Il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, sostiene che il rapporto tra padre e figlio è improntato principalmente sulla rivalità: tutto inizia con una visione del padre, da parte del bambino, come modello da imitare; crescendo, il padre diviene un ostacolo e un limite da superare da cui, infine, distaccarsi, per affermare il proprio ruolo sociale e la propria indipendenza. Mettendo da parte il complesso edipico e le sue implicazioni, le teorie sull’evoluzione infantile del XXI secolo hanno criticato e totalmente rivisto la posizione di Freud, finendo con l’attribuire ai padri un ruolo fondamentale, non secondario a quello della madre, nello sviluppo e nella crescita dei figli.
Papà dove sei?
Diversi studi in psicologia e anche l’esperienza pratica hanno appurato che, mentre la donna, appena presa la decisione di avere un bambino, inizia già a sentirsi madre e a fantasticare su quello che sarà e a documentarsi su quello che l’aspetta dopo il parto, per un uomo diventare padre è un processo molto più lento, che investe più il campo della razionalità che quello dell’istintività. Per questo molti uomini realizzano di essere diventati padre solo dopo la nascita del bambino e da quel momento in poi, a scoppio ritardato, iniziano a fare mente locale su cosa ciò implicherà per la loro vita futura.
Gli studiosi sostengono che il desiderio di paternità scaturisce dall’insieme di tre diversi sentimenti: la possibilità di continuare sé stessi, ossia la continuazione della propria stirpe; la nuova spinta a rivivere la propria infanzia attraverso quella dei figli; la volontà di affermazione del proprio io, grazie alle nuove responsabilità conseguenti alla nascita di un figlio.
Una volta preso atto della cosa e sviluppato il desiderio, l’importante è che i padri decidano davvero di assumersi questa responsabilità e di diventare le figure di riferimento di cui i figli hanno bisogno, senza abdicare al loro ruolo lasciando ogni onere alle madri. Preoccupa in questo senso uno studio della European Psycho-analitic Association, secondo cui i padri italiani sono gli ultimi in Europa per quantità di tempo dedicata ai figli, in media 15 minuti al giorno, preferendo, una volta rientrati a casa, dedicarsi alla televisione o al computer.
A parte l’attrattiva della tecnologia, questo atteggiamento disinteressato sembra affondare le sue radici nella storia dell’evoluzione della famiglia e nella svalutazione del ruolo paterno avvenuta nell’ultimo secolo. L’uomo, privato dell’antica autorità del pater familias, l’unico incaricato delle sorti e del sostentamento di moglie e figli, sembra entrato in una profonda crisi di identità, intrappolato in un senso di noncuranza verso le nuove generazioni. Troppo presi dalla ricerca di sé stessi, gli uomini non si sentono mai pronti a diventare padri e non sembrano più in grado di rivestire un ruolo preciso e credibile nelle dinamiche della vita familiare.
Sembra quindi opportuno che i neo-padri dell’Italia di oggi si assumano la responsabilità della cura e dell’attenzione dei propri figli, prendendo quel ruolo che le scienze dell’educazione infantile gli riconoscono, in quanto modelli di educazione e comportamento importanti per l’inserimento sereno dei bambini nel mondo degli adulti.
Il ruolo del papà moderno
Anche se fino a poco tempo fa il ruolo dei padri per la crescita dei figli veniva trascurato rispetto a quello delle madri, recentemente, come si vede dai congedi di paternità e dalla crescente tendenza a coinvolgere i padri nelle fasi della gravidanza, facendoli partecipare con la futura mamma ai corsi pre-parto ed assistere in prima persona al concepimento, le scienze dell’educazione riconosco la realtà del potere evocativo della figura del padre e il suo ruolo fondamentale per l’educazione e la formazione del carattere dei figli.
Se la mamma rappresenta il porto sicuro presso cui rifugiarsi, il cui amore verso i figli appare incondizionato ed illimitato, il papà rappresenta il modello di forza e autorità, il cui amore va ricercato e che, una volta assicurato, contribuisce a dare un senso di sicurezza, protezione ed accettazione di sé, fondamentali per lo sviluppo sereno dei bambini e, con la crescita, per il loro inserimento sicuro all’interno della società.
Da parte sua, per soddisfare e non deludere le aspettative dei figli ed accrescere il loro senso di autostima e la loro sicurezza, ogni padre deve dedicare loro tutte le sue attenzioni, ascoltarli mentre raccontano la loro giornata a scuola, comprendere le loro passioni per la musica o per gli sport e cercare di conoscerli intimamente in tutte le sfumature del loro carattere, come piccoli individui.
