E’ lecito parlare di Sindrome da doppia Spunta del cellulare? E’ inutile negarlo: i cellulari hanno irrimediabilmente cambiato il modo di percepire e di vivere le relazioni personali. La distanza fisica dall’interlocutore è paradossalmente compensata dalla vicinanza emotiva quasi adesiva all’altro e ad un suo possibile maggior controllo.
Sembra che la distanza fisica dall’altro consenta, in maniera più o meno consapevole, di poter interagire in maniera più serrata e con tempi più dilatati aumentando le aspettative di risposta sia da un punto di vista di tempistica che di contenuto.
Se l’interazione frontale permette di scegliere i tempi e i luoghi della condivisione, stabilendo un tempo di comune accordo ed una modalità comunicativa che ha a che fare non solo con la voce ma anche con il tono dell’espressione verbale, con l’intensità del suono, lo sguardo e la gestualità, lo stesso non vale per l’interazione attraverso le diverse chat (a parte i messaggi vocali che però non rispettano i tempi della comunicazione, divenendo solo monologhi senza possibilità di inserimento dell’altro).
La modalità di comunicazione attraverso le chat inoltre, danno l’impressione che sia possibile sempre e comunque attivare conversazioni creando l’illusione che anche l’altro viva viva la medesima esigenza in termini di tempi e di interessi.
L’illusione e i film mentali
Comunicare con le chat per certi versi significa essere mossi non solo da interessi di natura comunicativa, relativa alla condivisione di un argomento o di determinate informazioni ma può creare nello scrivente l’illusione più o meno consapevole di poter suscitare determinati interessi nei confronti dell’altro o attivare l’illusione che possa nascere una qualche forma di attrazione fra i due comunicanti.
Tutto questo si crea e si concretizza nella mente dello scrivente, assimilando determinate risposte da parte dell’altro con il proprio bisogno di riconoscimento e di vicinanza.
L’illusione si crea in base alla lunghezza dei messaggi ricevuti, ai tempi di risposta, all’uso delle emoticon che danno enfasi emotiva allo scritto, amplificando l’onda emozionale al punto da creare scenari immaginari inediti (veri e propri film mentali!).
Progressivamente nella persona interessata, all’illusione relazionale si aggiunge quella di disponibilità, nel senso che i tempi di risposta devono rientrare nei parametri voluti dal soggetto che vive questo bisogno. La persona che inizia a nutrire questi bisogni di accettazione, riconoscimento e condivisione prende se stessa come misura di tutte le cose: i tempi di risposta devono essere i medesimi dei propri, così la lunghezza del testo, il contenuto emotivo, la cura e l’uso delle emoticon.
Sindrome da doppia Spunta
Quando le aspettative vengono disilluse, ecco che inizia la sofferenza, la delusione, il dolore per il mancato riconoscimento. Ciò che rende ancora più straziante questo processo sono le risposte dell’interlocutore che, non vivendo la medesima situazione a livello emotivo dell’altro, possono diventare discontinue, brevi, focalizzate su aspetti più ludici o informativi che non su quelli più introspettivi o sentimentali.
Questa mancanza di sintonia, di ritmo comunicativo comune, colpisce duramente l’illusione della persona interessata che progressivamente inizia a sperimentare a livello emotivo una sorta di oscillazione dell’umore, passando dall’euforia per aver ricevuto il messaggio atteso, alla frustrazione per averne ottenuto qualcuno che non rispetta le aspettative, alla rabbia per non aver ricevuto il buongiorno atteso.
Lentamente la persona scivola in una sorta di prigione emotiva in cui tutto dipende dalla vibrazione e dal suono del cellulare. E non è detto che dietro a quel suono o a quella vibrazione ci sia proprio il messaggio della persona attesa, così, oltre alla tristezza inizia a manifestarsi frustrazione e rabbia.
Cominciano così i compromessi con se stessi dettati dall’orgoglio personale: “se non mi scrive farò anche io altrettanto. Se non mi cerca allora non mi merita, ecc”.
