Hai mai provato a guardarti davvero negli occhi? Non nello specchio, non per controllare se sei stanca, bella o a posto. Ma per incontrarti. In quel punto preciso in cui il tuo sguardo si fa fragile e il cuore rallenta. Se riuscissi a guardarti più a fondo, potresti vederla: la bambina che sei stata. Sta lì da sempre, in silenzio. A volte sussurra nei sogni, altre volte urla sotto forma di ansia, solitudine, fame emotiva o stanchezza esistenziale. Sta lì, ferma in quel tempo dove nessuno le ha spiegato abbastanza, dove non è stata accolta come avrebbe avuto bisogno, dove ha imparato a cavarsela da sola troppo presto.
Questo articolo non è un racconto malinconico
È un invito a tornare dove tutto è iniziato. Non per restare imprigionati nel passato, ma per fare qualcosa che molti adulti non sanno nemmeno si possa fare: chiedere perdono alla propria bambina interiore. Per non averla ascoltata, per averla caricata di paure, per averle chiesto di essere forte quando avrebbe solo voluto sentirsi protetta. Questa è una possibilità di guarigione. E la psicologia, insieme alla neuroscienza, ci dice che è possibile.
Il bambino interiore: una presenza viva nella mente adulta
In psicologia, il concetto di “bambino interiore” rappresenta la parte emotiva più profonda e primitiva della nostra psiche. Non è solo un simbolo poetico: è un insieme reale di tracce mnestiche, emozioni, percezioni e modalità relazionali che si sono strutturate nei primi anni di vita e che continuano ad agire — silenziosamente — nel presente.
Ogni volta che ti senti abbandonata, rifiutata, invisibile o impaurita in modo sproporzionato, è lei che si attiva. La tua parte adulta spesso cerca di zittirla con razionalizzazioni, impegni, controllo. Ma quella bambina non ha bisogno di essere zittita. Ha bisogno di essere vista, riconosciuta, contenuta.
Cosa significa contenimento emotivo (e cosa succede se è mancato)
Il contenimento emotivo è la capacità di una figura di accudimento di riconoscere, accogliere e restituire in modo elaborato e rassicurante le emozioni del bambino. Quando piange, si arrabbia, ha paura o è confuso, non viene ignorato né giudicato, ma tenuto. Il suo mondo interno viene contenuto da un adulto che sa reggere quella tempesta, e le sue emozioni imparano a trasformarsi.
Quando questo contenimento non avviene, accade qualcosa di sottilmente devastante: il bambino si convince che le sue emozioni sono pericolose, e che per sopravvivere deve imparare a reprimerle, anestetizzarle o trasformarle in comportamenti disfunzionali (compiacere, controllare, isolarsi…). Chi non è stato contenuto da piccolo, diventa un adulto che fatica a contenere sé stesso.
Le conseguenze del non essere stati contenuti
Chi cresce senza un adeguato contenimento emotivo sviluppa spesso alcune modalità relazionali e difensive molto specifiche:
- Auto-svalutazione cronica: ogni errore o imperfezione viene vissuto come la prova di essere “sbagliati”.
- Paura del giudizio: si vive nella costante allerta di essere criticati o rifiutati.
- Ipercontrollo: si cerca di prevenire il dolore gestendo ogni dettaglio, anche emotivo, proprio e altrui.
- Analfabetismo emotivo: non si sa dare un nome alle emozioni, si prova solo un vago disagio o un peso.
- Difficoltà nelle relazioni: si tende a scegliere persone evitanti, frettolose o che attivano antichi copioni.
Il bambino non contenuto resta dentro di noi come una fonte inesauribile di ansia, di vergogna, di fame affettiva.
Cosa accade nel cervello quando manca il contenimento
Le neuroscienze confermano ciò che la psicologia ha intuito da sempre: le esperienze emotive precoci modellano la struttura cerebrale. In particolare:
L’amigdala, centro della paura e dell’allerta, si iperattiva nei bambini non contenuti, restando ipersensibile anche da adulti.
Il sistema di regolazione cortico-limbico fatica a svilupparsi correttamente: significa che da adulti si fa molta più fatica a “calmarsi” dopo un’emozione intensa.
