I figli non si perdono “fuori” ma dentro le mura della propria casa

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

La società contemporanea è spesso colpita dalla percezione che i giovani si stiano allontanando dai valori tradizionali, dalla famiglia e da tutto ciò che potrebbe aiutarli a costruire una vita sana e soddisfacente. Ogni giorno, si sente parlare di difficoltà dei genitori nel riuscire a entrare in sintonia con i propri figli, in particolare in un’epoca in cui la tecnologia, la pressione sociale e le influenze esterne sembrano assumere sempre più potere.

C’è una convinzione diffusa che i figli si “perdano” fuori, in strada, nei gruppi di amici o nelle realtà alternative, ma la verità è ben diversa. I figli non si perdono tanto “fuori” quanto dentro le mura della propria casa. Questo articolo esplorerà come la disconnessione tra genitori e figli, la carenza di comunicazione e la difficoltà di stabilire un vero legame affettivo possano portare alla perdita di una connessione genuina tra i membri di una famiglia.

La casa: rifugio o prigione?

La casa dovrebbe essere, per ogni bambino, il primo luogo di sicurezza, sostegno e crescita. È lì che i bambini dovrebbero imparare i valori fondamentali, le regole della vita e, soprattutto, il concetto di amore incondizionato. Tuttavia, sempre più spesso la casa diventa il luogo in cui i figli si sentono intrappolati, non compresi o, peggio, invisibili. I genitori, spesso travolti dalla frenesia della vita quotidiana, possono finire per trascurare le necessità emotive dei propri figli, concentrandosi unicamente su quelli materiali.

Molti genitori tendono a pensare che il loro ruolo sia principalmente quello di garantire un buon livello economico, di far studiare i figli e di fornire loro tutti i beni materiali possibili, ma dimenticano che ciò che davvero conta è la qualità del tempo trascorso insieme e il sostegno affettivo. Un figlio può vivere in una casa lussuosa, avere ogni comfort e ogni bene materiale, ma se all’interno di quel nucleo familiare manca la comunicazione, la comprensione e l’affetto genuino, si troverà inevitabilmente a sentirsi perso, estraneo anche nel posto che dovrebbe rappresentare la sua base di partenza.

La comunicazione: l’anello debole

Uno degli errori più comuni che i genitori possono fare è credere che, solo perché provano a comunicare, stiano effettivamente riuscendo a farlo. La comunicazione non è semplicemente una questione di parole, ma di intesa, di ascolto attivo e di empatia. I genitori, spesso, non si rendono conto che non stanno ascoltando davvero i propri figli: la loro attenzione è concentrata su ciò che è giusto o sbagliato, sui loro problemi o preoccupazioni, e non riescono ad entrare in sintonia con i veri bisogni emotivi dei figli.

I ragazzi, dal canto loro, sentono questa mancanza di ascolto e, progressivamente, tendono a chiudersi sempre più, non solo all’interno della loro stanza, ma anche nel loro mondo interiore. La comunicazione si rompe e la distanza aumenta. La tecnologia non fa che accentuare questa frattura: i genitori pensano che dare loro uno smartphone o un tablet risolva parte del problema, ma il rischio è che si perda un aspetto fondamentale del rapporto: il contatto umano.

La connessione emotiva

Il cuore del problema sta nel fatto che, purtroppo, molti figli non riescono più a sentirsi emotivamente connessi ai genitori. Questo accade perché, in un contesto familiare troppo focalizzato su obiettivi materiali e pratici, si smette di investire nel legame affettivo. La carenza di tempo dedicato ai figli, l’assenza di attenzione alle loro emozioni e alla loro crescita interiore, creano un vuoto difficile da colmare. Le emozioni dei figli, soprattutto durante l’adolescenza, sono particolarmente vulnerabili. Sono alla ricerca di identità, di approvazione e di un senso di appartenenza. Quando queste esigenze non vengono soddisfatte, i ragazzi cercano altrove l’affetto che manca in casa.

Non è raro che, a causa di questa disconnessione emotiva, i figli si rivolgano a gruppi di pari o a figure esterne alla famiglia per trovare il sostegno che non trovano tra le mura domestiche. Ma, in realtà, quel che manca non è la possibilità di socializzare o di fare nuove esperienze. Ciò che manca è il punto di riferimento stabile, sicuro e affettuoso che dovrebbe essere la famiglia. In mancanza di questa connessione emotiva, i figli iniziano a sentirsi smarriti, non solo nei confronti dei genitori, ma anche in relazione a se stessi e al loro posto nel mondo.

L’impatto della disattenzione parentale

Spesso i genitori non si rendono conto dell’impatto che la loro disattenzione può avere sul benessere emotivo dei figli. Un genitore che non dedica abbastanza tempo a suo figlio o che non si interessa sinceramente della sua vita interiore, della sua giornata, dei suoi sogni e delle sue paure, sta inconsapevolmente alimentando il senso di solitudine e di disconnessione del bambino. Questo può portare alla sensazione di non essere amati o accettati per quello che si è, con conseguenze devastanti sul piano psicologico.

