Secondo l’antica tradizione ebraica, nel giorno dell’espiazione, quando al popolo ebraico toccava fare ammenda per i suoi peccati, il sommo sacerdote sceglieva una capra e la mandava a morire nel deserto caricandola “spiritualmente” di tutti i peccati compiuti. Il rito è descritto nel Levitico (Bibbia), nella Mishnah e nel Talmud (testi sacri dell’ebraismo). Questo rituale si consuma spesso in molte famiglie, così come nei luoghi di lavoro.
Nella famiglia, lo scopo di un capro espiatorio è quello di assumersi la responsabilità di tutti gli errori commessi dal genitore o addirittura dell’intero sistema familiare. Non pensare che quello del capro espiatorio sia un concetto molto distante dalla vita che vivi. Questo sistema si applica da sempre su piccola e grande scala. Pensa, per esempio, agli immigrati che arrivano in Italia: spesso sono visti come la causa di tutti i problemi del nostro paese fino a “conquistarsi” l’olio di una buona fetta di popolo.
La ricerca del capro espiatorio è particolarmente devastante in politica perché solitamente la colpa è attribuita a un gruppo di minoranza; nel mio esempio precedente, gli immigrati. In famiglia avviene un meccanismo analogo: colpe, frustrazioni, mancanze, fallimenti… vengono spostati da sé e attribuiti all’altro, non a uno qualsiasi ma a un “prescelto”, il capro!
In genere, il capro espiatorio non è consapevole di esserlo. Anzi, con il passare degli anni può accettare le “etichette” che gli sono state affibbiate fino riconoscerle come proprie.
Il capro espiatorio e le dinamiche famigliari
In famiglia è “quello diverso“, l’elemento che meno si amalgama con gli altri. Il capro espiatorio non è solo un espediente per alleggerirsi la coscienza ma anche uno strumento per mantenere ed esercitare il potere. Il motivo? Per il gusto di farlo. Cosa avviene?
Le madri (e i padri!) che non hanno ben compreso il ruolo genitoriale, vedono i figli come loro subordinati e non come individui a sé all’interno di un sistema familiare funzionale. Così, il figlio preferito sarà quello che più gratifica e più accondiscende alle aspettative genitoriali. Il figlio meno accondiscendente diverrà il capro espiatorio, un espediente per esercitare il controllo sugli altri figli o su altri membri della famiglia. Già, perché il capro espiatorio assumendosi ogni colpa, mantiene più uniti e sottomessi “gli altri”.
In famiglia si crea un sistema di coesione dualistico: “capro espiatorio” vs “team leader”. Dove il “team leader” in genere è la madre con un figlio adepto, o peggio, il genitore e i figli adepti. Più l’unione è ampia, più emarginato e “diverso” si sentirà il capro espiatorio. Più l’unione è stretta (elevata complicità tra i membri del team leader), più forti saranno le crudeltà subite dal capro espiatorio. Sì, il capro espiatorio è destinato a subire vere e proprie crudeltà, emotive e talvolta anche fisiche. Privazioni, vessazioni, umiliazioni… esperienze emotive dolorose che protraendosi nel tempo tenderanno a stigmatizzare il capro espiatorio anche da adulto.
In buona parte dei casi, il capro espiatorio crescerà senza un reale senso di appartenenza perché pur avendo una famiglia non ha mai potuto sentirla propria. Diverso da tutto e da tutti.
Le vessazioni subite dal capro espiatorio a volte sono esplicite, altre volte sono più tacite. Punizioni e rimproveri descritti come “necessari”. Il genitore che controlla il gioco ha bollato fin da subito il capro espiatorio assegnandogli il suo ruolo, per quanto egli potrà ribellarsi, non riuscirà a cambiare le cose. Il capro espiatorio potrà essere descritto come “la pecora nera della famiglia” ma la verità è che subisce una forma di bullismo mascherato, molto più dolora perché arriva da chi avrebbe dovuto proteggerlo, sostenerlo e amarlo.