La corteccia prefrontale, che ci aiuta a elaborare le emozioni e prendere decisioni equilibrate, diventa meno efficiente quando le esperienze infantili sono caotiche o disregolate.
In pratica, il cervello impara a sopravvivere, non a vivere.
Ma la buona notizia è che non è mai troppo tardi. La neuroplasticità ci dice che possiamo riscrivere gli schemi. Ma per farlo, dobbiamo iniziare dal riconoscere cosa ci è mancato.
Chiedere perdono: un atto rivoluzionario
Chiedere perdono alla bambina che siamo stati non è una regressione, né un esercizio di vittimismo. È un atto rivoluzionario. Significa smettere di far finta che non sia successo nulla. Significa guardare con occhi nuovi le ferite invisibili che ci hanno accompagnato per anni e iniziare finalmente a curarle.
Perdonarsi per aver avuto paura.
Perdonarsi per non aver saputo dire di no.
Perdonarsi per tutte le volte che ci si è accontentati delle briciole.
Questa forma di perdono non è un’autoassoluzione, ma una riparazione interiore. È l’inizio di un nuovo dialogo, fatto di ascolto, amore e soprattutto presenza.
Come si ripara una ferita antica: passi concreti
Visualizzazione guidata: immagina la bambina che sei stata. Come vestiva, dove si trovava, cosa sentiva. Avvicinati a lei con rispetto e dolcezza. Parlale. Chiedile cosa ha bisogno di sentirsi dire.
Scrittura terapeutica: scrivi una lettera alla tua bambina interiore. Raccontale chi sei diventata. Chiedile perdono per averla trascurata, per averne negato il dolore. Rassicúrala: ora sei con lei.
Contenimento da adulti significativi: concediti oggi relazioni in cui puoi essere accolta, vista, amata senza dover “funzionare”. E se non ci sono, lavora per costruirle.
Riconoscimento delle emozioni: ogni volta che provi disagio o dolore, chiediti: “Di chi è questa voce? È mia adulta o della mia parte bambina?” Questo ti permette di non reagire, ma rispondere con presenza.
Psicoterapia o autoeducazione emotiva: un percorso psicologico può facilitare enormemente il processo, ma anche un lavoro profondo e consapevole con strumenti affidabili può generare trasformazione.
Non guariremo tutto. Ma possiamo cambiare il finale
Non possiamo cambiare il passato. Ma possiamo cambiare lo spazio che occupa dentro di noi. Possiamo smettere di vivere con la paura come bussola. Possiamo imparare a reggere il peso delle emozioni, anche quelle più buie, perché ora non siamo più soli. Rivolgersi alla propria bambina interiore è come tendere una mano nel buio e dire: “Non so dove siamo esattamente, ma ci sono. E non ti lascerò più sola.”
Quel gesto cambia la qualità del nostro presente. Ridona fiducia, dignità, senso. E ci permette finalmente di diventare adulti — ma adulti capaci di tenerezza, cura e presenza. Per noi stessi e per gli altri.
Il tempo della riparazione
Ogni bambino ha bisogno di qualcuno che sappia tenerlo quando il mondo sembra troppo grande. Se non lo abbiamo avuto, possiamo imparare a diventarlo. Perché guarire non significa cancellare il passato, ma riscriverne il significato.
Nel mio libro Il mondo con i tuoi occhi ho voluto offrire strumenti proprio per questo: per imparare a riconoscere le impronte che il nostro passato ha lasciato nella mente e nel cuore, e per costruire finalmente una felicità che sia nostra. Che non sia fatta di compensazioni o paure, ma di verità e libertà emotiva. E forse, dopo aver letto questo articolo, potresti fermarti un attimo davanti allo specchio. Non per aggiustarti i capelli. Ma per guardarti davvero. E dirle: “Perdonami per aver avuto paura. Ma ora ci sono.” Per immergerti nella lettura e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon oppure in qualsiasi libreria
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Se ti piace quello che scrivo, seguimi sul mio profilo Instagram: @anamaria.sepe