Ci sono momenti nella vita in cui restare attaccati ci consuma più del dolore stesso. Restare attaccati a ciò che è stato, a chi ci ha ferito, a quello che non abbiamo avuto. Alle parole che non sono arrivate, agli abbracci mancati, a quei “ti voglio bene” che ci siamo immaginati di sentire. Eppure, lasciar andare non è semplice. Perché siamo stati educati a pensare che lasciare andare significhi perdere. Significhi arrendersi.
Ma lasciare andare davvero, nel profondo, non è mai un atto di rinuncia. È un atto di profonda fiducia in sé stessi. È un atto di guarigione. Chi ha provato a lasciar andare davvero sa che qualcosa cambia. Nel corpo, nella mente, nel modo in cui respiri. All’inizio fa paura, come togliere le mani da una parete che ci reggeva. Ma poi succede qualcosa di sorprendente: impari a reggerti da solo. E scopri che non era quella parete a tenerti in piedi… eri tu.
Ecco cosa succede dopo che lasci andare…
Questo articolo è per chi è pronto a lasciare andare. Non solo persone o relazioni, ma immagini di sé, aspettative irrealistiche, sensi di colpa, ruoli appresi nell’infanzia. E anche per chi non è ancora pronto, ma sente che è tempo di iniziare a guarire.
1. Il peso invisibile dell’attaccamento: cosa dice la psicoanalisi
Secondo la psicoanalisi classica, il legame con l’oggetto (inteso come persona, ricordo, desiderio idealizzato) è il primo motore del nostro mondo interno. Freud, già nei suoi scritti sulla “lutto e melanconia”, spiegava come l’attaccamento a un oggetto perduto non elaborato possa trattenere la libido, bloccando l’energia vitale.
Lasciar andare, in questo contesto, significa rielaborare simbolicamente ciò che si è perso. Non è dimenticare, ma disinvestire affettivamente per restituire alla psiche lo spazio di nuovi investimenti. Melanie Klein ha aggiunto che ogni perdita risveglia in noi la fantasia inconscia di essere cattivi, distruttivi. Per questo, il lasciar andare è spesso accompagnato da un senso di colpa antico: “Se me ne vado, lo distruggo. Se mi libero, sono una persona cattiva”. Ma in realtà è l’opposto: lasciar andare ci riconnette alla parte buona e vitale di noi. Quella capace di amare senza annullarsi, di esserci senza perdersi.
2. Il cervello in allarme: cosa accade quando tratteniamo troppo
A livello neurobiologico, trattenere qualcosa — soprattutto emozioni dolorose o legami tossici — attiva un sistema di allerta cronico nel cervello. L’amigdala, la nostra centralina emotiva, rimane in stato di iperattivazione. Il risultato? Cortisolo elevato, insonnia, difficoltà di concentrazione, irritabilità, stanchezza cronica. Il corpo vive come se fosse in pericolo, anche quando nulla fuori lo è.
Non solo: l’ippocampo, responsabile della memoria e dell’orientamento nel tempo, fatica a distinguere tra passato e presente. Così, ciò che ci ha ferito anni fa continua a farci male come se stesse accadendo adesso. È il trauma che non si è trasformato in ricordo, ma è rimasto sensazione viva.
Lasciar andare, in termini biologici, significa interrompere questo loop di riattivazione. Significa disinnescare il “falso allarme”. Il sistema parasimpatico (quello della calma, della digestione, del riposo) può finalmente riprendersi lo spazio che merita. Si respira meglio, si dorme meglio, si pensa con più lucidità.
3. Quando lasci andare, non perdi te stesso: ti ritrovi
Uno degli inganni più comuni è pensare che, se lasciamo andare una persona, un legame o un’idea di come le cose dovevano essere, perdiamo anche una parte di noi. Ma spesso è il contrario: proprio trattenendo a tutti i costi, perdiamo pezzi importanti della nostra identità.
Il bambino interiore che abbiamo dentro, per esempio, resta ancorato a bisogni affettivi che forse non saranno mai soddisfatti da chi ci ha ferito. Ma possiamo imparare a soddisfarli noi. Possiamo imparare a prenderci cura di quella parte fragile che continua a chiedere amore nei posti sbagliati.
