Il ricordo di un’emozione si conserva grazie alla memoria emotiva

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor
L’ippocampo (sinistra) e amigdala (destra) sembrano essere coinvolti nella gestione dell’ansia e di alcune facoltà come la memoria e l’apprendimento

Le memorie emotive rappresentano il fulcro della nostra vita personale, influenzando le nostre scelte future e il nostro stile di vita. In poche parole, ci rendono quelli che siamo. Durante un’esperienza emotiva gli stimoli sensoriali come odori, suoni, e colori acquisiscono un valore positivo o negativo attraverso la loro associazione con la situazione, in un processo noto come apprendimento emotivo, comune fra diverse culture e specie.

Correlazione tra memoria ed emozione

Già da qualche decennio le neuroscienze si sono interessate in particolare alle basi fisiologiche di processi cognitivi quali la percezione e la memoria, ma hanno per lo più ignorato il ruolo svolto dal cervello nell’emozione. Tuttavia, in anni recenti, si è ravvivato l’interesse per questo territorio mentale tuttora misterioso. Stimolata dai notevoli progressi nella comprensione delle basi nervose della cognizione e da una conoscenza sempre più approfondita dell’organizzazione anatomica e della fisiologia del cervello, la scienza sta cominciando ad affrontare il problema dell’emozione. Un’area di ricerca che ha dato interessanti risultati è stata in particolare quella che si occupa del rapporto fra memoria ed emozione.

In gran parte, queste indagini hanno riguardato lo studio di una emozione specifica – la paura – e del modo in cui determinati eventi o stimoli riescono, attraverso le esperienze individuali di apprendimento, a evocare questo stato. Molti studiosi hanno determinato il modo in cui il cervello modella la formazione di ricordi su questo elemento emotivo semplice, ma rilevante. Diamo a questo processo il nome di memoria basata sulle emozioni o «emotiva».

La memoria emotiva non è solo una memoria inconscia

Infatti essa esercita una potente influenza sulla memoria dichiarativa e su altri processi del pensiero. I ricordi emotivi e quelli dichiarativi vengono immagazzinati e recuperati parallelamente e le loro attività vengono riunite nelle nostre attività mentali coscienti. In questo processo la memoria emotiva si combina quindi con la memoria dichiarativa e insieme producono una nuova memoria dichiarativa. I ricordi, a quanto pare, ce li reinventiamo secondo l’uso (inconscio?) che ne vogliamo fare sulla base delle circostanze, dei rapporti con gli altri e con l’ambiente (Freud 1948; Loftus 1997) ma anche sul modo in cui tutta la nostra anatomia, compreso il patrimonio genetico ereditato dai nostri genitori, reagisce a quello che avviene dentro e fuori del nostro corpo.

Jacobs e Nadel (1985) hanno proposto che nel primissimo periodo di vita dell’uomo il sistema della memoria emotiva si sviluppi più precocemente di quello della memoria dichiarativa perché l’ippocampo a differenza dell’amigdala, non è ancora così maturo da formare ricordi consciamente accessibili.

L’amigdala del neonato immagazzina precocemente una successione di “ricordi inconsci”. Il trauma nel bambino in seguito può influire sulla funzioni mentali e sul comportamento del giovane e dell’adulto, agendo attraverso stati mentali che rimangono inaccessibili alla coscienza. è quindi possibile che le emozioni e le sensazioni che quotidianamente esprime un’ampia varietà di individui siano dei prodotti consci dipendenti da complessi processi limbici inconsci.

Fattori che influenzano la memoria

In generale, sono due i fattori emotivi che influiscono sulla memoria: il grado di attivazione e la valenza dell’emozione . L’attivazione emotiva associata a uno stimolo o una situazione fa sì che l’attenzione si concentri su di esso, in modo che venga ricordato meglio in futuro, soprattutto se il nostro stato emotivo è simile a quello del contesto di apprendimento. Gran parte della nostra conoscenza su come il cervello colleghi memoria ed emozione è stata ricavata dallo studio del cosiddetto condizionamento classico alla paura.

