Il bisogno di accettazione è del tutto naturale, è nel nostro DNA: quando veniamo al mondo, lo facciamo in uno stato di assoluta dipendenza e «se piacciamo» ai nostri genitori, questi ci accetteranno e avranno cura di noi. Piacere all’altro, essere accettati, sono strategie evolutive che possono garantirci cure, sicurezza e sopravvivenza. Sono strategie che si sono sviluppate sotto la pressione della selezione naturale: ecco perché siamo geneticamente programmati per stringere relazioni di attaccamento.
Il bisogno di essere accettati è intrinseco in ognuno di noi, alcuni, però, imparano che il modo migliore per essere accettati è mettere da parte se stessi e porre al centro della propria esistenza le aspettative e i bisogni altrui. Questa strategia può essere funzionale sono a breve termine: in fondo, se si rispettano le aspettative degli altri si generano meno conflitti esterni; tuttavia, a lungo andare, questo approccio accresce i conflitti interni generando uno stato di confusione (chi sono, cosa voglio…) e malessere (insoddisfazione cronica).
Senza entrare nel merito del come, è opportuno descrivere che, in preda al bisogno di accettazione, finiamo per introiettare delle aspettative irrealistiche che si trasformano in standard di perfezione. In pratica iniziamo a pensare che solo se riusciremo a essere abbastanza bravi, abili, efficienti e intelligenti, solo se diverremo abbastanza magri, belli o muscolosi… solo se…. potremmo finalmente essere degni d’amore, potremmo finalmente accettarci ed essere accettati. Ma tutto questo è falsissimo, è un’illusione: qualsiasi traguardo tagliato sarà poi svalutato, perché nella realtà dei fatti, solo risanando ciò che ha causato questa ferita potrà essere restituita l’accettazione mancata. Solo abbassando i livelli di conflitto interiore si potrà finalmente avere quel meritato appagamento.
Questo meccanismo, se non elaborato e guarito, attiva una spirale che spesso conduce al perfezionismo patologico e a un’inevitabile procrastinazione. Non solo, tale meccanismo può attivare una spirale di ansia, di incertezza e paura. Può scagliarci nell’oblio del non sentirsi abbastanza. Esplorando un po’ la dimensione del “come”, del “quando”, questo si verifica perché non siamo mai stati amati in modo incondizionato e di conseguenza, non siamo mai riusciti ad accettarci in modo incondizionato.
Quel bisogno di sentirsi accettati
Al contrario, abbiamo imparato che potevamo essere accettati e amati a condizione che… «solo se sarai sufficientemente bravo, solo se non darai fastidio, solo se i tuoi bisogni non intralceranno la serenità del tuo caregiver…» Così, quei bisogni, sono diventati sempre più piccoli, sempre più sepolti, fino a diventare “quasi impercettibili” per la coscienza.
Oltre al perfezionismo patologico, il mancato appagamento dell’accettazione incondizionata apre le porte anche all’accondiscendenza, alla dipendenza affettiva e al bisogno di essere utile al prossimo a ogni costo. «Perché, in fondo, se sei utile a qualcuno, allora hai un valore. Dato che non hai mai potuto apprendere che hai un valore intrinseco e imprescindibile, vai a misurare il tuo valore sul grado di apprezzamento altrui.»
Regolare il proprio valore sull’opinione e sull’appagamento altrui, di certo abbassa il conflitto esterno ma, come premesso, aumenta il conflitto interno generando una cascata di eventi a catena. In genere, le persone che non hanno imparato ad accettarsi incondizionatamente, finiscono per:
- dedicare del tempo extra al lavoro per compiacere un collega
- pensare di essere responsabili dell’infelicità altrui
- vestire i panni del figlio modello / fidanzato modello / studente modello
- essere accomodanti con amici e parenti
- avere difficoltà a dire di “no”
- sviluppare sensi di colpa cronici per le sorti delle persone amate
- avviare relazioni d’amore del tutto sbilanciate
- vivere costantemente con una depressione di sottofondo
Ecco come la nostra intera esistenza potrebbe risentire di quel mancato appagamento che si è verificato in età precoce (durante l’infanzia).
