Food craving: da cosa dipende la voglia di cibo

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Per alcuni si tratta di episodi isolati, per altri di una vera e propria lotta quotidiana che, oltre a generare ansia e sensi di colpa, può contribuire a disturbi come l’obesità e la bulimia nervosa.

Le voglie ossessive sono un problema serio, scientificamente studiato e in attesa di terapie efficaci. Gli inglesi lo chiamano food craving, un intenso desiderio per un cibo specifico, incontrollabile e indipendente dalla fame. Può durare pochi minuti o intere giornate e riguarda soprattutto cibi ricchi di zucchero, sale e grassi.

Qual è il  meccanismo che ci porta a bramare un pezzo di pizza o cioccolata più di ogni altra cosa al mondo?

Le voglie di cibo nascono nelle regioni del cervello responsabili della memoria, del piacere e della ricompensa. Non è chiaro cosa causi questo potente e irrefrenabile desiderio: squilibri ormonali, difficoltà di gestire le proprie emozioni, stress.

Tuttavia, se stai seguendo un percorso dimagrante la ragione più probabile è che ti stia ‘vietando’ alcuni alimenti o intere categorie alimentari. Molte persone che tentano di perdere peso interpretano la dieta come ‘tutto o nulla’: “Se sono a dieta non devo sgarrare”. Alcuni alimenti sono dimagranti, altri ingrassanti e questi ultimi
bisogna evitarli. Ad ogni costo.

È proprio questa privazione che si trasforma ben presto in impossibilità a resistere. All’inizio va tutto bene, senti che il corpo cambia, sei più leggero, i vestiti sono più comodi.

Ti senti forte e in controllo. Niente può fermarti. Ma tutto questo ha un costo. Privarsi categoricamente di un alimento è un’impresa impegnativa e stressante, una continua lotta fra i tuoi desideri e le tue ambizioni di dimagrimento.

Più ripeti a te stesso che non devi mangiarne, più il desiderio aumenta. Le inventi tutte: mangi le carote, poi una fragola. Cominci a sentirti stressato e irritato. Il tuo partner maledice il giorno in cui hai deciso di perdere peso. Più t’imponi di non mangiare quel bignè al cioccolato, più ti immagini mentre lo mordi.

La chiave di tutto è l’immaginazione mentale

A tal proposito, gli studiosi ipotizzano un nuovo metodo per contrastare i nostri desideri quando questi rischiano di diventare patologici: concentrarsi sul più semplice compito visivo, magari con l’aiuto di uno smartphone.

La chiave di tutto è l’immaginazione mentale, la tendenza naturale degli esseri umani a popolare la propria mente di immagini. “Gli psicologi concordano nel ritenere che a innescare il desiderio indomabile di cibo sia il meccanismo dell’immaginazione mentale”, spiegano le autrici.

Per alcuni individui avere in testa un’immagine del proprio piatto preferito e non poterlo mangiare equivale a una tortura, un tarlo che si intrufola nel cervello e sottrae energie preziose ad altri compiti cognitivi.

Tanto più se si considera che i “pensieri visivi” relativi al cibo possono raggiungere livelli di nitidezza estremi, paragonabili solo a quelli di altre sostanze che generano “dipendenza” (sigarette, alcol, droga).

La cioccolata in cima alle “ossessioni alimentari”

Negli ultimi anni diversi esperimenti sono stati fatti per misurare da un punto di vista quantitativo l’influenza negativa del food craving sulle abilità cognitive. Essendo la cioccolata in cima alle “ossessioni alimentari” delle società occidentali, i casi più studiati sono quelli dei cosiddetti cioco-dipendenti (dall’inglese chocoholic).

Prevedibilmente, le prestazioni dei soggetti testati crollano in picchiata quando l’immagine mentale viene rafforzata dalla visione dell’oggetto desiderato, a confermare che il meccanismo delle voglie si svolge in primo luogo sul piano visivo (senza dimenticare il ruolo dell’olfatto, le cui sensazioni però sono più difficili da evocare in assenza di uno stimolo dal mondo esterno).

Cosa fare per contrastare le voglie ossessive?

Fino ad oggi gli approcci sono stati essenzialmente due: la soppressione del pensiero (cercare di convincere il soggetto a non pensare al cibo incriminato) e l’esposizione proibitiva (far vedere l’oggetto del desiderio e impedirne il consumo). Nessuno dei due, però, sembra aver avuto gli effetti sperati.

E’ qui che entra in gioco il nuovo metodo basato su un semplice assunto: se è vero che le voglie ossessive riducono le prestazioni nei compiti cognitivi, verosimilmente sarà anche il contrario, ossia che il food craving può essere tenuto a bada impegnando il soggetto in attività mentali, a maggior ragione di tipo ottico.

La ricerca

“I pazienti sono stati sottoposti a delle sessioni di rumore visivo, come la mera visione di pallini bianchi su uno schermo nero”, spiegano le due ricercatrici australiane, Eva Kemps e Marika Tiggemann della Flinders University, da anni impegnate nella lotta contro quella che definiscono una “minaccia per la salute di molte persone” .

“Già così abbiamo riscontrato un calo nell’intensità delle immagini mentali legate al cibo. Queste osservazioni – concludono – fanno intravedere scenari futuri per il trattamento clinico delle voglie compulsive”. Una mano potrebbe venire dalle nuove tecnologie, come netbook e smartphone, che all’occorrenza potrebbero prestare il loro schermo a intermezzi visivi ad hoc da attivare prima che il desiderio abbia la meglio sulla ragione.

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