La dipendenza genitori-figli: le dinamiche disfunzionali

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Autore
Psicologo e Psicoterapeuta Specializzato in Psicoterapia Strategica.

Innanzitutto, una diagnosi di “dipendenza affettiva da genitore o da figlio” non esiste nella psichiatria e nella psicopatologia ufficiali. Quasi sempre, chi patisce questo tipo di problema chiede aiuto a uno specialista solo quando il disturbo si è tradotto in un linguaggio compatibile con quello medico, ovvero è diventato “depressione”, “ansia”, “anoressia”, bulimia”, “fobia e/o compulsione”.

Come si riscontra in tutte le altre dipendenze, comprese quelle da sostanze, chi sperimenta una dipendenza affettiva da un genitore o da un figlio tende a negare di avere un problema e si oppone all’aiuto esterno sino allo stremo delle forze. Solo l’emergere di una patologia riconoscibile porta la questione della disfunzione affettiva all’attenzione degli specialisti, e ciò accade tardivamente, quando la dipendenza ha acquisito il totale controllo del comportamento, dei pensieri e delle emozioni dei soggetti che coinvolge.

Più di quanto si verifichi nella dipendenza amorosa, nella dipendenza affettiva parentale i “malati” sono sempre almeno due: madre e figlia o figlio e, meno di frequente, padre-figlia/a. In alcuni casi la dipendenza può coinvolgere l’intera triade padre-madre-figlio/a, tutti inconsapevolmente fautori di un circolo vizioso. I due o più individui soggetti a questo tipo di legame, senza rendersene conto e spinti dalle migliori intenzioni, cooperano nella costruzione di un labirinto che imprigiona tutti, ma chi si richiede un supporto psicoterapeutico è di solito il figlio/a.

Il genitore co-dipendente, invece, tende, nel peggiore dei casi, a rifiutare l’aiuto, a svalutarlo o denigrare apertamente la validità o l’utilità di un supporto professionale; nel migliore dei casi, il genitore co-dipendente “si allea” col terapeuta per “aiutarlo” nella cura del figlio malato, nel tentativo inconscio di sostituirsi allo specialista così da evitarne l’aiuto. Entrambi gli atteggiamenti del genitore dipendente hanno lo scopo di negare la propria partecipazione allo schema problematico e, soprattutto, di occultare il proprio problema: la dipendenza dal figlio/a.

Un figlio che dipende affettivamente dalla madre o dal padre spesso esprime solo una parte di difficoltà ben più ampie e di più lungo corso, relative alla storia dei genitori, al rapporto che essi hanno con le famiglie d’origine e al sistema di valori a cui si riferiscono. I genitori dipendenti, al di là della specificità del singolo caso, sono accomunati da un complesso di convinzioni, emozioni e comportamenti:

  • ansietà e pessimismo;
  • seri problemi nella relazione col coniuge;
  • rigidità morale.

Ansietà e pessimismo

In genitore dipendente tende a credere che il mondo sia una valle di lacrime, un luogo pericoloso per se stesso e per la prole, dove è meglio recarsi il meno possibile. L’atteggiamento verso l’esterno è di diffidenza. Questo genitore si comporta come se gli altri lo giudicassero continuamente, perciò cerca di mantenere un atteggiamento condiscendente, a volte un po’ affettato, per evitare le critiche altrui. In realtà egli stesso è iper-critico, perfezionista, esigente. Queste caratteristiche lo rendono ansioso, insicuro e suscettibile.

È chiaro che i presupposti “il mondo è una valle di lacrime” e “gli altri sono cattivi ed egoisti” in base ai quali il genitore dipendente filtra la propria esperienza esistenziale, non fanno che giustificare la scelta di chiudersi all’interno del nucleo familiare e di dedicarsi completamente alla protezione della prole.

L’atteggiamento nei confronti del figlio è contraddittorio. Da una parte, il genitore dipendente richiede totale abnegazione, manifesta ansietà quando rimane da solo e, ogni volta che il figlio prende iniziative autonome, lo ammonisce sui pericoli del mondo; contemporaneamente, però, sollecita di continuo il figlio a uscire di casa, a rendersi autonomo, a cercasi degli amici, e così via. Questo doppio messaggio finisce per paralizzare il ragazzo. Infatti, se rimane accanto al genitore, viene rimproverato severamente per la sua mancanza di autonomia; se, viceversa, esce di casa, prende iniziative proprie, gli viene detto che sbaglia, che è approssimativo, che le cose non si fanno in quel modo. I doppi messaggi confezionano trappole relazionali perfettamente efficienti, macchine creatrici di disagio psicologico anche profondo.

Problemi significativi col coniuge

La dipendenza da un figlio serve spesso a mascherare altri problemi familiari, in particolare a compensare mancanze affettive nella relazione tra i coniugi. Le madri dipendenti hanno rapporti estremamente freddi col marito, verso il quale tengono un atteggiamento svalutante. Non di rado, il coniuge risponde con un comportamento complementare, assumendo un ruolo subordinato.