L’esperimento di Le Doux nel 1994

Esplicativa è l’esperienza del ratto sottoposto al test di “condizionamento alla paura” (Le Doux 1994). In una prima fase il ratto, messo in una gabbia a fondo metallico, viene addestrato a udire un suono (stimolo condizionato): questo stimolo ha poco effetto sulla pressione sanguigna, sul battito cardiaco e sui movimenti dell’animale. Nella seconda fase, il ratto sente prima il solito suono e dopo un «preciso intervallo di tempo», riceve una debole scarica elettrica (stimolo incondizionato o sensibilizzante): dopo varie ripetizioni, cresce la pressione sanguigna, aumenta il battito cardiaco e il ratto si immobilizza a lungo, come se fosse spaventato, nell’udire il suono (freezing). Nella terza fase, il ratto sente solo il suono e questo stimolo scatena ora le stesse alterazioni comportamentali e fisiologiche dell’animale.

Nel linguaggio usato per questi esperimenti, si dice che il rumore o la luce sono stimoli condizionati, la scarica elettrica è uno stimolo non condizionato e la reazione è una risposta condizionata, consistente in alterazioni comportamentali e fisiologiche facilmente misurabili. Un condizionamento di questo tipo si stabilisce facilmente nel ratto, anzi avviene con la stessa rapidità con cui si instaura nell’uomo. Basta una sola esperienza dell’associazione fra scarica elettrica e segnale acustico o luminoso per indurre l’effetto condizionato.

Una volta stabilita, la reazione di paura è relativamente permanente. Se si espone parecchie volte il ratto al suono o alla
luce senza l’accompagnamento della scarica elettrica, la sua reazione diminuisce; questo cambiamento è detto estinzione. Tuttavia parecchi dati indicano che questa alterazione del comportamento è dovuta a un controllo della risposta di paura esercitato dal cervello e non all’eliminazione della memoria emotiva. Una paura in apparenza estinta può ripresentarsi spontaneamente o in seguito a un’esperienza anche non correlata che induca stress.

Questo fenomeno indica che la memoria emotiva responsabile della fobia è stata resa quiescente, ma non eliminata in seguito al trattamento. Un esempio di questo tipo di memoria sarebbero i traumi subiti durante l’infanzia, che possono apparire ripetutamente e essere ricordati in modo permanente durante la fase adulta.

MEMORIA EMOTIVA E BASI BIOLOGICHE

È essenziale precisare che non esiste un singolo interruttore della paura negli esseri umani ma rispondere alle minacce coinvolge più aree del cervello. Gli scienziati hanno però individuato nell’amigdala i fondamenti di questi processi.

L’amigdala è la struttura cerebrale addetta alla nostra memoria emozionale. Grazie agli stretti collegamenti con l’ippocampo, luogo in cui vengono elaborate le memorie, l’amigdala può valutare la pericolosità di una situazione attuale confrontandola con quelle passate. Inoltre può legare un’emozione a queste situazioni avendo la facoltà, se lo ritiene necessario, di attivare il sistema nervoso simpatico e rilasciare gli ormoni della paura: adrenalina, noradrenalina e dopamina, innescando così una reazione immediata al pericolo. Queste risposte vengono attuate dall’amigdala prima ancora che lo stimolo raggiunga la neocorteccia, dove i pensieri vengono razionalizzati, perciò prima ancora di esserne coscienti.

È stato osservato che come risposta iniziale ad uno stimolo stressogeno l’amigdala reagisce aumentando la produzione di una proteina, la neuropsina. Questa innesca una serie di eventi che determinano un aumento dell’attività dell’amigdala stessa, e ne conseguono le risposte sovracitate.

Effetti neuroendocrini dello stress e della memoria

Gli studi sugli effetti neuroendocrini dello stress e la loro relazione con la formazione di ricordi di esperienze stressanti hanno fornito dati rilevanti sulla memoria emotiva. Quando una persona è soggetta a situazioni con alto contenuto emotivo rilascia una grande quantità di ormoni surrenali. Principalmente adrenalina e glucocorticoidi.

