Il tuo modo di relazionarti con gli altri dipende dalla tua infanzia

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Il nostro modo di relazionarci con gli altri dipende dalla modalità appresa nel corso dell’infanzia. In effetti, i vissuti degli attaccamenti e delle separazioni della prima infanzia ci sensibilizzano rispetto alle successive esperienze analoghe, alle quali risponderemo, anche da adulti, con la stessa intensità, passione, tenerezza, disperazione, rabbia o impotenza del bambino che siamo stati. Tendenzialmente tenderemo a trasferire in ogni esperienza le ferite, in caso di attaccamento insicuro, la fiducia in caso di attaccamento sicuro. Molte emozioni intense si sviluppano a partire dall’esperienza di attaccamento: paura se la figura di attaccamento si allontana, collera se dimostra di non essere disponibile alle richieste, tristezza se rimane per troppo tempo irraggiungibile, gioia se risponde ai segnali del bambino.

Alcune delle caratteristiche che contraddistinguono una coppia (gioia, vicinanza, gelosia, freddezza, distacco, simbiosi, sicurezza ecc.) sono in qualche modo una riedizione di dinamiche relazionali interiorizzate nell’infanzia

Attraverso le interazioni ripetute con le figure di attaccamento e la qualità delle relazioni con le stesse nei primi anni di vita, si svilupperanno delle mappe, degli schemi cognitivi, definiti da Bowlby Modelli Operativi Interni (MOI), su come funzionano le relazioni, che cosa ci si può aspettare da esse e sull’immagine di sé e dell’altro in termini di amabilità o non amabilità. Attraverso queste rappresentazioni mentali, che costituiscono la matrice delle relazioni future, il bambino regola il proprio comportamento.

Cosa succede quando si cresce senza ricevere amore?

L’amore è importante quanto l’alimentazione e l’educazione per lo sviluppo fisico, psichico ed emotivo del bambino. Chi nell’infanzia ha sentito la mancanza del calore familiare e dell’amore infinito dei genitori o ha percepito di non essere amato abbastanza, potrebbe soffrire di carenze di affetto. Ciò può portare a sviluppare schemi di attaccamento malsani e comportamenti autodistruttivi.

“Sono severo perché mio padre era sempre così”, “sono piena di paure che mi ha trasmesso mia madre” ecc. Anche se siamo adulti, per paura, abitudine o senso di colpa, i genitori tornano ad essere chiamati in causa come responsabili di ciò che siamo. Quando un bambino cresce senza le giuste attenzioni, può arrivare a sentirsi “sbagliato” o “invisibile”, perché percepisce che i suoi bisogni emotivi sono irrilevanti. Cresce con la gravosa sensazione che i suoi bisogni emotivi sono sbagliati. Questa convinzione si auto radica come meccanismo di difesa

La relazione cruciale, dunque,  è quella con i genitori!

Il problema è che la nostra connotazione emotiva si radica in noi fin dall’infanzia. In questa fase la nostra autostima, così come il concetto di sé, si strutturano in base alle dimensioni relazionali.

Il bambino non riesce a “elaborare” e riconoscere gli sbagli dei genitori ed allora pensa che egli stesso è sbagliato. Solo così legittima le mancanze ricevute dai genitori senza condannarli. Il bambino ha bisogno di tutto il sostegno emotivo dei genitori per avere consapevolezza di sé e per strutturare la sua personalità.

In parole povere, a livello psicologico, ognuno di noi, da bambino, ha assimilato questa uguaglianza: io sono ciò che gli altri mi restituiscono e, da adulti, ha applicato quest’assioma io valgo in base alla qualità delle cure e dell’accudimento ricevuti nell’infanzia. Così un bambino che ha ricevuto le dovute attenzioni, crescendo svilupperà una sana autostima, al contrario, un bambino che non ha ricevuto le dovute cure emotive penserà di non meritare e avrà un concetto di sé svalutativo o svilupperà una serie di ferite interiori difficili da guarire.

Purtroppo, concretamente, giorno dopo giorno, non sempre i genitori riescono a offrire il giusto sostegno emotivo ai propri figli

Ciò accade perché, spesso, i genitori non riescono a vedere il bambino per quello che è in realtà. E tutto questo dipende dalla storia generazionale che il genitore porta dentro di se e che ha costruito, nella sua mente, una mappa di significati del suo sistema affettivo. Proprio come una carta geografica, essa è costruita su un territorio, attraversato da diversi percorsi e sentieri che conducono alla propria “buona autostima“.

Percorsi diversi e pieni di alternative, dove il nostro orientamento ci induce a seguire il sentiero conosciuto, già tracciato nell’infanzia dai nostri genitori, trascurando le infinite alternative possibilità per arrivare alla mèta.

