CHE COSA È L’INVIDIA: 7 vizi capitali
L’invidia fa parte, insieme all’ira, l’accidia, la superbia, la gola, la lussuria e l’avarizia, dei 7 vizi capitali. L’etimologia del termine contiene la radice visiva “videre” (vedere, guardare, osservare) preceduta dalla particella negativa “in”, a formare la parola “invidere” o invidiare dunque “guardare male”, anche nel senso di gettare mal-occhio sulla persona oggetto di invidia.
È un sentimento che induce, in chi lo prova, una spinta distruttiva verso “i beni altrui”, associata al rammarico di non poterne godere e San Tommaso la definisce proprio come una forma di “tristezza per i beni altrui”.
L’invidia ha dunque a che fare con il rammarico per la felicità e la prosperità altrui ed in essa è insito il desiderio di sottrarre ed appropriarsi dei beni dell’altro per goderne al suo posto, o che l’altro invidiato perda tali beni (intesi in senso non solamente materiale ma anche in riferimento agli obiettivi raggiunti, alle soddisfazioni o ai riconoscimenti ottenuti) al fine di “pareggiare il punteggio”, poiché il successo altrui viene vissuto come un’offesa, un affronto al proprio senso di autostima e di identità.
In tale situazione dunque, privare l’altro dei suoi beni e della sua soddisfazione si profila come una soluzione possibile per donare sollievo alla propria sofferenza.
Sofferenza che affonda le radici in un profondo senso di ingiustizia e disvalore personale. Tra le diverse definizioni che ho letto dell’invidia, trovo particolarmente complete ed interessanti quella di Kierkegaard, che la descrive come una forma di segreta e dolorosa ammirazione:
«L’invidia è ammirazione segreta. Una persona piena di ammirazione che senta di non poter diventare felice abbandonandosi (rinunciando al proprio orgoglio), sceglie di diventare invidiosa di ciò che ammira… L’ammirazione è una felice perdita di sé, l’invidia un’infelice affermazione di sé.” e quella di Nietzsche, che la definisce come il frutto di una distorta versione di una morale eccessivamente intrisa di umiltà e senso della rinuncia, in nome di un ugualitarismo che vuole a tutti i costi rendere uguali, pareggiando (dunque abbassando) anche talenti e meriti:
«Dove realmente l’uguaglianza è penetrata ed è durevolmente fondata, nasce quell’inclinazione, considerata in complesso immorale, che nello stato di natura sarebbe difficilmente comprensibile: l’invidia. L’invidioso, quando avverte ogni innalzamento sociale di un altro al di sopra della misura comune, lo vuole riabbassare fino ad essa. Esso pretende che quell’uguaglianza che
l’uomo riconosce, venga poi anche riconosciuta dalla natura e dal caso. E per ciò si adira che agli uguali le cose non vadano in modo uguale.”
Quando si prova invidia verso qualcuno, dentro di noi scattano sentimenti complessi come il senso di ingiustizia, di tristezza e disvalore per non aver ottenuto altrettanto, oppure una rabbia distruttiva finalizzata a distruggere o sminuire l’altro. Può nascere anche un sano senso di ammirazione, emulazione e competizione.
Di fatto possiamo dire che esistono due modi di essere invidiosi: una modalità costruttiva o positiva, ed una distruttiva o negativa. Nel primo caso (che a mio avviso non è propriamente definibile come invidia), possiamo usare la molla dell’invidia per comprendere cosa davvero conta per noi e cosa possiamo fare per realizzarci ed ottenere ciò che invidiamo nell’altro. Come dire: “se lo ha fatto l’altro, allora posso farlo anche io!”. Nel secondo caso invece, prevale l’aspetto negativo relativo al senso di inferiorità, frustrazione, impotenza, odio e rabbia verso l’altro, e conseguente desiderio di pareggiare i conti attraverso la sottrazione del bene altrui, che spinge a voler “rovinare la festa” all’altro, o a rimuginare sulle presunte ragioni che hanno favorito il suo successo e sfavorito il proprio: “se io non lo posso fare/avere allora neanche l’altro deve farlo/averlo”.
L’INVIDIA E’ CORRELATA ALLA SICUREZZA IN SE STESSI
Il sentimento dell’invidia ha a che fare con la percezione del proprio valore e dei propri meriti. Le persone invidiose spesso sono insicure, dubitano delle proprie capacità dunque non osano “desiderare” veramente il successo e la felicità, come se in fondo pensassero di non meritarli, o di non saperli raggiungere. Altre volte si tratta di persone eccessivamente votate a rigidi codici morali e di perfezione, che impediscono loro di agire più liberamente ed in armonia con le loro reali attitudini e desideri, per ottenere ciò che vogliono. In tal caso accade che, osservando nell’altro una “libertà di azione” che loro stesse non si concedono, arrivino a provare un profondo senso di ingiustizia associato alla spinta a “punire” l’altro che ha osato sfidare certi codici e certe regole.
