutico non è mai lineare, proprio come lo sviluppo evolutivo che affrontiamo durante l’infanzia, è fatto di battute d’arresto, riprese, fasi di apprendimento, fasi di stagnazione e di nuovo assimilazione. In tutto questo, il paziente che ha dei vissuti difficili, potrebbe mostrare delle resistenze nell’accettazione.

Durante il percorso di psicoterapia, il paziente si ritrova più spesso a dover affrontare delle scelte e talvolta queste scelte non sono esplicite.

F. è una donna adulta, ha una bella carriere e un legame di dipendenza affettiva con la madre, tanto che ancora oggi le ripartisce una parte del suo stipendio. E’ arrivata in psicoterapia per dei problemi con il compagno, tuttavia tali problemi sono riconducibili al legame materno. Se F. non riuscirà ad accettare di avere una madre non perfetta così come lei l’ha idealizzata, non riuscirà a risolvere i problemi con il compagno e non otterrà mai i risultati sperati con la psicoterapia. Detto così sembra semplicissimo, F. deve solo “prendere consapevolezza di un fatto”… tuttavia F. oltre ad aver idealizzato la madre, ha con lei un forte legame di dipendenza che continua a nutrire.

F. ha paura di ammettere che in fondo ha avuto una cattiva madre, ha paura anche di sentirsi stupida: come ha fatto in tutti quegli anni a non capire? In pratica F., per paura di soffrire, preferisce tenersi l’illusione di un’infanzia felice e un legame materno idilliaco piuttosto che mettere tutto in discussione. Ogni tentativo di riflessione da parte del professionista è ammonito pesantemente da F. e avvicinarsi alla realtà potrebbe innescare in F. il ghosting e la fuga.

Resistenze e meccanismi di difesa

Gli esempi visti sono solo alcuni e sono stati estremamente semplificati. Per generalizzare ulteriormente e spiegare cosa può indurre al ghosting tra psicoterapeuta e paziente parliamo di resistenze. Con il termine resistenza si fa riferimento a tutto ciò che impedisce l’evoluzione del paziente.

Una forma di resistenza è rappresentata dai meccanismi di difesa dell’io. I meccanismi di difesa sono volti a proteggere l’individuo dai conflitti, da idee o emozioni spiacevoli. E’ chiaro che un percorso di psicoterapia porterà il paziente a sfoggiare tutti i suoi meccanismi di difesa!

Le difese dell’io sono lo strumento principale con cui il soggetto gestisce gli istinti e gli affetti, sono di tipo inconscio e spesso costituiscono una forma di resistenza, cioè disturbando l’alleanza psicoterapeutica.

NB.: questo articolo non esclude l’esistenza dell’inadeguatezza professionale. Come per tutte i mestieri, anche in campo psicologico ci sono professionisti eccellenti, buoni, mediocri e scarsi.

Se ti è piaciuto questo articolo puoi seguirci su Facebook:
sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor, sul mio account personale o nel nostro gruppo Dentro la PsichePuoi anche iscriverti alla nostra newsletterPuoi leggere altri miei articoli cliccando su *questa pagina*. © Copyright, www.psicoadvisor.com – Tutti i diritti riservati. Qualsiasi riproduzione, anche parziale, senza autorizzazione scritta è vietata. Legge 633 del 22 Aprile 1941 e successive modifiche.