Il ruolo nascosto del cortisolo nelle relazioni di coppia disfunzionali (che pochi conoscono)

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ti sei mai chiesto perché, dopo anni in una relazione tossica, non ti senti solo stanco mentalmente, ma esausto anche nel corpo? Perché non è solo il cuore a soffrire, ma tutto l’organismo sembra trascinarsi in una fatica che non passa? Non è semplice malinconia o tristezza: è un senso di vuoto che spegne la vitalità, toglie forza, riduce la capacità di concentrarsi e di provare piacere.

Molte persone descrivono questa condizione come un vivere “a metà”: ci si alza la mattina senza energia, si affrontano le giornate come sotto anestesia emotiva, e persino i momenti che un tempo erano fonte di gioia sembrano privi di colore. È una stanchezza che non si risolve con il sonno, un logorio che non dipende dal lavoro o dagli impegni quotidiani, ma dal peso invisibile di un legame che non nutre.

Biologia delle relazioni tossiche

Siamo abituati a pensare che le relazioni tossiche feriscano solo l’anima: l’ansia che cresce, il senso di vuoto, la paura di essere abbandonati. Eppure, la verità è molto più profonda. Le relazioni difficili non lasciano solo cicatrici emotive, ma riscrivono i parametri biologici del nostro corpo. Non si limitano a spegnere l’umore: modificano il modo in cui respiriamo, dormiamo, digeriamo, regoliamo le energie.

Quando viviamo per mesi o anni dentro un clima di conflitti, silenzi ostili, freddezza o critiche continue, il nostro sistema nervoso impara a leggere il mondo come un luogo pericoloso. Non si tratta di “debolezza caratteriale”: è il corpo che registra ogni segnale di minaccia e lo traduce in modifiche concrete ai nostri ormoni, ai neurotrasmettitori, alle difese immunitarie.

Al centro di questa trasformazione c’è un protagonista silenzioso, spesso frainteso: il cortisolo, l’ormone dello stress. Un alleato che nasce per proteggerci, ma che nelle relazioni tossiche cambia volto, trasformandosi in un indicatore di logorio e in una gabbia biologica che ci tiene intrappolati.

Cortisolo: un alleato che segue la via lunga

Spesso il cortisolo viene descritto in modo superficiale come “l’ormone che aumenta quando sei stressato”. In realtà la sua funzione è molto più complessa. Non è lui ad attivarsi immediatamente quando percepiamo un pericolo: quella è la funzione dell’adrenalina e della noradrenalina, che scattano in pochi secondi per preparare il corpo alla fuga o alla lotta.

Il cortisolo percorre la cosiddetta via lunga dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Entra in gioco quando lo stress si protrae. Il suo ruolo è sostenere l’organismo nel tempo:

  • mantiene stabili i livelli di glucosio nel sangue,
  • mobilita energia dalle riserve,
  • modula le risposte immunitarie e infiammatorie,
  • protegge il corpo dagli effetti tossici di uno stress troppo acuto e prolungato.

In sintesi: il cortisolo non è un nemico, ma un regolatore prezioso. Diventa dannoso solo quando lo stress diventa cronico.

Omeostasi e allostasi: quando l’equilibrio si spezza

In una relazione sana, i conflitti sono fisiologici. Dopo un litigio, arrivano gesti di riparazione: un abbraccio, una carezza, un “mi dispiace”. Questo permette al cortisolo di salire per affrontare la tensione, e poi di tornare a valori normali. È l’omeostasi: il ritorno alla stabilità dopo una perturbazione. In una relazione disfunzionale, invece, i conflitti restano aperti. La riparazione non arriva, i bisogni di sicurezza restano inascoltati. Il corpo allora è costretto a una strategia diversa: l’allostasi.

L’allostasi significa “stabilità attraverso il cambiamento”: l’organismo modifica i suoi parametri interni per resistere a una tensione che non si risolve.