Abbiamo davanti ai nostri occhi i nostri figli ma in realtà guardiamo indietro, guardiamo il nostro genitore con occhi di sfida per dimostrare che valiamo. Rischiando, naturalmente, di far sentire i nostri figli “non considerati”, “non visti” e, quindi, inadeguati. Ripetendo inconsapevolmente la stessa storia.

E’ umano e normale avere qualche comportamento disfunzionale

La perfezione non esiste e, se ci fosse, sarebbe noiosa e dannosa tanto quanto alcune disfunzioni!  Nel nostro tentativo di essere genitori migliori dobbiamo solo cercare solo di ridurre le occasioni in cui si attivano certi comportamenti, in modo che costituiscano l’eccezione e non la maggior parte dei casi. In questo modo possiamo essere sicuri di garantire il benessere dei nostri figli.

Essere consapevoli di come gli istinti di cura possano deviare dal percorso prestabilito è interessante e può fare la differenza. Possiamo prendere la mira benissimo quando scocchiamo una freccia, ma dobbiamo essere consapevoli del vento per evitare di andare troppo lontano dal centro. Quindi diventa importante conoscere le Motivazioni al Parenting, le loro possibili funzioni sane e disfunzioni, i motivi che possono portarci da un estremo all’atro. Dopo la conoscenza un po’ di auto-osservazione non guasta. Mettiamo da parte l’orgoglio e le nostre sicurezze e cerchiamo di auto-osservarci quando interagiamo con i nostri bambini.

Non si può negare che le esperienze dell’infanzia siano estremamente importanti nell’orientare la visione di se stessi, il proprio modo di costruire legami con gli altri ecc. ma ognuno di noi non è un essere inerte che vive sull’onda di un passato e nulla più. Siamo in continua trasformazione e possiamo fare del passato, anche del più negativo, uno strumento prezioso per affrontare il presente. Osservarsi, riconoscere a se stessi che ci sono degli aspetti significativi non risolti e decidere di affrontarli è possibile ed utile. Senza paura o vergogna: non siamo responsabili degli errori o delle difficoltà di chi ci ha cresciuto. Ma siamo responsabili dei nostri.

Prova a darti le giuste rassicurazioni e inizia a essere un buon genitore di te stesso

Essere genitore è sicuramente il mestiere più difficile del mondo, ma lo diviene ancora di più se in primis non divento genitore delle mie parti bambine racchiuse interiormente dentro di me. Nei primi anni di vita ci si ingegna a costruire la torre, ma nella seconda parte della vita bisogna cominciare a smontarla pezzo per pezzo. Come una sorta di viaggio a ritroso dentro di noi per poter entrare in contatto con le parti più profonde, le parti più intime, in fondo con la nostra vera natura ed essenza racchiusa in quel bambino che può aver sperimentato angoscia, paura, dolore o sofferenza; con quelle emozioni che hanno plasmato il nostro modo di essere e pensare nella vita adulta.

Spazio sottratto, sogni rubati

I vissuti difficili nell’infanzia generano emozioni dirompenti che rubano spazio ai sogni, sottraggono spirito d’iniziativa e operosità, demoliscono spensieratezza e ti fanno arrivare in età adulta disorientato. Con tante idee su chi sei e ancora tanta fame su chi avresti voluto essere. La verità è che un bambino iper-protetto o che abbia subito qualsiasi forma di pressione genitoriale, non ha avuto la possibilità di sperimentarsi. Non ha conosciuto libertà.

Quando poi arrivano abusi indicibili come violenze verbali, umiliazioni, violenze fisiche o abusi sessuali, le rinunce sono ancora più devastanti. Si rinuncia a vivere la sicurezza sotto ogni aspetto. Se la figura che più di tutte avrebbe dovuto proteggerti ti ferisce, la fiducia diventa un concetto che non ci apparterrà mai completamente.

Non importa oggi quanti anni tu abbia, non importa quante volte sei scivolato o quante altre sei rimasto imprigionato in emozioni scomode. Ciò che conta è che un’opportunità puoi concedertela. Puoi tenderti la mano e iniziare a garantirti quella libertà necessaria per esplorati, conoscerti e affermare la tua identità personale a prescindere dal ruolo che ti è stato conferito nel tuo ambiente, nei tuoi legami. È possibile e anzi, lo devi a te stesso. Puoi deviare il corso della tua traiettoria evolutiva e fare in modo che ciò che sei coincida in modo definitivo con ciò che vuoi essere.

Questo passaggio non arriva con fatica, è mediato dalla semplice libertà. Una libertà che, come ti spiegavo, non hai mai potuto sperimentare. Se vuoi smettere di fare rinunce e concederti lo spazio per affermare chi sei, ti consiglio la lettura del mio libro «il mondo con i tuoi occhi». Puoi trovarlo in tutte le librerie o su Amazon, a questa pagina.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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