Nella comune educazione si crede che “insegnare” equivalga a proporre al ragazzo o al bambino verità precostituite, preconfezionate o ormai presenti da tempo nella storia sociale e comune. Quante volte sentiamo dire “si fa così perché si è sempre fatto!” L’insegnamento sembra passare attraverso il processo -io adulto detengo il sapere, tu bambino apprendilo-
Ma insegnare ai bambini a credere ciecamente a verità presunte senza metterle in discussione, insegnare loro cosa devono pensare, significa sottrargli una delle capacità più importanti: la capacità di auto-determinazione. E’ vero che siamo comunque influenzati dalla società e dall’ambiente in cui viviamo, ma non per questo dobbiamo dare ai nostri figli verità preconfezionate.
Un racconto per rendere meglio il concetto
Dobbiamo quindi insegnare ai nostri figli a fare comprendendo ciò che stanno facendo. A tal proposito vi invito a riflettere su questo racconto.
Un maestro Sufi aveva l’abitudine di raccontare una parabola alla fine di ogni lezione, ma gli studenti non ne capivano sempre il messaggio.
– Maestro – disse un giorno con aria di sfida uno degli studenti – ci racconti sempre una storia, ma non ci spieghi mai il suo significato più profondo.
– Vi chiedo perdono per questo – si scusò il maestro -, permettimi di riparare al mio errore, intanto ti offro questo pesce che ho appena pescato.
– Grazie maestro.
– Tuttavia, vorrei ringraziarti come meriti. Mi permetti di pulirti il pesce?
– Sì, ti ringrazio molto – rispose lo studente sorpreso e lusingato dall’offerta del maestro.
– Ti farebbe piacere, dal momento che ho il coltello in mano, che lo taglio anche in piccoli pezzi in modo tale che ti sia più comodo mangiarlo?
– Mi piacerebbe, ma non voglio abusare della tua generosità, maestro.
– Non è un abuso se te lo offro io. Voglio solo compiacerti in tutto ciò che posso. Permettimi anche di cucinartelo e di masticarlo prima di dartelo.
– No maestro, non mi piacerebbe che facessi questo! – rispose lo studente sorpreso e scioccato.
Il maestro fece una pausa, sorrise e disse:
– Se io spiegassi il significato di ciascuna delle storie ai miei studenti, sarebbe come dargli da mangiare della frutta già masticata.
Cosa ci insegna tale racconto?
Insegnare ai bambini a credere ciecamente a verità assolute senza metterle in discussione, è come dargli frutta già masticata. Insegnare loro cosa devono pensare, significa sottrargli una delle capacità più importanti: la capacità di auto-efficacia.
L’auto efficacia, o meglio l’auto efficacia percepita, come descrive Bandura, corrisponde alla convinzione da parte del’individuo di essere capace di dominare specifiche attività, situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale, nonché imparare dall’esperienza. E il fatto di poter essere efficaci in questo innalza notevolmente la nostra autostima!
Perché è importante allenare tuo a pensare, a porsi domande, a sviluppare la capacità di essere sensibile ?
Dal punto di vista cognitivo, non esiste sfida maggiore che affrontare problemi ed errori, dal momento che questi non richiedono solo sforzo, ma anche un processo di cambiamento e di adattamento. Di fronte a un problema si mettono in moto tutte le nostre risorse cognitive e, spesso, la soluzione comporta una riorganizzazione del nostro schema mentale.
I bambini, in quanto tali, sono terreno molto fertile per l’esercizio del pensiero: aiutarli a sviluppare il ragionamento e la capacità di farsi domande permette loro di sviluppare capacità emotive, riconoscerle, nominarle, sconfiggendo la paura di approfondire ciò che è sconosciuto, ossia ciò che si ha attorno e ciò che si sente dentro.
Tuo figlio potrà sbagliare. In realtà, è molto probabile che lo farà, ma imparerà dall’errore e andrà avanti, arricchendo così il suo bagaglio di strumenti per affrontare la vita.
Infatti, se alleni tuo figlio ad argomentare il suo pensiero chiedendosi costantemente il perché, ad ascoltare il punto di vista di chi ha accanto, a “riconoscersi” in quello che dice l’altro, a confutare una tesi sostenendola con degli argomenti validi, a domandarsi cosa sente e come può definire la sua emozione, avrà a disposizione degli “strumenti” non tangibili ma utilizzabili ogni giorno. All’inizio risulta faticoso, poi col tempo la mente si abitua a ragionare e non può più farne a meno, come quando cominci un qualsiasi sport: prima fai tanta fatica, ma poi ci prendi gusto e non riesci a smettere.