L’errore comune: il cortisolo non resta sempre alto

Molti credono che chi vive in una relazione tossica abbia costantemente il cortisolo elevato. In realtà il processo si articola in tre passaggi:

  1. Fase iniziale – iperattivazione: il cortisolo sale per proteggere. Ansia, insonnia, ipervigilanza: il corpo segnala “sei in pericolo”.
  2. Fase di cambiamento – allostasi: l’organismo non può restare in allarme rosso. L’asse HPA modifica i set-point e abbassa i livelli rispetto al picco iniziale, stabilizzandosi su valori diversi (ancora reversibili se lo stress si risolve).
  3. Fase cronica – carico/sovraccarico allostatico con reset dei set-point (nuova omeostasi disfunzionale): se la tensione perdura, lo stato allostatico diventa stabile. Il cortisolo non torna ai valori salutari e può risultare inadeguato a proteggere: falsa calma, apatia, vulnerabilità immunitaria e logorio.

Punto chiave: il cortisolo non resta sempre alto; può ridursi e fissarsi su nuovi parametri che non coincidono con la salute, ma con una stabilità al ribasso (reset allostatico dei set-point).

Una storia di adattamento al ribasso

All’inizio del matrimonio con Silvia, i conflitti di Luca avevano ancora un esito prevedibile: discussioni accese seguite da momenti di pace. Nei primi istanti di uno scontro era l’adrenalina a invadere il corpo: il cuore accelerava, i muscoli si tendevano, il respiro diventava rapido. Se la tensione durava più a lungo, a quel punto entrava in gioco anche il cortisolo, l’ormone della “via lunga”, che fornisce al corpo l’energia necessaria per reggere lo stress oltre l’immediato.

Quando arrivava una riconciliazione, tutto lentamente si abbassava: l’adrenalina smetteva di correre, il cortisolo calava, e Luca poteva tornare a sentire un equilibrio. Era un’onda fisiologica, come il mare che si increspa e poi, piano piano, torna calmo.

Col tempo, però, quelle riparazioni sparirono. Silvia sembrava sempre insoddisfatta. Ogni giorno c’era un appunto, una critica, una frase svalutante. Gli ripeteva spesso di aver sposato un bambino incapace di assumersi responsabilità, scaricando su di lui tutte le proprie frustrazioni.

Luca entrò così nella fase di iperattivazione: viveva in costante allerta. Notte dopo notte restava sveglio, il cuore accelerato, i pensieri che non si fermavano mai. Il cortisolo rimaneva alto, come un segnale permanente di pericolo.

Ma nessun corpo può reggere a lungo quell’allarme. Così, dopo mesi, l’organismo di Luca scivolò nell’allostasi: i valori di cortisolo si abbassarono rispetto ai picchi, stabilizzandosi su un equilibrio diverso. Non era più il suo assetto originario, ma un compromesso biologico per resistere. Anche lui, sul piano emotivo, smise di reagire: non discuteva più, non chiedeva più. Viveva, ma in difesa.

Dopo anni, quell’adattamento si fissò. Era nata una nuova omeostasi disfunzionale: un equilibrio stabile ma al ribasso. Luca sembrava più calmo, ma era una calma malata. La sua vitalità era svuotata, la stanchezza cronica lo accompagnava ovunque, il desiderio era spento. Non era più il cortisolo a proteggerlo, ma un corpo rassegnato che si era “settato” per sopravvivere, non per vivere.

Così Luca, da marito e compagno, era diventato il bersaglio silenzioso di una relazione che non aveva solo logorato il cuore, ma anche scritto nuovi parametri nel suo corpo

Altro esempio

Anche Elena ha vissuto qualcosa di simile. All’inizio della sua relazione con Andrea, la freddezza e la critica continua la facevano reagire con rabbia. Alzava la voce, cercava di difendersi, voleva farsi ascoltare. Ma dietro quella rabbia si nascondeva l’ansia: notti passate a rigirarsi nel letto, il cuore che batteva troppo forte, i pensieri che non si spegnevano mai. Il suo corpo produceva più cortisolo, segnalando una fase di iperattivazione. La gastrite era diventata un disturbo ricorrente, e al mattino si sentiva già sfinita.

Col passare del tempo, però, ogni tentativo di confronto sembrò inutile. Ogni richiesta di vicinanza cadeva nel vuoto. Ogni vulnerabilità esposta veniva accolta da indifferenza. Così Elena smise di lottare. Non discuteva più, non chiedeva più. Appariva calma, quasi rassegnata, ma quella calma era solo un’apparenza. Dentro, il suo corpo si era adattato abbassando i livelli di cortisolo. Non era più la tempesta dell’inizio, ma nemmeno la quiete della salute: era una nuova omeostasi disfunzionale, un equilibrio al ribasso che la lasciava vulnerabile.