Diverse indagini si sono concentrate sull’analisi dell’effetto di questi ormoni e hanno dimostrato che è strettamente collegato all’interazione emozioni-memoria. In questo senso, Beylin & Shors nel 2003 hanno dimostrato che la somministrazione di un ormone surrenale chiamato corticosterone prima di eseguire una forma compito di apprendimento, memoria modulato e maggiore memoria. Allo stesso modo, De Quervain ha dimostrato che la modulazione della memoria varia in base al momento e all’intensità con cui gli ormoni vengono rilasciati. In questo modo, i glucocorticoidi facilitano la memoria delle persone.

Successivamente, uno studio condotto da McCaug nel 2002 ha dimostrato che questi effetti ormonali sono prodotti attraverso meccanismi centrali noradrenergici. Cioè, attraverso l’esecuzione dell’amigdala del cervello. La presenza di glucocorticoidi nel sangue provoca una maggiore stimolazione dell’amigdala. Quando l’amigdala è attiva, inizia a partecipare direttamente alla formazione dei ricordi.

Quando l’amigdala diventa un problema

Come ogni struttura del nostro cervello l’amigdala si modifica sulla base delle nostre esperienze precedenti. Questo processo è noto con il nome di neuroplasticità. Ogni volta che attiviamo un’area del cervello andiamo ad intensificare le connessione di quell’area, facilitando la riattivazione futura di quello stesso gruppo di neuroni. Che cosa accade quindi quando l’amigdala viene sollecitata troppo a lungo? Questa è una domanda molto importante, che è stata approfondita soprattutto dai ricercatori nell’ambito del trauma. Come accennato l’amigdala sembra essere coinvolta nella creazione di ricordi intrusivi che possono portare non poca sofferenza nella vita delle persone.

Quando ci troviamo in situazioni estreme e, ancora peggio, prolungate nel tempo, la nostra amigdala “si abitua” a funzionare eccessivamente. Vista la sua vicinanza all’ippocampo, l’amigdala, oltre ad attivarsi in risposta allo stimolo del momento, associa lo stato di allerta a quando accade, riattivando lo stesso stato di allerta anche quando riceve uno stimolo simile.

Ciò significa che l’amigdala può innescare una risposta emotiva prima che i centri corticali abbiano compreso ciò che sta accadendo; ne consegue che i segnali che passano direttamente attraverso l’amigdala corrispondono ai sentimenti più primitivi e potenti: questo spiega la capacità dell’emozione di soffocare la razionalità. In precedenza si sapeva che gli organi di senso trasmettevano i loro segnali al talamo e che questo li inviava alla neocorteccia; da qui raggiungevano poi il sistema limbico dal quale si irradiava una risposta più appropriata attraverso il cervello ed il resto del corpo.

E questo in realtà è ciò che avviene nella maggior parte dei casi ma la scoperta di LeDoux consiste appunto nell’aver rilevato la presenza di un fascio più sottile di fibre nervose che dal talamo vanno direttamente all’amigdala. La differenza sta nel fatto che l’amigdala può spingerci ad agire immediatamente mentre la neocorteccia, un po’ più lenta ma in possesso di informazioni più complete, sta preparando un piano di azione più raffinato.

Nell’amigdala sono archiviati ricordi e repertori di risposte che vengono messe in atto senza consapevolezza da parte dell’individuo e ciò avviene perché la scorciatoia dal talamo all’amigdala esclude completamente la neocorteccia: se ad esempio, ho fatto un sorpasso azzardato da quel momento in poi sarà l’amigdala che mi farà sentire ansioso se tenterò di sorpassare in circostanze simili.

Fra i reduci di guerra, ad esempio, era stato riportato il caso di un ex militare che ebbe le stesse reazioni di ansia avute durante il contesto bellico, entrando nel bagno di casa sua. Per un attimo aveva confuso il lavandino con la torretta del carroarmato dal quale soleva sparare. Per un attimo ebbe un ricordo intenso di quell’evento, suscitato dalla forma simile del lavandino, avendo poi tutta la reazione tipica del disturbo post traumatico. In situazioni come queste il funzionamento anomalo dell’amigdala può diventare un limite importante nella vita, andando a inficiare la nostra quotidianità.

A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
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