Quando i caregivers di riferimento applicano modelli genitoriali rigidi, basati sul ricatto emotivo, sugli obblighi e soprattutto su una gerarchia dove i bisogni genitoriali hanno più valore dei bisogni dei figli, è chiaro che il bambino è posto dinanzi a una scelta implicita: scegliere se essere se stesso e assicurarsi un rifiuto o tentare disperatamente di conquistarsi l’amore genitoriale, modellando la propria identità sui bisogni genitoriali.
La seconda scelta rappresenta il cammino più battuto, è inevitabile, il bambino non è neanche consapevole di questo meccanismo perché tutto ciò che vuole è essere protetto, accudito, amato e accettato.
L’alienazione del sé: «se tu mi ami, allora ho un valore»
Sfortunatamente, basare la propria identità sull’appagamento altrui apre le porte all’alienazione del nostro vero sé. Ogni volta che cerchiamo di appagare qualcuno, mettendo i nostri bisogni da parte, voltiamo le spalle a noi stessi. Idealizziamo l’essere amati, l’essere accettati dall’altro, come mezzo unico e indispensabile per provare il nostro valore.
Preservare la relazione con l’altro (o con gli altri), mantenere elevati standard di efficienza, diventa una missione imprescindibile, perché queste rappresentano le strategie disfunzionali di appagamento, perché è con queste strategie che definiamo il nostro valore personale.
Quando proviamo a guardarci dentro, possiamo trovare sentimenti di ingiustizia, di torti subiti e di attenzioni mancate. Alcuni di noi, divengono così affamati di accettazione che arrivano ad accontentarsi anche delle briciole altrui. Il minimo sguardo di delusione colto negli occhi dell’altro, è sufficiente per comunicarci: «tu sei sbagliata/o, tu non vali nulla». Il vero paradosso è che le persone che hanno alienato il proprio sé, tendono ad ammirare l’indipendenza: ammirano le persone sicure di sé, che vivono di certezza e che sembrano esercitare un certo potere. Ecco perché non è raro vedere collusioni con personalità dai tratti narcisisti.
E possibile ricostruire il sé perduto
In psicologia niente è impossibile. Complice di questa affermazione è la plasticità sinaptica. Noi siamo le nostre esperienze e le nostre esperienze si riflettono nel nostro sistema nervoso centrale. In altre parole: possiamo cambiare e il cambiamento non sarà solo psico-affettivo ma avrà anche dei risvolti a livello dei circuiti neurali che caratterizzano il nostro sistema nervoso.
Il cambiamento è possibile ma non semplice, bisogna armarsi di due ingredienti: fiducia e curiosità. Curiosità di scoprire se stessi, di scoprire i meccanismi che ci inducono a comportarci in un certo modo (la curiosità ci tiene al riparo dall’auto-condanna, dalla critica feroce e dal severo giudizio) e fiducia nella possibilità di poter cambiare.
Il sé che abbiamo sepolto da qualche parte, può ritornare a fiorire. Si può iniziare partendo dalle piccole cose (come prendere decisioni da soli, senza chiedere prima pareri o opinioni…) per poi, pian piano, realizzare che già disponiamo di tutta l’accettazione di cui abbiamo bisogno. In questi contesti, un percorso di psicoterapia o psicoanalisi può essere di forte aiuto. In fondo, la vita è troppo breve per sprecare del tempo a rincorrere le aspettative altrui, oggi sei un adulto/a, e non ti serve compiacere nessuno… se non te stessa/o.
Se ti fa piacere aprire un nuovo capitolo della tua esistenza, ti invito caldamente a leggere il mio libro best seller «Riscrivi le Pagine della Tua Vita», te lo consiglio da lettore a lettore. Leggendo il libro scoprirai che, seppur complesso, sei una persona meravigliosa che aspetta solo l’occasione giusta per vivere la vita che merita! Il libro lo trovi nella tua libreria di fiducia o su Amazon.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del libro best seller “Riscrivi le pagine della tua vita” edito Rizzoli
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