DAVVERO L’INVIDIA È DONNA?
A quanto pare, si tratta di uno stereotipo ormai superato; l’invidia è un sentimento che appartiene a uomini e donne ma si può manifestare con modalità differenti. Le ricerche ci dicono che l’invidia è un sentimento che si manifesta maggiormente tra pari; ciò significa che si sviluppa tra persone che hanno qualcosa in comune: ad esempio status sociale, professione, caratteristiche fisiche o appartenenza di genere. Dunque gli uomini non sono affatto immuni dal provare questo ambivalente sentimento, che li porta spesso a sviluppare un atteggiamento competitivo finalizzato a raggiungere altrettanti successi dell’altro invidiato, anche attraverso comportamenti scorretti e la svalutazione dei meriti altrui. Gli atteggiamenti invidiosi tipicamente femminili sono, più che la competizione, la malevolenza, il boicottaggio e la maldicenza atti a “distruggere” l’altro e i suoi beni (materiali e non). Ma le generalizzazioni sono sempre limitanti.
Uno studio condotto dalla Società Internazionale di Psicanalisi su 1.300 casi tra uomini e donne di età compresa tra i 25 ed i 50 anni, ha mostrato che nel 78% dei casi osservati sono gli uomini a vivere questo spiacevole sentimento, contro il 43% delle donne; gli uomini sarebbero però in grado di “dissimulare” meglio la loro invidia rispetto alle donne, che si mostrano invece più dirette nel manifestarla e nel parlarne.
Molto interessante è anche uno studio condotto dall’Università di Padova (D’Urso, V., et.al., Invidia e genere. Una ricerca empirica sull’intensità dell’invidia e sulle modalità di coping, Psychofenia , XII, 20/2009), che documenta come l’intensità dell’invidia s sia maggiore verso persone percepite e considerate come simili, dunque anche e soprattutto verso persone dello stesso genere. E’ intuitivo immaginare che in tal caso, il paragone con persone che sentiamo affini per alcune caratteristiche, sia più frequente e in grado di stimolare di più sentimenti di competizione ed invidia.
L’INVIDIA NEI LUOGHI DI LAVORO
La competizione è un meccanismo assolutamente normale in natura. In sé è utile e può essere costruttiva perchè permette di migliorarsi e migliorare le proprie condizioni di vita. Tuttavia, una competizione è sana se presuppone il rispetto dell’altro, delle regole sociali, dei talenti e delle capacità di ognuno e non si basa sulla volontà di svalutazione, privazione e distruzione dell’altro. altrimenti diventa nociva e controproducente. Inoltre ricordiamo che primeggiare non sempre è indice di quelle capacità e qualità umane che vanno a costituire il profondo valore personale di ognuno di noi. Guai a confondere il proprio valore umano con lo status sociale, professionale o economico o ancora, con la bellezza fisica.
RICOPRIRE TANTI RUOLI O FARE TROPPE COSE PUO’ PREDISPORRE ALL’INVIDIA
Credo che esista una correlazione indiretta tra l’essere multitasking, fare mille cose (o cercare di farle…) ed il provare invidia: infatti, “più cose faccio dunque su tanti più fronti mi impegno, tanto più sensibile posso essere al successo che altri raggiungono in tali cose, o semplicemente nel riuscire a farle tutte sufficientemente bene, o meglio di me”. Essere multitasking ci porta a voler fornire prestazioni e a competere su più livelli contemporaneamente e, a mio avviso, può far precipitare un latente senso di inadeguatezza ed esasperare il senso di competizione, cui fanno da contraltare il timore del fallimento e l’invidia per il successo altrui.
L’INVIDIA TRA LE MAMME E LA CAPACITA’ DI ACCETTARE LE PROPRIE IMPERFEZIONI
In una società che spinge alla perfezione e alla competizione sfrenata, il senso del limite diventa sempre più vago e indefinito. Piuttosto, il limite esiste unicamente in quanto elemento da superare e tutto – oggetti, status e comportamenti – assume il ruolo di dimostrazione del proprio potere, successo e forza (anche economica e sociale). In un contesto del genere è estremamente difficile accettare ed accogliere le proprie ed altrui imperfezioni, che diventano motivo di vergogna e scherno il più delle volte. Dunque, la competizione si estende spesso anche ai figli: alla loro vita, alle loro attività, alle prestazioni che forniscono, a quanto sono più o mweno bravi a scuola o nello sport, in quanto questi vengono percepiti dai genitori come una sorta di “estensione dell’ego” dei genitori stessi: questo fenomeno è particolarmente evidente o nel microcosmo del contesto scolastico e delle “amicizie di famiglia”.
PERCHÉ CI VERGOGNIAMO DI ESSERE INVIDIOSI?