In molti casi di dipendenza parentale, la coppia genitoriale ha intrapreso un percorso di separazione e di divorzio traumatico e conflittuale; in altri uno dei genitori è mancato tragicamente, lasciando a quello rimasto in vita il compito di crescere i figli. Le due situazioni hanno un tratto comune, che sembra facilitare lo sviluppo di una dipendenza affettiva: la frustrazione dovuta alla carenza di un rapporto di coppia stabile e soddisfacente. Tale frustrazione viene canalizzata sul figlio, che si trova sovraccaricato di attenzioni e di aspettative spesso irrealistiche.

I genitori dipendenti conducono un’esistenza interamente centrata sul nucleo familiare, con pochi rapporti esterni, scarso o nessun interesse differente dal figlio. La vita sessuale è limitata o assente anche nel caso di coppie integre.

Rigidità morale

Per limitare il costante senso di insicurezza e di ansietà che lo caratterizza, il genitore dipendente costruisce una rappresentazione estremamente semplificata della realtà, tracciando confini molto rigidi tra ciò che è “giusto” e ciò che “è sbagliato”, ciò che è “bene” e ciò che è “male”, tra ciò che “si deve fare” e ciò che “è proibito fare”. Ne deriva un atteggiamento complessivo giudicante, teso alla costante ricerca degli errori da correggere e nella condanna di chi li compie. Non di rado questa modalità di pensiero è associata a un sentimento religioso di tipo esclusivo, integralista, che influenza le aspettative verso i figli.

Ai figli si richiede una totale corrispondenza al modello “giusto”, opponendo un fermo rifiuto a qualunque deviazione dalla norma imposta. Così a volte, il sintomo di un figlio viene costruito inconsciamente come “scialuppa di salvataggio” per fuggire dalle stringenti aspettative del padre o della madre senza esserne perseguitato o vivere un eccessivo senso di colpa.

Ansietà, pessimismo, problemi col coniuge e rigidità morale sono alcune delle molle che stabilisco il circolo vizioso della dipendenza verso un figlio. I principali segnali dell’esistenza di tale disfunzione sono generalmente noti e riconosciuti da tutti i membri della famiglia, dai parenti, dagli amici. Il genitore direttamente interessato è spesso il solo a negare la presenza del problema.

La dipendenza genitore-figlio è sempre basata su presupposti inconsapevoli del genitore, presupposti reiterati continuamente nella quotidiana evoluzione del figlio e che finiscono per renderlo fragile e, a propria volta, patologicamente dipendente dal genitore.

“Senza di me, chissà che ti succede”

Il genitore dipendente è afflitto da un sentimento di ansietà e da preoccupazione quando il figlio è assente. Cerca di gestire questi vissuti mediante attività di controllo sul figlio, attuate, per esempio, telefonandogli più volte al giorno. Il messaggio nascosto e inconscio che giunge al figlio è che il genitore stia male se il figlio si allontana troppo. Ne deriva, da parte di quest’ultimo, la tendenza a sentirsi a disagio e persino angosciato ogni volta che si trova fuori casa o non può mettersi immediatamente in contatto col genitore.

“In fondo, non mi fido di te”

I genitori dipendenti tendono a non fidarsi dei figli, a considerarli fragili e manipolabili dagli altri. Per questo motivo, spesso il genitore contatta segretamente amici del figlio per chiedere loro informazioni sulle sue attività. Il grado di intromissione del genitore nella vita del figlio è elevatissimo, e può arrivare a situazioni paradossali: gli amici del figlio si trasformano in confidenti e spie del genitore.

“Lascia, faccio io”

E’ il messaggio che cela dietro un velo di altruismo insano la tendenza a sostituire il figlio nello svolgimento di incombenze che implicherebbero l’assunzione di responsabilità dirette (per esempio, prender appuntamenti per visite specialistiche, iscriversi in palestra).

Nelle situazioni peggiori, il genitore arriva a pianificare minuziosamente ogni attività, compresa la ricerca di un lavoro o di un compagno/a adatti al figlio. Purtroppo, nessun genitore è davvero onnipotente, così i figli di genitori dipendenti falliscono spessissimo sia nelle relazioni amorose che nella vita professionale.

“Tu non vali abbastanza”

Consiste nella ripetuta svalutazione del figlio e delle cose che fa. E’ un meccanismo molto sottile e inconscio, volto ad alimentare la dipendenza perché suscita nel figlio un sentimento di insicurezza e di fragilità, sentimento che lo porta a chiedere il sostegno continuo della famiglia e a evitare qualunque iniziativa esterna.

“Nessun segreto tra di noi”

La pretesa di “sapere tutto” del figlio, conoscerne gli amici, ottenere informazioni dettagliate sulla sua vita più intima è indubbiamente uno dei segnali più chiari di patologia relazionale genitore e figlio. Quando il figlio è all’interno di questo circuito psicologico finisce per rinunciare completamente all’autonomia, ad avere un lavoro, degli amici che sente tali, una vita di coppia e una sessualità.

Infatti, poiché non possono esseri segreti, pur di non trovasi nell’imbarazzo di raccontare la propria intimità al genitore o di evitare il senso di colpa derivante dalla trasgressione della regola “nessun segreto tra noi” i figli presi dalla dipendenza affettiva abdicano completamente dalla normalità.

A cura di Enrico Maria Secci, psicoterapeuta

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