Il genitore che “controlla il gioco” si serve del capro espiatorio per assolvere diverse funzioni. Il capro gli servirà a:
- Stringere un legame più forte con l’altro o gli altri figli, così da mantenere un dominio completo.
- Ottenere una visione più rosea degli altri o dell’altro figlio, quello sul quale il genitore ha scommesso tutto.
- Avere un ripiego su cui sfogare e proiettare frustrazioni e mancanze personali.
- Acquistare maggior potere e controllo sull’intero sistema familiare, sentirsi padrone dei figli.
Il genitore può scegliere il capro espiatorio per esclusione o per punizione. Nel primo scenario, quando ci sono più figli, il genitore punta tutto su quello che per lui è il “cavallo vincente”, il figlio che può garantirgli più nutrimento (in forma di dipendenza affettiva, approvvigionamento narcisistico… o altro). L’altro membro della famiglia viene automaticamente escluso e bollato come “un surrogato di figlio”.
Nel secondo scenario, quando un figlio si rifiuta di assecondare i bisogni del genitore, viene punito ed emarginato fino a vestire i panni del capro espiatorio ed essere trattato alla stregua di un surrogato di figlio. In entrambi i casi, il capro espiatorio sarà l’ultima ruota del carro familiare, non conterà nulla, imparerà ad accontentarsi delle briciole e, nella sua educazione emotiva, potrà subire anche quel fenomeno noto come “alienazione genitoriale“.
Inutile dire che questo schema è perpetuo ed è destinato ad auto-sostenersi. In altre parole, non finirà mai! Il “surrogato di figlio” manterrà il suo ruolo, resterà all’ombra di tutti anche se dovesse vincere 10 premi Nobel! Le cose non cambieranno mai, la mamma non lo vedrà mai con altri occhi. Neanche in età adulta, sarà sempre bollato, porterà con sé sempre le stesse etichette e vivrà sempre all’ombra dell’eletto.
L’eletto e il capro espiatorio: due vittime
Presta ben attenzione! In questo scenario le vittime sono tutti i figli, sia quello che ho chiamato “eletto”, il cosiddetto “cavallo vincente” su cui il genitore ha puntato tutto… sia il capro espiatorio. Certo, il capro espiatorio sarà quello che avrà la peggio, ma anche il destino dell’eletto non sarà poi così roseo, perché sarà sempre incapace di svincolarsi dalla dipendenza instaurata con la forte unione del legame genitoriale. Il genitore, in questo modo, si assicurerà di avere sempre dominio sulla vita della prole. Anche quando il figlio eletto avrà la sua stabilità economica, il genitore non vorrà smettere di esercitare il suo controllo, a discapito di tutto e tutti.
I messaggi ricevuti nell’infanzia si interiorizzano
Il mondo in cui vive un bambino è piccolissimo, è composto solo dai suoi genitori. Il bimbo vede se stesso con gli occhi del genitore (della sua figura accudente, in genere la madre). E’ chiaro che la madre ha un enorme potere nel modellare e plasmare il funzionamento di quel mondo. Il bambino potrebbe crescere interiorizzando le credenze della madre, cioè “auto-bollandosi”. Se la madre gli dirà che è un “fannullone, disordinato e buono a nulla…”, il bambino ben presto si convincerà di esserlo davvero, penserà di valere poco. Potrebbe cercare forme di riscatto cadendo in comportamenti decisamente disfunzionali.
In assenza di altre voci che impartiscono messaggi positivi e inducano a una sana crescita, il “figlio etichettato” finirà per assumere lo stesso punto di vista del genitore che lo sottomette. I genitori sono due e le sorti del capro espiatorio sono attaccate a un filo sottile. L’altro genitore può alimentare il sistema di potere del genitore manipolatore, oppure chiamarsi parzialmente fuori e cercare di sostenere il “figlio bollato”. L’altro genitore potrebbe completamente essere indifferente alle dinamiche familiari… I casi sono tantissimi.