Inizia quindi la trepidante attesa dettata dall’illusione che l’interlocutore viva a livello emotivo la stessa situazione e quindi senta dentro di sé la medesima necessità di farsi sentire e di condividere.
Spesso non è così e allora diventa più facile interrompere il patto con se stessi, giurandosi che quella è l’ultima volta, e scrivere all’altro magari con le migliori parole e con tutto il sentimento possibile.
Le risposte tardano ad arrivare o se arrivano non sono quelle volute. La persona in questione si sente tradita da se stessa e dall’altra, prova vergogna mista a delusione e rabbia.
La trepidazione nell’attesa della risposta
Il tempo in cui non riceve messaggi dall’interessato si fa, nella percezione della persona, lunghissimo e straziante. Subentra l’ansia, ogni vibrazione del cellulare è un tuffo al cuore.
Capita che dalla rabbia e dalla delusione lentamente si scivoli verso l’autocolpevolizzazione: “se non mi scrive allora forse non sono degna, non sono all’altezza, non sono interessante o abbastanza attraente, ecc.”.
L’autostima inizia a calare e con essa il tono dell’umore. Ormai tutto dipende dalla risposta dell’altro. La bontà della mia giornata e la mia spensieratezza, l’energia positiva e la voglia di fare è scandita soltanto dalla generosità messaggistica dell’altro, dal suo ricordarsi di me e dalle parole che usa.
Siamo in una condizione di dipendenza emotiva in cui se non si comincia a prendere coscienza dei confini è difficile uscirne.
Come mettere fine ai “film mentali”
La bioenergetica e le pratiche corporee suggeriscono alcuni stratagemmi che aiutano a ridefinirsi e a scindere ciò che appartiene a me e ciò che non lo è, ciò che è illusione, bisogno e desiderio con ciò che effettivamente si manifesta, consolidando l’esame di realtà dell’interessato.
Si tratta di ripartire dal “Qui ed ora” attraverso la consapevolezza del respiro in posizione di grounding (radicamento con le mani sulla pancia o lungo i fianchi), provando a contattare i blocchi respiratori e le eventuali tensioni muscolari.
Stare nel qui ed ora significa sganciarsi dai rimuginii, dai “film mentali” e tornare ad essere con il proprio corpo, lasciando quindi fuori dai propri confini le illusioni e le astrazioni.
Tornare tutt’uno con il proprio corpo provando a sciogliere le tensioni anche attraverso le vocalizzazioni e colpendo a terra con i piedi gridando: “IO”.
Il recupero del senso di sé e della propria integrità parte anche dal bisogno di ridefinire i confini che può essere fatto attraverso il disegno della propria sagoma corporea e la collocazione delle emozioni provate all’interno dei distretti corporei evidenziati.
Utilizzare poi le visualizzazioni di ciò che è stato rappresentato immaginando attraverso l’esercizio delle fantasie guidate il proprio corpo che progressivamente si fa unitario e ben definito nei propri confini rispetto all’esterno, può essere un modo ulteriore per differenziare se stessi rispetto a tutto il resto.
E’ importante riconoscere i propri desideri e i propri bisogni verbalizzandoli ma anche collocandoli nel corpo disegnato attraverso le rappresentazioni grafiche e l’uso del colore. Comprendere ciò di cui abbiamo bisogno e renderlo ben visibile può aiutarci a capire cosa vogliamo e forse come ottenerlo, andando oltre l’illusione del telefono e della virtualità che altro non sono se non surrogati di bisogni mai realmente espressi perché forse mai vissuti e accettati realmente.
Partire da noi stessi, dal corpo, dalla consapevolezza dell’essere vivi attraverso il respiro con tutte le tensioni e distensioni muscolari significa ripartire dal senso di sé e dal proprio esserCI come unità, andando oltre ogni tentativo da parte del mondo esterno che spinge verso la frammentazione e la mancanza di unità per renderci fragili attraverso la creazione di bisogni effimeri lontani anni luce da quelli autenticamente soggettivi.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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