Un figlio che non si sente visto o ascoltato dalla propria famiglia, non solo si perderà “dentro” quella casa, ma cercherà altrove qualcuno che gli dia quello che gli manca. Questo “altrove” potrebbe essere rappresentato da amici che non sempre sono una buona compagnia o da situazioni che non sono affatto salutari. È proprio da questo punto che si inizia a vedere come il distacco emotivo tra genitori e figli possa trasformarsi in una sorta di fuga, non solo fisica ma anche mentale ed emotiva, verso l’esterno.

Il pericolo della genitorialità invisibile

In molte famiglie, soprattutto in quelle in cui uno o entrambi i genitori sono molto impegnati professionalmente o in altri ambiti, la genitorialità tende a diventare “invisibile”. Ciò significa che i genitori sono fisicamente presenti, ma emotivamente assenti. Non si rendono conto che, per quanto possano cercare di assicurarsi che i figli abbiano tutto ciò che desiderano dal punto di vista materiale, la loro presenza affettiva è ciò di cui i bambini hanno veramente bisogno.

I figli, soprattutto quando sono piccoli, sono molto sensibili ai segnali emotivi dei genitori. Se percepiscono che l’affetto non è genuino o che i genitori sono distratti dalle proprie preoccupazioni, cominciano a ritirarsi e a perdere fiducia nei legami familiari. Questo è un processo subdolo che può avvenire lentamente, senza che i genitori se ne accorgano, fino a quando non è troppo tardi. Quando il distacco è ormai evidente, i genitori si trovano a cercare risposte in maniera tardiva, spesso troppo tardi per recuperare una connessione genuina.

La famiglia come luogo di crescita reciproca

La famiglia dovrebbe essere un luogo in cui i membri crescono insieme, si supportano a vicenda e si arricchiscono dei diversi punti di vista, dei sogni e delle emozioni. Una famiglia sana è quella in cui la comunicazione è fluida, in cui ci si ascolta e si rispetta reciprocamente, in cui ogni membro si sente parte di un progetto comune. Non è solo il genitore a dover “insegnare” al figlio, ma è l’intero nucleo familiare a dover crescere insieme. Questo significa anche riconoscere i propri errori, chiedere scusa quando necessario e sforzarsi di comprendere veramente ciò che il figlio sta vivendo, senza giudicare o minimizzare le sue emozioni.

La famiglia deve essere il luogo in cui i figli possono sentirsi al sicuro, in cui possono esprimersi senza paura di essere rifiutati, dove possono sperimentare le difficoltà della vita con il supporto dei genitori. Quando questo non avviene, i figli si sentono disorientati e cercano altrove quella sicurezza che non trovano dentro casa.

Spazio sottratto, sogni rubati

I vissuti difficili nell’infanzia generano emozioni dirompenti che rubano spazio ai sogni, sottraggono spirito d’iniziativa e operosità, demoliscono spensieratezza e ti fanno arrivare in età adulta disorientato. Con tante idee su chi sei e ancora tanta fame su chi avresti voluto essere. La verità è che un bambino iper-protetto o che abbia subito qualsiasi forma di pressione genitoriale, non ha avuto la possibilità di sperimentarsi. Non ha conosciuto libertà.

Quando poi arrivano abusi indicibili come violenze verbali, umiliazioni, violenze fisiche o abusi sessuali, le rinunce sono ancora più devastanti. Si rinuncia a vivere la sicurezza sotto ogni aspetto. Se la figura che più di tutte avrebbe dovuto proteggerti ti ferisce, la fiducia diventa un concetto che non ci apparterrà mai completamente.

Non importa oggi quanti anni tu abbia, non importa quante volte sei scivolato o quante altre sei rimasto imprigionato in emozioni scomode. Ciò che conta è che un’opportunità puoi concedertela. Puoi tenderti la mano e iniziare a garantirti quella libertà necessaria per esplorati, conoscerti e affermare la tua identità personale a prescindere dal ruolo che ti è stato conferito nel tuo ambiente, nei tuoi legami. È possibile e anzi, lo devi a te stesso. Puoi deviare il corso della tua traiettoria evolutiva e fare in modo che ciò che sei coincida in modo definitivo con ciò che vuoi essere.

È arrivato il momento di risplendere e brillare, prima di tutto per se stessi

Perché la luce che hai dentro, è bellissima lì dov’è, non è necessario che “gli altri” la vedano per poterla apprezzare e poterne gioire. Un passo alla volta, una pagina alla volta, impariamo a trovare amore nella nostra stessa luce!  Nessuno ha mai tentato di impartirci un’educazione emotiva.

Ci insegnano a dire «grazie» e «per favore» ma non ci insegnano ad ascoltare e rispettare i nostri bisogni. Ecco perché ho sentito il bisogno di scrivere un nuovo libro. S’intitola «Il mondo con i tuoi occhi» e t’insegna come imparare a conoscerti, come ascoltare le tue voci e come, finalmente, appagarle. Intendiamoci, un libro non può cambiarti la vita ma può aiutarti a costruire relazioni migliori, con te stesso e con gli altri. Il cambiamento, poi, sarà inevitabile. Non ti dico questo perché sono di parte, te lo consiglio da lettore a lettore. Il libro, «Il mondo con i tuoi occhi» puoi trovarlo in tutte le librerie o su Amazon, a questa pagina.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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