I Grammar Nazi sono i paladini della grammatica: ascoltano, leggono e lo fanno con una spiccata sensibilità agli errori; nello scrutare un testo, anche una virgola fuori posto potrebbe turbarli. Nell’esprimersi, i grammar Nazi impiegano perfettamente la grammatica italiana ma non è tutto: non basta aver ricevuto una buona istruzione per essere un grammar Nazi, queste persone sentono il bisogno di correggere gli errori altrui, è questa la caratteristica saliente.
Il Grammar Nazi, dunque, è una persona che sente lo spasmodico bisogno di correggere l’utilizzo improprio della lingua. Sia se si tratta di dialoghi formali, sia se si tratta di scambi superficiali, se c’è un errore, il Grammar Nazi non può fare a meno di correggerlo, ma da dove nasce questo bisogno?
La risposta della psicoanalisi
Banalmente (ma non troppo), correggere il prossimo è un modo per dire: «io valgo di più», un mezzo per rendere tangibile una presunta superiorità camuffata dall’attaccamento a un prestigio (la cultura) in via di dissoluzione.
La correzione, l’ergersi ad autorità lessicale, conferisce un prezioso strumento per dimostrarsi colto, superiore alle masse incompetenti. Dunque i Nazi Grammar che sostengono di combattere un dilagante declino linguistico, in realtà sarebbero mossi dall’esigenza di difendere se stessi o addirittura uno status faticosamente acquisito mediante la formazione.
L’insorgenza di tale bisogno è riconducibile all’infanzia e al delicato passaggio che ogni bambino vive nell’aprire il proprio mondo alla scuola con il conseguente distacco dal genitore. Tutto dipende da come viene vissuto tale distacco e quanto il bambino arriva “preparato” al suo debutto scolastico così da riuscire a integrarsi.
Molti genitori sottovalutano tale tappa. I bambini, ignari di ciò che stanno per affrontare, dovrebbero essere rassicurati ma ciò non sempre accade, addirittura alcuni genitori lasciano i figli a scuola con l’inganno, accompagnati dalla fatidica frase: «la mamma subito torna».
E’ necessario che il distacco dalla famiglia avvenga in modo quanto più armonioso possibile. Tale preparazione non dovrebbe limitarsi al fatidico primo giorno di scuola, ma dovrebbe riguardare la sicurezza del legame di attaccamento. I bambini che hanno vissuto forti invalidazioni nel distacco con i genitori e nell’integrazione scolastica, sono più inclini, da adulti, a rivendicare la propria esistenza e il proprio valore mediante un approccio “linguistico” che trasmette il messaggio nascosto: sono degno di stima!
La risposta degli studi statistici
E’ tra i banchi di scuola che impariamo a socializzare con il prossimo. Chi debutta a scuola accompagnato da una forte invalidazione emotiva, potrebbe essere più introverso.
Secondo una ricerca del 2016 (Robin Qeen e Julie Boland dell’Università di Kyoto, Giappone), i Grammar Nazi tendono a essere più introversi, chiusi, poco disponibili verso gli altri e più critici in ogni contesto. Le persone estroverse, invece, sembrerebbero essere più inclini a lasciar correre gli errori grammaticali.
Una seconda ricerca, condotta presso l’Università del Michigan, ha raggiunto conclusioni simili: le persone più intransigenti verso gli errori grammaticali (e addirittura verso semplici refusi) sono più introverse e meno versatili. I ricercatori hanno concluso affermando che «le persone meno disponibili tollerano con maggiore difficoltà tutto ciò che devia dallo standard» e con la scuola, la grammatica è uno dei primi standard ai quali siamo chiamati ad aderire. Come se i Grammar Nazi trovassero le proprie conferme/convalide nelle certezze offerte dalla grammatica.
Se in questo articolo ci siamo soffermati solo su ciò che spinge un Grammar Nazi a correggere il prossimo, non dobbiamo dimenticare che tale tendenza ha dei risvolti più complessi. Il Grammar Nazi può inciampare in enormi giudizi sociali partendo da pochi contenuti (scritti male!).
