Gravidanza in pandemia: risvolti psicosomatici sul bambino

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Psicologa e Psicoterapeuta analitica in formazione, con utilizzo della Sand Play Therapy e psicodiagnosta con Test Rorshach e altri test. Riceve online e nel suo studio di Empoli.

Nascere oggi significa doversi confrontare con l’emergenza codivid-19.

La gravidanza è per antonomasia un periodo pieno di dubbi ed incertezze, le future mamme si apprestano a dare alla luce il loro bambino con i mille dubbi che attanagliano una puerpera. I grandi classici:

“Andrà tutto bene? Sarò all’altezza di questo compito? Cosa dovrò aspettarmi per il futuro di mio figlio?”

Nei primi giorni di Pandemia, il parto è stato un momento molto problematico, i reparti di neonatologia non erano ancora attrezzati a fronteggiare questo evento in sicurezza e come si fa in situazioni di grande emergenza, ha prevalso il senso di massima sicurezza e i reparti, sono stati in un primo momento inaccessibili e super blindati a persone al di fuori della partoriente.

Neomamma ai tempi del covid-19

Le neo-mamme, quindi si sono trovate spiazzate da tutto quello, che avevano appreso ai corsi pre-parto. Il supporto del papà era stato ampiamente contemplato in questi corsi e nulla avrebbe fatto pensare a quello, che di li a poco sarebbe successo.

Alcune, forse le prime, si sono trovate a fronteggiare l’evento della nascita completamente sole.

Ora i reparti di ostetricia si sono attrezzati, ma nell’immediato periodo in cui è scattata l’emergenza, i partner in sala nascite erano stati esclusi.

Questa situazione di emergenza, probabilmente avrà sottoposto le partorienti ad un ulteriore carico di stress individuale.

Quando si oltrepassa una certa soglia, lo stress può innalzarsi e far crescere anche il livello di cortisolo (appunto, l’ormone dello stress) nelle giovani madri.

Se questo, si innalza oltre una determinata soglia può raggiungere il feto, ed influenzare alcuni aspetti della sua maturazione.

Questo eccesso di ormoni, può irrompere nell’asse ipotalamo- ipofisi-surrene (HPA) fetale del sistema nervoso autonomo. Questo è l’asse che modula anche le risposte immunitarie e la sua iperattivazione svolge un ruolo cruciale nella vulnerabilità di una malattia della pelle del nascituro, detta dermatite atopica.

Una recente indagine, condotta da Northwester Univerity ha dimostrato una correlazione tra le condizioni psicologiche materne nel periodo prenatale e l’insorgere della malattia.

La pelle, rappresenta quel rivestimento corporeo, che delimita lo spazio interno da quello esterno. Delimita i nostri confini da quelli degli altri.
Spesso nei contatti interpersonali manifestiamo attraverso la pelle chi siamo, i nostri stati d’animo e le nostre emozioni.

Il rossore del viso, manifesta agli altri, che siamo in imbarazzo, la pelle d’oca, può farci capire, che qualcosa ci ha impauriti o emozionati, possiamo impallidire per lo spavento, o sudare per qualcosa che ci emoziona particolarmente.

Dermatite atopica

La dermatite atopica, è una malattia infiammatoria, che causa prurito, vescicole, gonfiore, rossore e desquamazione. L’origine non è ancora certa, tuttavia evidenze scientifiche fanno supporre che potrebbe derivare da un eccesso di cortisolo in circolo durante la gestazione, senza l’azione inibente dell’enzima HSD2, in grado di trasformare lo stesso in una forma inattiva, esponendo quindi il feto a stress ossidativo e alla possibilità di sviluppare appunto dermatite atopica, anche a fronte di un adattamento psicologico neonatale.

I fattori emotivi possono esacerbare gli effetti di questa malattia, come i fattori ambientali e la famiglia, possono mitigare o peggiorarne l’evoluzione.

Solitamente è una malattia che non guarisce mai del tutto e nel corso della vita può aumentare di intensità in concomitanza di eventi, che scatenano paure, sensi di colpa (…) ed in genere si insinua, in una personalità che fatica a tirare fuori le proprie capacità e competenze.

Si manifesta in persone che tendono a trattenere le proprie emozioni temendo il giudizio degli altri, essendo abbastanza timidi ed inibiti.

Così altre malattie della pelle, nascondono significati profondi e come dice Alexander Lowen ”Non esistono parole più chiare del linguaggio del corpo, una volta che si è imparati a leggerlo”.

Psicosomatica delle malattie della pelle

Quindi ritornando alla comparazione con le principali malattie della pelle come la vitiligine e il significato psicologico profondo, troviamo una similitudine tra le macchie bianche prive di melatonina e il bisogno di cambiare pelle e di purificarsi, dopo un trauma psicologico.

L’orticaria, può essere generata da un pianto represso, che non trova sbocco all’esterno, per il dolore e la rabbia in seguito ad avvenimenti importanti, e poi, convertito, in questa manifestazione.

La psoriasi si manifesta con chiazze di pelle ispessita ed arrossata, ricoperta da uno strato di scaglie cutanee bianche. Le zone più colpite sono le mani, che indicano il bisogno di contatto sociale, i piedi che hanno il significato di istabilità dell’io e scarso contatto con la realtà, i gomiti, che manifestano dinamiche competitive, che causano disagi.

Le emozioni, sono difficilmente comunicate. Il rosso simboleggia un’aggressività trattenuta, le scaglie bianche un tentativo di purificarsi. Sono persone che all’apparenza possono sembrare socievoli, ma in realtà non si aprono a relazioni profonde e faticano a manifestare le loro emozioni.

La pelle diventa spesso il ricettacolo di dinamiche psichiche, che prediligono questo canale per manifestare e condividere le proprie emozioni, per difficoltà incontrate nell’ambiente esterno, o per difficoltà personali.

Le emozioni vengono tenute latenti, perché ritenute negative e cattive, si privilegia, la pelle per esternare, ciò che si teme di manifestare apertamente.

Autore: Dott.ssa Paola Cervellati, psicologa
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