In psicologia dello sviluppo si parla di “funzione riflessiva”, la capacità di riconoscere i propri stati interni e dargli senso. Lasciar andare non significa reprimerli, ma integrare quei bisogni nella nostra storia personale. Accettarli come parte di noi, senza più farsene dominare.
4. Lasciare andare un’illusione è più doloroso che perdere una persona
A volte quello che non riusciamo a lasciar andare non è una persona, ma l’illusione di ciò che avrebbe potuto essere. È la speranza che prima o poi cambierà. Che si accorgerà di noi. Che ci chiederà scusa. Che sarà fiero di noi. Questo tipo di attaccamento è più subdolo, perché non si appoggia su un oggetto reale ma su un fantasma. E il lutto per un fantasma è lunghissimo: non puoi seppellirlo, perché non è mai esistito davvero.
La psicoanalisi parla di “oggetto transizionale interno”: immagini affettive costruite nella mente per sopravvivere alla mancanza reale. Ma arriva un punto in cui quelle immagini non ci proteggono più, ci bloccano. Continuare a investire affetto, tempo e desiderio in qualcuno che non è capace di amarci come vorremmo è come versare acqua in un vaso bucato. Lasciare andare quell’immagine è un atto di coraggio. E di realtà.
5. Il corpo lo sa prima della mente
Quante volte hai detto “Sto bene” ma il tuo corpo raccontava un’altra storia? Mal di stomaco ricorrenti, tensione muscolare, respiro corto. Il corpo, spesso, sa prima della mente quando è tempo di lasciar andare.
Studi recenti di neuropsicologia mostrano come l’insight emotivo non sia solo un processo mentale, ma anche corporeo. Le emozioni vengono “registrate” nel sistema nervoso autonomo. Per questo, lasciar andare davvero spesso passa attraverso esperienze somatiche: pianti liberatori, tremori, sensazioni improvvise di leggerezza o calore. Quando inizi a lasciar andare, il corpo te lo dice. Non è solo che “ti senti meglio”: è che stai tornando nel tuo corpo, nel tuo tempo, nella tua vita.
6. Dopo il vuoto, viene la pienezza
Il momento più difficile, quando lasci andare, è il vuoto che segue. Quello spazio silenzioso in cui non sai più chi sei. Non sei più la persona che rincorreva, che sperava, che tratteneva. Ma non sei ancora quella che sarà. È una terra di mezzo, e può spaventare. Ma è proprio lì che accade la magia.
È nel vuoto che puoi sentire davvero i tuoi bisogni autentici. È lì che inizi a non avere più paura del silenzio, della solitudine, del tempo che passa. È lì che impari a scegliere non più per riempire un vuoto, ma per onorare un desiderio. Lasciar andare non è perdere qualcosa. È aprire uno spazio nuovo. E nel tempo, quello spazio si riempie di qualcosa di molto più prezioso: te stesso.
La libertà emotiva è un atto d’amore verso di te
Forse non te ne sei accorto, ma ogni volta che hai lasciato andare davvero — un legame, una colpa, una aspettativa, un sogno che non ti apparteneva più — qualcosa dentro di te è rinato. Forse lentamente, forse con dolore. Ma è rinato.
Lasciar andare è un atto di amore. Perché finalmente smetti di chiederti cosa avresti potuto fare di più, smetti di incolparti, smetti di farti piccolo per meritare qualcosa. E inizi a darti ciò che hai sempre aspettato da altri: presenza, rispetto, ascolto.
Il mio libro “Il mondo con i tuoi occhi” parla proprio di questo. Di come possiamo riscrivere la nostra storia, non negando il dolore ma trasformandolo. Di come possiamo smettere di vivere secondo modelli che non ci appartengono, e iniziare a costruire una felicità autentica, che somigli a noi. Perché il vero lasciar andare non è mai la fine di qualcosa. È l’inizio di tutto ciò che puoi diventare. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon
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Ti aspetto lì per continuare il viaggio.