I puristi della grammatica: vade retro parola straniera
Una variazione sul tema che ben si correla al comportamento del Grammar Nazi è legata ai “puristi” della lingua italiana che mal tollerano termini d’importazione o deformazioni di pronuncia derivati. Ahimè, personalmente non sento il bisogno di correggere gli errori altrui, tuttavia per un breve periodo mi sono riconosciuta in questa “variante”. Il pensiero conscio di sottofondo era questo: se in italiano disponiamo di parole adeguate, perché farci viziare dai termini anglofoni?
Notai questo mio «fastidio» con i primi studi universitari. In Spagna, per esempio, il DNA è detto ADN, in italiano, invece, l’acronimo non nasce da acido desossiribonucleico bensì dall’inglese DeoxyriboNucleic Acid. Ancora, la parola amminoacido che prende origine dal gruppo amminico che lo caratterizza, spesso sui testi scientifici (e non) si ritrova scritta con una sola n (tradotta dall’inglese amino acid). La parola plus viene pronunciata “plas” anche se in realtà è di derivazione latina e andrebbe pronunciata con la u… gli esempi sono tanti. Nel lontano 2007, studiando i sistemi di unità di misura internazionali, ho compreso che nel mondo della comunicazione (soprattutto se scientifica) è necessario essere flessibili, aperti alla condivisione, ed è dal Novecento che la lingua inglese ha un ruolo del tutto particolare in questo “sharing” globale. Così oggi non fatico a usare termini come caregiver, feedback, top down, follow up, trial clinico… perché la necessità di comunicare/a condividere è più forte di qualsiasi “fastidio”, progresso ed elasticità significano anche questo.
Da dove emerge il fastidio verso gli inquinamenti linguistici?
Anche in questo caso la tendenza sorge da un mancato riconoscimento, da una invalidazione. Nel mio caso, il primo anno di università evocò proprio quell’invalidazione. Non è un segreto che abbia imparato a leggere in tarda età a causa di una dislessia non diagnosticata; già la lingua italiana era stata una difficile conquista e inconsciamente i termini stranieri rievocavano in me una difficoltà ormai superata ma che in passato era stata causa di sofferenza. Il tutto in uno contesto di nuovo apprendimento (appunto, il primo anno universitario).
Gli scenari che portano a un’ostilità verso la terminologia straniera sono tra i più disparati. Il racconto del mio vissuto (legato a un’ancestrale difficoltà linguistica) è stato solo un esempio. Una qualsiasi cattiva integrazione nell’ambiente scolastico, può trasformarsi in questo “fastidio“. In che modo avviene la trasformazione?
Nello scenario più diffuso, i bambini che si sono sentiti minacciati all’interno dell’ambiente scolastico, possono sviluppare da adulti un bisogno di maggiore coerenza e certezze. Tale bisogno potrebbe non estrinsecarsi solo con un focus puntato alla terminologia, ma in questo articolo ci stiamo soffermando solo su questo spaccato.
Crescendo, apprendiamo tutto per associazioni implicite (inconsce/inconsapevoli). L’insegnante, così come l’ambiente scolastico, è qualcosa di “esterno alla famiglia”, qualcosa di estraneo/sconosciuto che dapprima non fa parte del mondo del bambino. Poiché il bambino vive tutte le esperienze in modo assolutistico, delle cattive esperienze possono indurlo a estremizzare il ruolo dell’insegnante (o della fonte del suo stress scolastico) come colui che non appartiene al suo mondo, tale repulsione, con la crescita e il raggiungimento dell’età adulta, si va ad accomodare proiettandosi verso lo straniero. Bambini che hanno fatto esperienze di un mondo minaccioso, da adulti avranno la tendenza a essere persone intolleranti ricche di collera.
Mancanza di elasticità
I puristi della grammatica denotano una mancanza di elasticità mentale. La lingua cambia! Ciò che prima era invenzione, se non errore, può diventare una regola, una consuetudine. È nella natura delle cose, il risultato è che i nostri antenati parlavano latino, noi parliamo italiano… o più banalmente, il risultato è che il termine «petaloso», inventato per sbaglio da un bambino, è stato adottato dalla crusca e da qualche anno è una “parola vera”.
Quando il bisogno di correggere errori grammaticali diviene una compulsione, lo scenario diviene patologico. Parliamo della Grammatical Pedantry Syndrome o Pedanteria grammaticale, un particolare tipo di disturbo ossessivo compulsivo. In questo caso scendono altri fattori in gioco come: il disgusto, i sensi di colpa e schemi di pensiero eccessivamente rigidi.