Viviamo un momento storico e sociale del tutto nuovo e ricco di potenzialità interessanti per la figura del padre. Fino al secolo scorso il padre era una figura fondamentalmente assente dal percorso di crescita dei figli e il cui ruolo educativo si giocava sostanzialmente attraverso i comandi e le punizioni (chi non ricorda la tipica frase materna che calmava istantaneamente gli animi: «Se non la smettete, stasera lo dico a papà!»). I bambini avevano paura del padre che, con le sue sgridate e i suoi castighi, suscitava sensi di colpa e, spesso, lontananza affettiva.
Ma il tempo del padre-padrone è finito, l’autoritarismo ha perso legittimità e interesse: ci siamo interrogati su come recuperare relazioni sincere, intime con i nostri figli, nell’intento di crescere bambini più sereni. Oggi i padri ci sono, sono presenti nella vita dei figli e sono alla ricerca di un modo propriamente “paterno” per aiutarli a crescere.
Ma anche i papà hanno bisogno di sostegno
Generalmente, nella nostra cultura, le madri sono molto più circondate di attenzioni e più sostenute che non i padri nel percorso verso la loro specifica genitorialità. Fin dall’inizio, fin da quando la coppia si accorge di aspettare un bambino, tutti (genitori, famigliari, amiche, amici, parenti, colleghi, negozianti, conoscenti…) si interessano solo a quello che accade alla donna, mentre di solito nessuno si accorge dei cambiamenti e delle esperienze che riguardano l’uomo.
Essere padre può spaventare!
È comprensibile che questo avvenga: è nella donna, a partire dal suo corpo e dalla sua fisiologia, che avvengono i cambiamenti più rilevanti. È lei, fra i due, quella che sarà più impegnata, per motivi biologici oltre che relazionali. Ma ciò non dovrebbe comportare un totale disinteresse per quello che accade all’uomo.
Così, fin dall’inizio, e di solito per parecchi anni, i padri si trovano del tutto soli ad affrontare le trasformazioni che la loro nuova situazione comporta. Non possono contare né sul riconoscimento, né sulla risonanza, né sull’appoggio di nessuno. Intorno al loro diventare e poi essere padri sembra crearsi una sorta di deserto relazionale. Perfino quando raccontano con entusiasmo e partecipazione la loro esperienza di paternità, lo fanno descrivendo, magari inavvertitamente, anche la loro solitudine estrema.
Come le madri, anch’essi hanno paure, fantasie sul bambino, sogni sul divenire padri, timori di inadeguatezza, bisogni di condivisione e rassicurazione. Anche per loro la nuova condizione di genitore esige radicali cambiamenti nel senso di sé, nello stile di vita, nei ruoli sociali e nelle prospettive personali e di coppia. Ma nessuno, intorno, sembra accorgersene o dargli importanza. Troppo spesso, neppure la compagna.
Cosa dicono le ricerche riguardo il ruolo del padre
Secondo alcune ricerche, la presenza di un padre fa la differenza nell’educazione e nella crescita di un figlio. A scriverlo sono quattro ricercatori che hanno pubblicato sulla rivista scandinava Acta Paediatrica i risultati di un’analisi di tutta la letteratura disponibile sull’argomento fino al 2007.
Di quali elementi è fatto il coinvolgimento paterno
Gli studi presi in esame riguardavano circa 22.300 minori di età variabile. L’elemento monitorato è stato il “coinvolgimento paterno”, termine tecnico che definisce tre condizioni essenziali:
- convivenza del padre nella casa in cui vive il figlio
- partecipazione ad attività divertenti, stimolanti, affettive (gioco, lettura, addormentamento, esplorazione sociale)
- responsabilità e funzioni di cura (garantire una qualità di vita al figlio attraverso l’attività lavorativa e garantire al bambino tutte le cure mediche e l’assistenza necessaria nei momenti di bisogno)
Si è visto, infatti, che il coinvolgimento paterno nella vita di un figlio diminuisce i problemi comportamentali in adolescenza, migliora il funzionamento sociale/relazionale sia durante l’infanzia sia durante l’adolescenza; può garantire un migliore successo scolastico.
Una presenza che fa la differenza
In particolare, i maschi beneficiano dalla presenza di un padre che co-abita con loro manifestando un comportamento meno aggressivo. In famiglie senza disagio economico, la convivenza con un padre coinvolto riduce in modo significativo i problemi comportamentali nei primi anni di frequenza scolastica. Un elevato coinvolgimento del padre in famiglie povere, invece, può diminuire la frequenza dei comportamenti antisociali durante l’adolescenza. Per adolescenti che già hanno manifestato intensi livelli di comportamento antisociale, un alto coinvolgimento paterno gioca da fattore protettivo nei successivi uno/due anni.
Complessivamente, lo studio conferma che il coinvolgimento paterno riduce la frequenza di problemi comportamentali nei maschi e problemi di ordine emotivo-psicologico nelle adolescenti e nelle giovani donne; inoltre rinforza lo sviluppo cognitivo e riduce i comportamenti antisociali su tutto l’arco dell’età evolutiva. I risultati emersi non sono certo sorprendenti, ma pur sempre degni di essere segnalati. La presenza di un padre molto coinvolto fa la differenza, e questo ora lo sappiamo. Il punto è come arrivare a ottenere il coinvolgimento. Ma questo è un’altra questione.