La vergogna è un’emozione che compare quando si contravviene alle regole sociali o si fa qualcosa considerato “deplorevole”. Poichè dunque l’invidia, seppure è un sentimento comune e naturale, quando considerata nella sua accezione distruttiva e negativa non viene certo considerata un sentimento nobile, va da sé che provarla sia considerato un fatto deplorevole. Sebbene invece possa rappresentare, quando resa consapevole, accolta e ben gestita, una spinta motivazionale utile
QUANDO L’INVIDIA DIVENTA PATOLOGICA
L’invidia diventa patologica quando rappresenta la modalità prevalente o la sola modalità attraverso la quale si guarda ai successi e ai beni dell’altro e ci si misura agli altri. E’ patologica quando affonda le radici nel senso di inadeguatezza ed incapacità, se si fonda sulla convinzione di essere innocenti vittime delle continue ingiustizie della vita, quando viene utilizzata insomma per distruggere l’altro, per giustificare i propri insuccessi, volendo rendere tutti forzatamente uguali e fornire un’illusoria sensazione di valore personale. Un valore personale che non deriva dalla contezza di ciò che si è e di ciò che si desidera veramente, ma dal sentirsi meglio attraverso la svalutazione dell’altro.
Manifestazioni di invidia possono essere l’odio e il rancore, il boicottaggio e la svalutazione dell’altro, l’appropriazione dei suoi beni o dei suoi meriti, il pettegolezzo volto a distruggerne l’immagine o i meriti ecc.
DIFENDERSI DALLE PERSONE INVIDIOSE
Se non vogliamo esporci ulteriormente a questo sentimento già sufficientemente diffuso, dobbiamo prima di tutto di vantarci dei nostri successi e dei beni che abbiamo con chi magari non ne ha o ha avuto problemi e difficoltà.
Inoltre, occorre capire chi davvero è capace di gioire insieme a noi e per noi, perché sono queste le persone con le quali condividere serenamente ciò che abbiamo.
A costo di fare della demagogia, voglio sottolineare quanto sia importante rispettare ed incoraggiare anche gli altri a raggiungere i loro obiettivi anche per evitare le forme tossiche di invidia.
TRASFORMARE L’INVIDIA E VIVERE MEGLIO
L’essere umano ha la capacità di rendersi consapevole dei propri sentimenti e delle proprie emozioni ed è in grado di commisurare i propri stati d’animo al contesto in cui si trova e alle proprie aspettative.
Questa abilità ci permette di volgere anche l’invidia a nostro favore: essa infatti ci può indicare ciò che vorremmo essere o ciò che desideriamo ottenere attraverso il sentire una differenza che inizialmente può essere dolorosa, ma che possiamo trasformare in emulazione, ammirazione e motivazione a muoverci ed agire per realizzare i nostri desideri. Condividere le gioie altrui è molto più piacevole e costruttivo dell’odiarle perché dona benessere e ci permette di avvicinarci di più al loro raggiungimento, godendone anche indirettamente. Se invece ciò che invidiamo è davvero fuori dalla nostra portata, allora tanto vale lasciar andare serenamente questo sentimento, poiché coltivarlo nel cuore attraverso pensieri di ingiustizia e di rabbia, non farebbe che inquinare inutilmente il nostro animo. trasmutare l’invidia in forme di competizione costruttiva, di compensazione (valorizzando i nostri talenti, ciò che amiamo della nostra vita e le capacità che ci caratterizzano) e di distrazione, che ci permetta di non concentrarci esclusivamente su questo sentimento, attraverso attività piacevoli e gratificanti.
COME FARE?
Prima di tutto impariamo a distinguere l’invidia dalla gelosia, anche se spesso soi sovrappongono:
- INVIDIA: compare quando vediamo che l’altro ha qualcosa che a noi manca;
- GELOSIA: compare quando temiamo di perdere ciò che abbiamo (ad esempio l’amore del partner).
Più che distruggere l’invidia – e questo vale per tutti i sentimenti spiacevoli – dobbiamo imparare a riconoscerla, comprenderne le motivazioni e le conseguenze dannose attraverso un lavoro di consapevolezza e di osservazione di sé.
Se l’invidia origina da un senso di inadeguatezza e fallimento, possiamo chiederci cosa abbiamo bisogno di fare per sentirci più a nostro agio con noi stessi, e cosa potrebbe migliorare la nostra autostima ed il nostro senso di efficacia e merito personale. Il primo antidoto contro l’invidia è la costruzione di una vita piena di senso: quel senso profondo di radicamento e pace interiore che nasce dal conoscere i propri valori, e dalla capacità di agire in armonia con essi.
L’altro antidoto è la gratitudine verso ciò che abbiamo e ciò che siamo, che ci permette di gioire anche delle piccole o grandi cose che però diamo per scontate. Ricordiamo inoltre che ciò che l’altro ha raggiunto (siano essi beni materiali o successi), il più delle volte non incide affatto su di noi e non ci toglie nulla di ciò che abbiamo o siamo.
A cura di Annalisa Barbier, psicoterapeuta
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