La cosa più facile della vita è trovare il partner sbagliato. E’ facile, è ovvio e spontaneo tuffarsi negli stereotipi dell’amore e dell’innamoramento per poi trovarsi a chiedersi conto di un nuovo errore e di un’infelicità che spezza, disarma e mortifica.
Dal mondo di internet e non solo si innalza un coro di PERCHE’ che raggiunge assiduamente questo blog con interrogativi pressanti:
perché, a distanza di anni con persone “diverse” e in situazioni “diverse”, ci ingabbiamo in storie fallimentari all’insegna di denominatori comuni e disperanti: l’abbandono, l’esclusione, la gelosia, il tradimento, l’insoddisfazione, la delusione, sino agli abissi della violenza e della sopraffazione? Perché può capitare di vivere amori “sbagliati” in serie continue e ripetute?
Una risposta scomoda
Una risposta scomoda è che l’infelicità è il prodotto diretto della nostra spontaneità. Ciò che impariamo a chiamare “spontaneità” e che siamo abituati a pensare come a una proprietà nobile e intrinseca della nostra “personalità” non è altro che il risultato, molte volte controproducente e disadattivo, di piccoli e grandi traumi innervati sin dall’infanzia nella nostra psicologia; conflitti emotivi di base, nodi profondissimi e intricati ai quali ci siamo semplicemente adeguati e che, inconsapevolmente, alimentiamo e realizziamo momento dopo momento e giorno dopo giorno.
Spontaneità non è autenticità
Dunque, è fondamentale tracciare una distinzione tra spontaneità e autenticità, perché le due cose combaciano raramente. Se la prima è, nell’accezione proposta, l’espressione impulsiva e inconsapevole di comportamenti che possono risultare disfunzionali, la seconda è il frutto della consapevolezza di sé, dei propri bisogni affettivi ed emozionali, delle proprie fragilità e delle risorse capaci di ostacolare o favorire la realizzazione di un equilibrio personale. L’autenticità è una conquista, la spontaneità un’eredità a volte molto sfortunata. Quante storie finiscono all’insegna del “io sono fatto/a così”? Quanti inseguimenti psicologici si compiono in nome della “spontaneità” dell’altro – che vorremmo cambiare – mentre la nostra continua a girare nello stesso vuoto?
Perché scelgo il partner sbagliato?
Dalla Psicoanalisi, alla Terapia transazionale sino ai più recenti e interessanti modelli psicoterapeutici come la Schema Therapy (o terapia degli Schemi), diversi modelli e orientamenti per lo studio e la soluzione dei problemi umani convergono, passando per presupposti e metodi differenti, su un dato comune:
nell’arco dell’esperienza umana, sin dall’infanzia gli individui elaborano schemi automatici, stabili e per lo più inconsapevoli, per far fronte alla complessità delle relazioni precoci e affettivamente salienti ,e generalizzano il sistema di emozioni, pensieri, comportamenti e significati acquisiti ad altri rapporti d’amore nell’età adulta. Il risultato di tali schemi o copioni psicologici è la riproduzione, in tempi, in circostanze e con persone diverse di situazioni “antiche” che si presentano ad un tratto con la stessa carica emozionale del passato e si risolvono (purtroppo) in modo analogo.
Perciò, per esempio, se le relazioni parentali primarie sono state carenti nel fornire quella che Bowlby definì una “base sicura”, ovvero la sensazione di amore incondizionato e di valore intrinseco della persona, e hanno invece favorito (inavvertitamente) percezioni di abbandono e di svalutazione è probabile che l’individuo adulto inconsciamente e “spontaneamente” sia portato a selezionare persone e situazioni di abbandono e di svalutazione confondendole con l’amore.
Una teoria degli schemi
Negli anni ’90 a New York, Jeffrey Young ha elaborato una teoria degli schemi psicologici integrando l’approccio cognitivo-comportamentale con la psicoanalisi e la teoria dell’attaccamento di Bowlby, aspetti della terapia della Gestalt e della terapia transazionale in un modello unitario chiamato Schema Therapy. Il nucleo centrale di questo modello proviene dall’osservazione diretta, basata su evidenze cliniche (evidence-based), del fatto che la frustrazione o il travisamento dei bisogni emozionali di base dei bambini da parte di figure significative (i genitori, i parenti stretti, il gruppo di pari o gli insegnanti) in età precoce, genera una catena di traumi e risposte adattative (coping) destinata a riverberare in un sistema di emozioni, pensieri e comportamenti che tende ad organizzarsi in schemi automatici, schemi che poi si attivano inconsapevolmente nei contesti successivi dello sviluppo. Questi schemi, dunque, finiscono per “plasmare” le nostre scelte affettive e, quando si tratta di modalità disfunzionali, a precipitarci ogni volta negli stessi “errori”.
Rompere gli schemi: cambiare è possibile
Cambiare è possibile, purché si voglia cambiare se stessi e non l’altro e a condizione che si decida, a fronte della propria infelicità sentimentale, che qualcosa nel proprio modo di vivere le relazioni “non funzioni” come vorremmo. Maturare una disponibilità al cambiamento è, dunque, la prima sfida per chi si accosta a un percorso di psicoterapia finalizzato a recuperare l’equilibrio perduto e, in alcuni casi, mai davvero conquistato.
Lo stereotipo dominante afferma che la psicoterapia sia un impegno gravoso, un luogo doloroso e angusto: non è così. Al contrario, una terapia psicologica ha lo scopo di semplificare e accelerare il cambiamento personale e spezzare quegli schemi che impediscono la realizzazione dell’individuo. Come ogni viaggio, presenta tappe impegnative come momenti di assoluta leggerezza e gioia. Un viaggio verso l’autenticità.
Lo stereotipo dominante afferma che la psicoterapia sia un impegno gravoso, un luogo doloroso e angusto: non è così. Al contrario, una terapia psicologica ha lo scopo di semplificare e accelerare il cambiamento personale e spezzare quegli schemi che impediscono la realizzazione dell’individuo. Come ogni viaggio, presenta tappe impegnative come momenti di assoluta leggerezza e gioia. Un viaggio verso l’autenticità.
A cura di Enrico Maria Secci, Blog Therapy, Psicologo psicoterapeuta