Elena non viveva più nell’ansia costante: viveva nello svuotamento. Una stanchezza che non passava mai, un sonno che non riposava, un’apatia che nessun progetto riusciva a smuovere.

Poi arrivarono i dolori. Prima diffusi, vaghi, come indolenzimenti passeggeri. Poi sempre più forti, al punto da rendere faticosi anche i gesti quotidiani. Dolori muscolari, rigidità, un corpo che sembrava gridare senza tregua. Dopo visite e analisi senza risposte chiare, arrivò la diagnosi: fibromialgia.

Quella parola diede un nome a ciò che Elena sentiva da tempo. Non era un dolore “inventato”, non era un capriccio della mente, ma il risultato di un logorio biologico: un sistema nervoso centrale ipersensibilizzato, neurotrasmettitori in squilibrio, cortisolo incapace di modulare infiammazione e risposta al dolore.

La fibromialgia di Elena era il segno di anni di carico allostatico. Il suo corpo aveva trasformato il silenzio e la distanza emotiva in dolore cronico, raccontando attraverso i tessuti e i nervi ciò che le parole non avevano mai trovato lo spazio per dire. La sua storia mostra con chiarezza un paradosso crudele: mentre la mente si convince di essersi adattata, il corpo porta inciso il prezzo della sopravvivenza.

Il carico allostatico nelle relazioni

Gli scienziati chiamano carico allostatico il prezzo che paghiamo quando l’adattamento si cronicizza.

  • Biologia: sistema immunitario indebolito, infiammazioni più frequenti, disturbi digestivi, alterazioni del sonno.
  • Psicologia: perdita di vitalità, anedonia, calo della motivazione, depressione.
  • Relazioni: accettazione di una “normalità” fatta di silenzi e rinunce, che non è più equilibrio ma sopravvivenza.

Il percorso del cortisolo nelle relazioni tossiche

  1. Iperattivazione
    Cortisolo elevato → ansia, insonnia, ipervigilanza. Il corpo vive in “allarme rosso”.
  2. Allostasi
    Il cortisolo si abbassa rispetto ai picchi iniziali → l’organismo si adatta a un conflitto costante, fissando nuovi set-point per reggere la tensione.
  3. Nuova omeostasi disfunzionale
    Il cortisolo si stabilizza su valori alterati → appare una calma solo in superficie, che nasconde apatia, logorio e vulnerabilità biologica e psichica.

Psicologia delle nuove omeostasi

La psicoanalisi ci insegna che non ci adattiamo solo biologicamente, ma anche psichicamente. Così come il corpo si setta su valori disfunzionali, anche la mente si abitua a vivere “a metà”: smette di chiedere, si convince che l’amore sia sacrificio, accetta la rinuncia come unica possibilità. Questa è la vera trappola: quando il corpo e la mente trasformano la sofferenza in normalità.

Liberarsi dal falso equilibrio

Le relazioni tossiche non si limitano a ferire i sentimenti: riscrivono il corpo. Il cortisolo, da alleato, diventa segnale di prigionia biologica. L’allostasi, se cronicizzata, si trasforma in una nuova omeostasi: stabile, ma disfunzionale.

La vera sfida è riconoscere che quella calma apparente non è benessere, ma rassegnazione. Che sopravvivere non significa vivere. Che il corpo ci sta dicendo: “Ti sei adattato, ma non sei al sicuro.” E’ qui che entra in gioco la possibilità di rinascita. Non con la forza della volontà, ma creando le condizioni perché il corpo e la psiche possano tornare a un equilibrio sano. Ed è proprio questo il cuore del mio nuovo libro “Lascia che la felicità accada

Lascia che la felicità accada

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È da questa convinzione che nasce il mio nuovo libro: “Lascia che la felicità accada – Lezioni di educazione emotiva per vivere e viversi meglio.” È un libro che unisce psicologia, neuroscienze e vita quotidiana per mostrarti che la felicità non è qualcosa da inseguire, ma qualcosa da rendere possibile.

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