C’è un modo per insegnare a tuo figlio a imparare a pensare?
I bambini devono avere la possibilità di trovare il proprio modo di fare le cose, devono dare un senso al proprio mondo e, piano piano, formare i propri valori.
Se invece di fornire delle verità assolute ai bambini li sottoponessimo a delle sfide, di modo da farli pensare con la propria testa, potenzieremmo la loro capacità di osservazione, di riflessione e di prendere delle decisioni in autonomia. Se, invece, insegniamo ai bambini ad accettare e basta, senza pensare, ogni informazione che riceveranno non sarà significativa e non produrrà cambiamenti importanti nel loro cervello, ma rimarrà semplicemente immagazzinata da qualche parte nella loro memoria, dove piano piano svanirà.
Al contrario, quando pensiamo a come poter risolvere un problema, o quando cerchiamo di capire dove stiamo sbagliando, si innesca un processo che comporta una crescita. Quando i bambini si abituano a pensare, a mettere in discussione la realtà ed a trovare delle soluzioni per se stessi, cominciano ad avere fiducia nelle proprie capacità ed affrontano la vita con più sicurezza e meno timori.
Come riuscirci secondo una ricerca scientifica
Alcuni test eseguiti negli anni ’70 alla University of Rochester di New York ci offrono alcune piste. Questi psicologi hanno lavorato con diversi gruppi di persone ed hanno scoperto che le ricompense possono motivare solo fino ad un certo punto; inoltre, quando si tratta di compiti ripetitivi e noiosi l’efficacia delle stesse può addirittura arrivare ad essere controproducente se le cose che si devono affrontare richiedono riflessione e pensiero creativo.
È interessante notare che, durante le ricerche, le persone che non hanno ricevuto premi hanno ottenuto risultati migliori nella risoluzione di problemi complessi. In alcuni casi, queste ricompense hanno fatto in modo che le persone cercassero delle scorciatoie ed assumessero dei comportamenti poco etici, in quanto l’obiettivo era quello di risolvere il problema solo per ottenere la ricompensa.
I risultati di questi test hanno portato lo psicologo Edward L. Deci alla sua teoria dell’autodeterminazione, secondo la quale per motivare le persone ed i bambini a dare il meglio di sé non è necessario ricorrere a ricompense, bensì è sufficiente offrire un ambiente adeguato che soddisfi questi tre requisiti:
- 1# Mostrare fiducia, di modo che possano sentire di avere già una certa competenza per non generare frustrazioni o ansie esagerate.
- 2# Lasciare spazio, perché possano godere della propria autonomia, di modo da poter trovare nuove soluzioni ai problemi per poi metterle in pratica e per far sentire loro che hanno il completo controllo.
- Essere disponibili, di modo che possano interagire per sentirsi supportati e parte del gruppo.
Quindi, invece di insegnare ai bambini delle verità assolute perché non offriamo loro delle sfide che li obblighino a pensare?
Se insegniamo ai bambini ad accettare senza pensare, queste informazioni non saranno significative, non produrranno un cambiamento importante nel loro cervello, ma verranno semplicemente memorizzate da qualche parte nella memoria, dove scompariranno lentamente.
Quando i bambini sono abituati a pensare, a mettere in discussione la realtà e cercare da soli le soluzioni, cominciano a fidarsi delle loro capacità e affrontano la vita con maggiore fiducia e minor paura, imparano a riflettere, a crearsi un proprio modo di vedere le cose, e così facendo fondano i loro valori.
E’ chiaro che educare bambini che sanno pensare e che non accettano tutto come verità, produce delle grosse conseguenze per noi adulti: se pensano sapranno risponderci, sapranno far valere il loro pensiero, e allora sarà lì che verranno alla luce le nostre mancanze, perché quel principio che tanto inculchiamo o vogliamo promuovere deve essere difeso e devono esserci motivazioni valide per farlo. E non sempre purtroppo le abbiamo!
Dobbiamo quindi insegnare ai nostri figli a osservare, pensare e poi agire secondo un loro principio. Dobbiamo concedergli di sperimentare la propria efficacia.
A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
Se ti è piaciuto questo articolo puoi seguirci sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor, sul mio account personale o nel nostro gruppo Dentro la Psiche. Puoi anche iscriverti alla nostra newsletter. Puoi leggere altri miei articoli cliccando su *questa pagina*