Un racconto reale: l’evoluzione emotiva di un ex capro espiatorio
Matteo e Carla sono fratelli. Matteo ha 4 anni in più di Carla, ma fin quando era bambina, la madre programmato Carla per proteggere e rispettare il fratello maggiore, a qualsiasi costo.
La mamma descriveva Matteo come una persona in gamba, da proteggere, da tutelare perché quasi fragile. Carla non capiva bene il motivo: Matteo godeva di buona salute ma quando la mamma parlava del suo bambino, l’orologio si fermava e così Carla, per gratificare la mamma abbracciò la causa. Matteo era il cocco di casa. Era palese agli occhi di tutti. Carla lo sentiva ma non voleva deludere nessuno.
Carla subiva in silenzio ma più passava il tempo e più la situazione peggiorava. Si ritrovava a doverla dare vinta al fratello in qualsiasi disputa, la colpa dei litigi era sempre la sua e se in casa si rompeva qualcosa, era Carla la cattiva della situazione. Non era capace di nulla, neanche di badare a suo fratello!
Matteo e la mamma erano talmente uniti che spesso, per un sadico gioco, prendevano in giro Carla e la deridevano. Quando Carla, ferita, piangeva, la mamma e Matteo incalzavano la dose: “sei troppo sensibile! Vedi, rovini sempre tutto! Non sai stare al gioco! Sai solo piangere… Sei buona solo a questo!”
La vita andava avanti, Carla diventava sempre più introversa fino a quando smise di lottare. Questa fu la “fortuna” di Carla: riuscì a chiudersi nel suo mondo rinunciando completamente alla famiglia. Sotto gli occhi della completa indifferenza della madre. Carla si emarginò per non subire altre crudeltà da parte del “team leader” (fratello maggiore e madre).
Con Carla fuori dai giochi, Matteo e la madre focalizzarono l’attenzione sul padre, additato come menefreghista, assente e poco risoluto. “Ah, se non ci fossi io in questa casa, le cose andrebbero a rotoli! Tu sei la rovina di tutto”. Affermava la madre quasi tutti i giorni, ormai aveva trovato un nuovo capro espiatorio, il marito. Adesso e il marito che rafforzava la sua unione con il figlio eletto.
Ogni giorno era una nuova battaglia dove la madre doveva uscirne vincente, in un modo o nell’altro. L’unione tra Matteo e la madre andò avanti per sempre. Carla smise di subire durante la sua adolescenza, quando molti danni però erano già stati fatti.
Oggi Carla ha 31 anni, vive da sola ormai da 8 anni. Mantiene rapporti minimi con la famiglia di origine. Quando lo scorso Natale la famigli andò a trovarla, la madre denigrò la casa in cui Carla vive e borbottò con Matteo: “tu dovrai comprarla più grande di questa!“. Già, perché agli occhi della madre, Matteo non ha smesso di essere il cavallo vincente e non può consentire che Carla, la reietta della famiglia, possa avere una casa più grande di quella dell’eletto. L’eletto non ha mai smesso, nei suoi 35 anni, di fornire “nutrimento” alla madre manipolatoria.
Carla ha deciso ben presto di scappare dalla sua famiglia, tossica e invalidante. Purtroppo ha portato con sé una grossa eredità scomoda ma dopo un percorso di psicoterapia, fatto di consapevolezza ed elaborazione è riuscita ricostruire un’immagine di sé più reale, ben distante dall’immagine dell’inetta e buona a nulla dipinta dalla madre e dal fratello.
Nota bene. In questo articolo abbiamo parlato del capro espiatorio come un figlio, tuttavia, come chiarito nell’esempio pratico, potrebbe trattarsi di un qualsiasi altro membro della famiglia. Il capro espiatorio potrebbe essere il marito di una donna istrionica con tendente manipolatorie oppure la moglie di un uomo narcisista (sono solo esempi!). In questi casi i figli sarebbero alienati e schierati contro il “genitore sottomesso” descritto come menefreghista, frivolo e incapace di badare alla famiglia.
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Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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