Oltre ad ascoltarli un buon papà ha il compito di comunicare con loro ed esprimergli un senso di affetto e di famiglia. Per questo, una cosa molto importante è raccontare chi siamo ai nostri figli, per farci conoscere e ricordare: può essere bello ed educativo raccontargli i ricordi della propria infanzia, i rapporti con i nonni, le storie di quando si era giovani o di quando abbiamo conosciuto la loro madre e i nostri migliori amici, per donargli un senso di identità familiare di cui faranno tesoro una volta cresciuti. In questo può aiutare anche sfogliare insieme dei vecchi libri di foto del passato, per fargli vedere come era il suo papà quando era piccolo, che i suoi occhi e il suo sorriso erano uguali a quelli del suo bambino e che quindi in futuro crescerà e diventerà molto più simile a lui quando era giovane.
Le tappe del rapporto padre-figlio
I neonati e i bambini fino a 3 anni assorbono tutti gli stimoli che gli vengono dall’esterno, così come sono; dato che le loro menti sono come delle spugne e la maggior parte del tempo e del contatto è dedicato alla mamma per le necessità legate all’allattamento, i papà devono cercare di essere molto presenti e partecipi in questa fase della loro vita, facendosi vedere e facendo sentire la propria voce per venir inseriti a pieno ruolo, assieme alla mamma, nello spazio di conoscenza protetto del proprio bambino.
In questa fase il papà è fondamentale anche nel ruolo di compagno: dato che la mamma è completamente assorbita dalle necessità dei figlioletti, per nutrirli, cullarli, pulirli, accudirli, lui può contribuire in alcune mansioni ma soprattutto occuparsi di lei e dei suoi bisogni quando proprio si sente esausta e a terra. Infatti, se sarà il papà ad occuparsi della mamma e delle normali faccende a lei deputate, lei potrà concentrarsi esclusivamente sul benessere del bambino e sulla gioia di vivere insieme questo nuovo capitolo del libro della loro storia.
Nel periodo che va dai 3 ai 6 anni il bambino inizia il suo sviluppo psico-motorio. In questa fase sta ai papà essere presenti, soprattutto per giocare con i loro bambini, proponendogli giochi educativi, che allenano la mente e stimolano curiosità e fantasia ed insegnandogli l’importanza del rispetto delle cose, delle persone e delle regole.
Senza abusare nell’essere autoritari, ma preferendo essere autorevoli, è possibile insegnare un sacco di cose ai propri figli, ricordandosi di cercare di assecondare i loro desideri, senza imporgli i nostri, di rassicurarli quando non riescono ed aiutarli quando sbagliano. In questo modo il babbo diventa l’aiuto su cui contare e il compagno di giochi che detta le regole e che quindi va rispettato.
Le basi educative che i genitori, e soprattutto i papà, avranno iniziato ad impartire nell’età prescolastica, vedranno il loro sviluppo nella fase scolastica e si confronteranno con quelle degli altri bambini, contribuendo a definire il carattere del proprio figlio. Potersi vantare di quanto è grande e di quante cose sa fare il proprio papà, è un elemento che dà molta sicurezza ai bambini.
Con l’arrivo dell’adolescenza e delle prime ribellioni nei confronti dei genitori, è importante fare squadra, distribuendo premi e punizioni di comune accordo ed aiutandosi a vicenda a non farsi prendere per il naso dall’astuzia dei figli. Anche nel caso che i figli sbaglino o riportino dei brutti voti a scuola, i padri dovrebbero sforzarsi nel non giudicare severamente, ma di essere fermi nello spiegare ai figli i propri errori e punirli quando necessario, facendogli intendere che è per il loro bene.
Con l’avvicinarsi della maggiore età, si raccolgono i frutti del lavoro educativo fatto fino a quel momento e tra padri e figli inizia un po’ la fase, che piace tanto a Freud, del confronto e della messa in discussione delle regole imposte dagli adulti.
Sovente capita infatti che i figli maschi sviluppino un certo senso di competizione nei confronti del padre, volendo quindi affermarsi negli sport o in passioni estranee a quelle finora condivise con lui o con la sua approvazione, ma non è insolito che anche le femmine inizino a contrariarlo, volendo scoprire un universo maschile totalmente diverso.
Vedere il progressivo allontanamento del proprio figlio o della propria figlia, con i quali fino a poco tempo prima potevano vantare di avere dei rapporti unici e speciali, è un momento difficile per molti padri, che tuttavia va affrontato come una normale fase della vita che si ridimensionerà da sola.
Il segreto per non sciupare o perdere il bel rapporto coltivato fino a quel momento è il dialogo. Mantenere un dialogo aperto con i propri figli, ascoltare i loro problemi e le loro preoccupazioni, chiedergli sincerità in cambio di fiducia, consigliarli nelle loro scelte scolastiche, sentimentali e poi, quando saranno cresciuti, lavorative, è la strada da seguire per giungere ad un’evoluzione del rapporto affettivo.
In questo modo, il papà diventerà un confidente ed un amico, in grado di consigliare al meglio i suoi ragazzi, grazie alle esperienze vissute sulla sua pelle, e di aiutarli a perseguire, una volta raggiunta la maturità, un loro progetto di vita autonoma, pur continuando ad essere un insostituibile punto di riferimento.